giovedì 9 gennaio 2014

Andare oltre..



Continuiamo ad accompagnare i nostri due viaggiatori che tornano a casa piangendo la perdita del loro Signore e di tutti i loro sogni. Nouwen ci ha ricordato che celebrare l'eucaristia è innanzitutto accettare la nostra corresponsabilità per il male che ci circonda e scegliere una vita di perdono, di pace.
Durante  questo viaggio, Gesù si affianca a loro e chiede che gli raccontino quello che è successo: “C'è dello stupore, persino dell'agitazione: «Tu solo sei così forestiero da non sapere ciò che è accaduto!». Poi segue un lungo rac­conto: la storia riguardo a ciò che hanno perduto, la storia riguardo a una notizia sconcertante di una tomba vuota. Qui almeno c'è qualcuno ad ascolta­re, qualcuno che è disponibile ad ascoltare le paro­le di disillusione, di tristezza e di totale confusione. Niente sembra aver senso.
Lo sconosciuto ascolta e poi inizia a parlare: parla di cose che già conoscevano, parla della storia dei loro padri, parla del loro popolo.
“La perdita, il dolore, la colpa, la paura, i barlumi di speranza e le molte do­mande senza risposta che esigevano attenzione nella loro mente inquieta, tutto ciò è stato innalzato da que­sto sconosciuto e posto nel contesto di una storia mol­to più ampia della loro. Ciò che era sembrato confon­dere così tanto cominciava ad offrire orizzonti nuovi.. Mentre parlava loro, pian piano cominciaro­no a capire che la loro piccola vita non era poi così piccola come essi pensavano, ma parte di un grande mistero che non solo abbracciava molte generazioni, ma che si estendeva dall'eternità all'eternità.”
Gesù accoglie le loro parole, la loro tristezza, il loro rimpianto per la morte di un amico, ma li conduce pian piano a prendere coscienza che tutto questo è parte di un evento più grande, capace di portare nuova vita, relazioni diverse, gioia più profonda. E lo fa senza mezzi termini, forse anche con durezza.
“Dopo tutto, un conti­nuo lamentarsi attrae di più che affrontare la realtà. «Stolti», disse, «tardi di cuore nel credere». Queste parole vanno dirette al cuore dei due uomini. 'Stol­ti' è una parola dura, una parola che ci offende e che ci mette sulle difensive. Ma può anche sfondare una copertura fatta di paura e di imbarazzo e condurre poi a tutta una nuova conoscenza dell'essere umani. E’ una chiamata al risveglio, è uno strappare via le bende dagli occhi, un demolire gli inutili dispositivi di protezione.”
Li chiama stolti per costringerli a vedere il di più che si offre ai loro occhi: “Conti­nuate a fissare lo sguardo su un ostacolo e non siete disposti a considerare che l'ostacolo è stato messo lì per mostrarvi la strada giusta. Continuate a lamen­tarvi delle vostre perdite e non vi rendete conto che queste perdite ci sono per mettervi in grado di rice­vere il dono della vita.
I due discepoli non credono che ci sia qualcosa oltre la loro perdita, non credono che si possa fare qualcosa oltre a tornare a casa e riprendere la vecchia vita, ma lo sconosciuto li chiama ad aver fiducia e a superare la lentezza che li opprime.
Tardi nel credere..  Questa lentezza non è una lentezza innocente per­ché ci può intrappolare nei nostri lamenti e nella no­stra ristrettezza di mente e di cuore. È la lentezza che può impedirci di scoprire il panorama in cui viviamo. E’ possibile giungere al termine della nostra vita sen­za aver mai saputo chi siamo e cosa dovremmo di­ventare.”
Rischiamo di pensare che il poco che vediamo, sentiamo, viviamo ci riveli tutta la nostra esistenza, ci spieghi tutta la vita, ma non è così: abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a scoprire cosa c’è aldilà della nostra percezione, oltre il nostro orizzonte.
Qualcuno deve far ar­dere i nostri cuori! Gesù si unisce a noi mentre camminiamo nella tri­stezza e ci spiega le Scritture. Ma non sappiamo che è Gesù. Pensiamo che sia uno sconosciuto che cono­sce meno di noi ciò che sta avvenendo nella nostra vita. Eppure, discerniamo qualcosa, percepiamo qual­cosa, intuiamo qualcosa: il nostro cuore comincia ad ardere.

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