domenica 25 gennaio 2015

“Guarigione e cura nel vangelo di Marco”

Approfittiamo dell'occasione del Corso di formazione per animatori di pellegrinaggio dell'associazione U.N.I.T.A.L.S.I. per mettervi a disposizione altro materiale di riflessione sulla Parola di Dio


                             





Estratto dalla relazione del Prof. Luca de Santis

"In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna." Gv 6,47
Chi crede, il credente. E`un participio e il participio è un verbo e un nome. E`un nome che ha la qualità del verbo. Pensate alla parola «studente» e fatene l'analisi grammaticale. «Studente», nome, è uno che è iscritto ad una scuola ed è in regola col pagamento delle tasse. Poi può anche essere un somaro e non andare mai a scuola, però paga le tasse ed è a posto. «Studente», participio, è uno che forse non paga le tasse, però studia. Così è di questo "Chi crede".
Chi crede non è uno che ha il timbro del battesimo e che va a messa tutte le domeniche. Il credente è uno che CREDE. La fede non è una cosa. Nessuno può negare che il Vangelo di Giovanni farli molto della fede. Bene, sapete quante volte Giovanni usa la parola "fede" nel Vangelo? Mai. Questa parola nel quarto Vangelo non esiste. Esiste solo il verbo credere. noi siamo chiamati non ad avere un'idea di Dio, siamo chiamati a fare un qualche movimento. il credere è un movimento che suppone un dinamismo. Tra l'altro  costruito con un gruppo di preposizioni che presuppone un dinamismo, "credere verso", "andare verso qualcuno". 
Il credente ha ora vita eterna, ciò significa che l'unica posizione per avere la vita eterna è avere la fede, credere, anche se in una maniera un po' imprecisa, anche se in una maniera un po' imperfetta come la donna che aveva l'emorragia da dodici anni. Dio si accontenta di molto poco rispetto a quello che noi pensiamo e rispetto a quello che noi pretendiamo che gli altri facciano per avere la tessera di credente, di cristiano. Questa è l'unica cosa che ci è richiesta. [...]
Se il nostro credere non fosse solo una questione di coerenza con idee, con principi, ma fosse invece anche una questione di fedeltà, di adesione ad una persona, si capirebbe bene che il credente è quello che prova a ripetere i gesti di chi lo ha preceduto, a mettere in pratica, cioè a mettere, come scritto nella Prima lettera di Pietro, i suoi piedi nelle orme di Gesù che ci ha lasciato un'orma, cioè una cosa scritta sotto, che dobbiamo cercare facendoci guidare dalla Parola di Dio. 

sabato 24 gennaio 2015

Prendersi cura di tutta la vita e della vita di tutti: gesti e attenzioni

Vi proponiamo la visione dell'intervento di Francesca Mussati, responsabile nazionale Giovani Unitalsi (Area Nord Italia), al Corso di Formazione per Animatori di Pellegrinaggio, tenutosi a ChianchianoTerme il 15-18 gennaio 2015. Buona visione ma soprattutto buona riflessione a tutti!



martedì 20 gennaio 2015

Papa Francesco ai giovani (3)



“…i giovani sono coraggiosi, hanno speranza e sanno essere solidali.”

… Non voglio finire senza dire una parola su un problema che vi tocca, un problema che voi vivete nell’attualità: la disoccupazione. E’ triste trovare giovani “né-né”. Cosa significa, questo “né-né”? Né studiano, perché non possono, non hanno la possibilità, né lavorano. E questa è la sfida che comunitariamente tutti noi dobbiamo vincere. Dobbiamo andare avanti per vincere questa sfida! Non possiamo rassegnarci a perdere tutta una generazione di giovani che non hanno la forte dignità del lavoro! Il lavoro ci dà dignità, e tutti noi dobbiamo fare il possibile perché non si perda una generazione di giovani. Sviluppare la nostra creatività, perché i giovani sentano la gioia della dignità che viene dal lavoro. Una generazione senza lavoro è una sconfitta futura per la patria e per l’umanità. Dobbiamo lottare contro questo. E aiutarci gli uni gli altri a trovare una via di soluzione, di aiuto, di solidarietà. I giovani sono coraggiosi, l’ho detto, i giovani hanno speranza e – terzo – i giovani hanno la capacità di essere solidali. E questa parola solidarietà è una parola che non piace sentire, al mondo d’oggi. Alcuni pensano che sia una parolaccia. No, non è una parolaccia, è una parola cristiana: andare avanti con il fratello per aiutare a superare i problemi. Coraggiosi, con speranza e con solidarietà.

Siamo radunati davanti al Santuario della Madonna Addolorata, eretto nel luogo dove due ragazze di questa terra, Fabiana e Serafina, nel 1888 ebbero una visione della Madre di Dio mentre lavoravano nei campi. Maria è madre, ci soccorre sempre: quando lavoriamo e quando siamo in cerca di lavoro, quando abbiamo le idee chiare e quando siamo confusi, quando la preghiera sgorga spontanea e quando il cuore è arido: Lei sempre è lì per aiutarci. Maria è Madre di Dio, madre nostra e madre della Chiesa. Tanti uomini e donne, giovani e anziani si sono rivolti a Lei per dirle grazie e supplicare una grazia. Maria ci porta a Gesù, e Gesù ci dà la pace. Ricorriamo a Lei fiduciosi nel suo aiuto, con coraggio e speranza. Il Signore benedica ciascuno di voi, nella vostra strada, nel vostro cammino di coraggio, di speranza e di solidarietà.
 E non dimenticatevi: “camminare la vita”, mai “girare la vita”! Grazie!
    
A chiusura di questa parte di discorso del Papa, facciamo nostro un pensiero su Maria di don Tonino Bello:                                                                                                                                      
Santa Maria, donna della strada, «segno di sicura speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio», facci capire come, più che sulle mappe della geografia, dobbiamo cercare sulle tavole della storia le carovaniere dei nostri pellegrinaggi. È su questi itinerari che crescerà la nostra fede.
Prendici per mano e facci scorgere la presenza sacramentale di Dio sotto il filo dei giorni, negli accadimenti del tempo, nel volgere delle stagioni umane, nei tramonti delle onnipotenze terrene, nei crepuscoli mattinali di popoli nuovi, nelle attese di solidarietà che si colgono nell' aria. Verso questi santuari dirigi i nostri passi. Per scorgere sulle sabbie dell' effimero le orme dell'eterno. Restituisci sapori di ricerca interiore alla nostra inquietudine di turisti senza meta.
Se ci vedi allo sbando, sul ciglio della strada, fermati, Samaritana dolcissima, per versare sulle nostre ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza. E poi rimettici in carreggiata. Dalle nebbie di questa "valle di lacrime", in cui si consumano le nostre afflizioni, facci volgere gli occhi verso i monti da dove verrà l'aiuto. E allora sulle nostre strade fiorirà l'esultanza del Magnificat (Santa Maria, donna in cammino).

giovedì 15 gennaio 2015

“Esci… Mettiti in cammino!”








Alla Messa dell’Epifania un semplice sacerdote, non più tanto giovane e senza tante pretese, ha concluso la sua omelia in un modo, secondo me, “magistrale” (non in senso accademico, ma letteralmente, da maestro, come colui che può insegnare qualcosa).
Aveva cercato con un po’ di fatica di sottolineare il fatto che i Magi, pagani, stranieri, si erano messi in movimento per aver visto un segno.. di cosa.. non lo sapevano bene neanche loro. A Gerusalemme, cuore di Israele, cuore della religione ebraica, avevano perso questo segno, ma, invece di fermarsi o tornare indietro, decidono di rivolgersi a chi sicuramente poteva sapere qualcosa, ai sapienti, ai sacerdoti, al Re. E in effetti questi “sapevano”. E li mandano a Betlemme.
I Magi ripartono. Ma loro, i sapienti religiosi, se ne restano a palazzo o al tempio ad aspettare..
E i Magi incontreranno l’Emmanuele, i sapienti d’Israele no..
Ed ecco la conclusione, nella sua semplicità e profondità: anche da me, diceva, a volte arrivano persone “pagane, straniere”, che hanno avuto magari delle intuizioni. E il mio primo pensiero è come fare a riportarli in Chiesa, alle celebrazioni, ai sacramenti.. Ma il Vangelo mi dice qualcosa di diverso: mettiti in movimento con loro, esci sulle loro strade, lì dove l’Emmanuele li sta aspettando.. accompagnali all’incontro e lì, nelle loro vite quotidiane, insieme troverete Dio.
Tutto qui? Sì.. tutto qui.. scontato nella sua semplicità.. chi non parla ormai da anni di andare lì dove sono le persone, i giovani soprattutto?.. Eppure, sentire “il pastore” di una comunità che dall’alto dell’altare, con umiltà, riconosce di dover cambiare il suo modo di fare, il modo di “fare Chiesa”, il modo di condurre una certa pastorale dei Sacramenti,  a me ha fatto bene. Ben venga una Chiesa fatta di persone in cammino, gli uni accanto agli altri, uomini e donne, sacerdoti e religiosi,  in un accompagnarsi reciproco fino a scoprire Dio lì dove si manifesta, nella Vita di ognuno di noi!

martedì 13 gennaio 2015

Papa Francesco ai giovani (2)



Papa Francesco  ai giovani del Molise invitandoli a seguire Gesù per trovare in  lui un fedele compagno di viaggio (continua dal 15 dicembre)
Aspirate alla felicità, abbiate il coraggio di uscire da voi stessi, di giocare in pienezza il vostro futuro insieme a Gesù.

Da soli non possiamo farcela. Di fronte alla pressione degli eventi e delle mode, da soli mai riusciremo a trovare la via giusta, e se anche la trovassimo, non avremmo la forza sufficiente per perseverare, per affrontare le salite e gli ostacoli imprevisti. E qui entra l’invito del Signore Gesù: “Se vuoi… seguimi”. Ci invita per accompagnarci nel cammino, non per sfruttarci, non per farci schiavi, ma per farci liberi. In questa libertà ci invita per accompagnarci nel cammino. E’ così. Solo insieme con Gesù, pregandolo e seguendolo troviamo chiarezza di visione e forza di portarla avanti. Egli ci ama definitivamente, ci ha scelti definitivamente, si è donato definitivamente a ciascuno di noi. È il nostro difensore e fratello maggiore e sarà l’unico nostro giudice. Com’è bello poter affrontare le alterne vicende dell’esistenza in compagnia di Gesù, avere con noi la sua Persona e il suo messaggio! Egli non toglie autonomia o libertà; al contrario, irrobustendo la nostra fragilità, ci permette di essere veramente liberi, liberi di fare il bene, forti di continuare a farlo, capaci di perdonare e capaci di chiedere perdono. Questo è Gesù che ci accompagna, così è il Signore!

Una parola che a me piace ripetere, perché spesso la dimentichiamo: Dio non si stanca di perdonare. E questo è vero! E’ tanto grande il suo amore, che è sempre vicino a noi. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono, ma Lui perdona sempre, tutte le volte che glielo chiediamo.

Egli perdona definitivamente, cancella e dimentica il nostro peccato se ci rivolgiamo a Lui con umiltà e fiducia. Egli ci aiuta a non scoraggiarci nelle difficoltà, a non considerarle insormontabili; e allora, fidandoci di Lui, getterete nuovamente le reti per una pesca sorprendente e abbondante, avrete coraggio e speranza anche nell’affrontare le difficoltà derivanti dagli effetti della crisi economica. Il coraggio e la speranza sono doti di tutti ma in particolare si addicono ai giovani: coraggio e speranza. Il futuro certamente è nelle mani di Dio, le mani di un Padre provvidente. Questo non significa negare le difficoltà e i problemi, ma vederli, questi sì, come provvisori e superabili. Le difficoltà, le crisi, con l’aiuto di Dio e la buona volontà di tutti possono essere superate, vinte, trasformate.
A chiusura di questa parte di discorso del Papa, facciamo nostro una preghiera a Maria di don Tonino Bello:
Santa Maria, donna del primo passo, chi sa quante volte nella tua vita terrena avrai stupito la gente per aver sempre anticipato tutti gli altri agli appuntamenti del perdono. Chi sa con quale sollecitudine, dopo aver ricevuto un torto dall'inquilina di fronte, ti sei "alzata" per prima e hai bussato alla sua porta, e l'hai liberata dal disagio, e non hai disdegnato il suo abbraccio. Chi sa con quale tenerezza, nella notte del tradimento, ti sei "alzata" per raccogliere nel tuo mantello il pianto amaro di Pietro.
 Donaci, ti preghiamo, la forza di partire per primi ogni volta che c'è da dare il perdono. Rendici, come te, esperti del primo passo. Non farci rimandare a domani un incontro di pace che possiamo concludere oggi.  (Santa Maria donna del primo passo)

domenica 11 gennaio 2015

Dialogo, conoscenza, educazione: strategie per vincere il terrorismo



Intervista a Jean-Louis Tauran

«La cosa che più ha colpito della strage di Parigi è la crudeltà, sottolineata anche dal Papa, con cui si è consumata. Una crudeltà commessa da giovani traviati, provenienti da famiglie in cui non hanno mai sperimentato l’amore. Una crudeltà in cui però non riesco a vedere elementi realmente religiosi. La religione non è la causa di questo misfatto, come delle varie crisi che attanagliano il Medio Oriente, ma la religione non può non essere parte della soluzione. Non si può capire il mondo di oggi senza prendere in considerazione le religioni». Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, crede fermamente che il dialogo, una migliore conoscenza tra le religioni e l’educazione siano le uniche strategie per vincere il terrorismo. Il porporato è tornato dalla sua Francia proprio il giorno in cui a nella capitale transalpina due fratelli franco-algerini di religione islamica hanno assalito la redazione del settimanale satirico
Charlie Hebdo trucidando  dodici persone. E giovedì ha avuto un incontro, programmato da tempo, con alcuni imam francesi, al termine del quale è stata diffusa una dichiarazione in cui si ribadisce che è «imperativo opporsi all’odio e a tutte le forme di violenza che distruggono la vita umana ».

Avvenire incontra il porporato francese, molto stimato da Papa Francesco che lo scorso dicembre lo ha nominato anche Camerlengo di Santa Romana Chiesa, negli uffici del suo dicastero.
Eminenza, come valuta le reazione del mondo islamico a questo atto terroristico?
Gli imam francesi che ho incontrato giovedì esprimevano sentimenti di tristezza e di indignazione. Perché vedevano la loro religione associata ad un gesto di terribile crudeltà. Ma allo stesso tempo manifestavano la volontà di uscire da questa situazione. E concordavano sul fatto che è necessario lavorare molto a livello educativo, nelle università e nelle scuole.
Questa però è una soluzione a medio e lungo termine. Ma a breve?
Certamente si deve mettere queste persone nelle condizioni di non nuocere più. Si devono controllare gli eventuali legami con organizzazioni criminali e si devono disarticolare le reti terroristiche. Ma, ripeto, questo sforzo repressivo, seppur doveroso, non serve a nulla se in prospettiva non si lavora a livello educativo. Ma questo vale anche per il nostro mondo occidentale.
In che senso?
Anche noi dobbiamo conoscere meglio la religione islamica, che non può essere identificata con il terrorismo.
Ma questi atti terroristici aiutano a formulare questa identificazione...
Appunto, è necessario conoscere meglio l’islam, e in questo è importante il ruolo dell’educazione ma anche dei massmedia e della tv in particolare.
Percepisce una maggiore sensibilità da parte islamica nel condannare e contrastare gli elementi terroristici che sono presenti nel suo interno?
Come è noto ci sono diversi modi di vivere l’islam. E in quelli che incontro noto certamente una accresciuta sensibilità. L’ho sperimentata ad esempio nel corso dei colloqui avuti con i responsabili sciiti che ho incontrato recentemente in Iran.
Più in generale come procede il dialogo del suo dicastero con il mondo islamico?
Abbiamo incontri regolari con alcune istanze. A novembre, ad esempio, si è tenuto a Roma il terzo seminario del Forum cattolico-musulmano. Permangono tuttavia problemi per la libertà religiosa in alcuni Paesi a maggioranza islamica, e rimane tuttora interrotto il dialogo con l’Università al-Azhar del Cairo.
Come valuta le cosiddette primavere arabe?
È stato un fenomeno interessante, provocato da giovani che volevano lavoro, diritti, libertà. Ma purtroppo gli esiti non sono quelli sperati. Bisognerà forse attendere una nuova generazione per vedere un'evoluzione positiva.
Quanto contribuirebbe alla sconfitta del terrorismo una soluzione del conflitto israelo-palestinese?
Ho sempre sostenuto che quella è la madre di tutte le crisi. Una soluzione di quel conflitto avrebbe certamente un influsso molto positivo su tutto lo scacchiere mediorientale. Ma gli ultimi segnali, ahimé, non sono incoraggianti.
Tornando alla strage di Parigi. Anche nei commenti di giornali laici sono state espresse riserve su una satira dai toni volutamente blasfemi...
È vero che non si può ridere di tutto. E ci sono delle sensibilità, anche religiose, che andrebbero sempre rispettate. Ma la libertà di espressione è un bene irrinunciabile in un regime democratico. E nulla può giustificare quanto successo a Parigi.
Un’ultima domanda. Leggerà l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq?
No. E non darei molto peso a questo autore.




Testo originale (da Avvenire)