mercoledì 1 maggio 2013

SAN PIO V Papa (1504-1572)


Antonio Ghislieri nacque a Bosco Marengo, in Piemonte, e a quattordici anni entrò nell’Ordine a Voghera assumendo il nome di Michele. Negli anni di preparazione al sacerdozio, insieme a solida formazione teologica – facilitata da un0intelligenza vivida – maturò un’intensa vita di pietà e manifestò quella austerità di vita che gli avrebbe meritato tanta stima negli anni successivi. Fu professore a Bologna e a Pavia, Inquisitore della Fede in Lombardia, Commissario generale dell’Inquisizione, vescovo di Nepi e Sutri, cardinale del titolo di Santa Maria sopra Minerva, vescovo di Mondovì, papa col nome di Pio V. Il suo breve pontificato (1566-1572) è tra i più gloriosi della Chiesa. Con instancabile energia rese efficaci i decreti del Concilio di Trento, riformò il messale e breviario romano, lavorò con fermezza al miglioramento dei costumi, sostenne vigorosamente la lotta col protestantesimo; contro il pericolo ottomano che minacciava la cristianità organizzò una campagna che si concluse nella strepitosa vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571): a testimoniare la gratitudine verso Maria – alla cui invocazione con la preghiera del Rosario, il santo Pontefice attribuì la disfatta navale – istituì la festa della Madonna della Vittoria.
Morì il primo maggio 1572 e venne sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Fu canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712.

Dalla liturgia:
In ogni sua opera glorificò il Santo altissimo con parole di lode; cantò inni a lui con tutto il cuore. (Sir 47, 9)

Dai “Commenti sul Vangelo di Giovanni” di san Tommaso d’Aquino, sacerdote e dottore della Chiesa
Gesù disse: “IO sono il buon pastore” (Gv 10,11). A Cristo compete chiaramente di essere pastore. Infatti, come il gregge viene guidato e pascolato dal pastore, così i fedeli sono nutriti da Cristo con un cibo spirituale, mediante il suo corpo ed il suo sangue.
Ma per differenziarsi da chi è pastore cattivo e ladro, egli aggiunge: “buono”. Sì, “buono”, perché assolve il compito del pastore, come si dice buon soldato chi assolve il compito del soldato. Ma siccome Cristo aveva detto prima che il pastore entra per la porta e che egli è la porta, mentre qui dice di essere il pastore, ne segue che egli entra attraverso se stesso. E veramente entra attraverso se stesso, perché rivela se stesso e per se stesso conosce il Padre. Noi invece entriamo per lui, perché da lui siamo resi beati. Osserva bene però che nessun altro, all’infuori di lui, è la porta, perché nessun altro è la luce vera, ma la possiede solo in quanto gli viene partecipata da lui. “Egli non era la luce”, è detto di Giovanni Battista, “ma venne per rendere testimonianza alla luce” (Gv 1,8). Invece di Cristo è detto “era la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). E perciò nessuno può dire di essere la porta. Cristo riservò questo solo a se stesso.
Il compito invece di essere pastori l’ha comunicato anche ad altri e l’ha partecipato ai suoi. Infatti Pietro fu Pastore, lo furono gli altri apostoli, lo sono tutti i buoni vescovi: “Vi darò pastori secondo il mio cuore” (Ger 3,15). Sebbene, infatti, i capi della Chiesa, che sono suoi figli, tutti siano pastori, come dice sant’Agostino, tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: “Io sono il buon pastore”, allo scopo di raccomandare la virtù della carità. Nessuno infatti può essere buon pastore, se mediante la carità non forma una sola cosa con Cristo e non diventa membro del vero pastore.
La carità è il primo compito del buon pastore, perciò dice: “Il buon pastore dà la vita per le sue pecore” (Gv 10,11). Infatti c’è questa differenza tra il buono e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge, mentre il cattivo ha di mira il proprio. E questa differenza è attestata dal profeta quando dice: “Guai ai pastori che pascolano se stessi. Non sono forse i greggi che devono essere pasciuti dai pastori?” (Ez. 34,2). Chi dunque si serve del gregge per pascere se stesso, non è buon pastore. Il buon pastore invece si fa carico di molte cose per il gregge di cui vuole il bene. Giacobbe disse: “Giorno e notte ero consumato dal caldo e dal gelo” (Gn 31,40).
Ma siccome la salvezza del gregge spirituale vale più che la vita corporale de pastore, quando incombe il pericolo del gregge, ogni pastore di anime deve sentirsi pronto ad affrontare il sacrificio della vita corporale per la salvezza del gregge. E questo è ciò che dice il Signore: “Il buon pastore dà la propria vita”, la sua vita fisica cioè “per le sue pecore” (Gv 10,11). Egli consacra a loro la sua persona nell’esercizio dell’autorità e della carità.
Di questo insegnamento Cristo ci ha dato l’esempio: “Se Cristo ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16).


Salmo 20
Signore, il re gioisce della tua potenza!
Quanto esulta per la tua vittoria!

Hai esaudito il desiderio del suo cuore,
non hai respinto la richiesta delle sue labbra.

Gli vieni incontro con larghe benedizioni,
gli poni sul capo una corona di oro puro.

Vita ti ha chiesto, a lui l'hai concessa,
lunghi giorni in eterno, per sempre.

Grande è la sua gloria per la tua vittoria,
lo ricopri di maestà e di onore,

poiché gli accordi benedizioni per sempre,
lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.

Perché il re confida nel Signore:
per la fedeltà dell'Altissimo non sarà mai scosso.

La tua mano raggiungerà tutti i nemici,
la tua destra raggiungerà quelli che ti odiano.

Gettali in una fornace ardente
nel giorno in cui ti mostrerai;
nella sua ira li inghiottirà il Signore,
li divorerà il fuoco.

Eliminerai dalla terra il loro frutto,
la loro stirpe di mezzo agli uomini.

Perché hanno riversato su di te il male,
hanno tramato insidie; ma non avranno successo.

Hai fatto loro voltare la schiena,
quando contro di loro puntavi il tuo arco.

Àlzati, Signore, in tutta la tua forza:
canteremo e inneggeremo alla tua potenza.

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