sabato 30 gennaio 2016

Teniamo lo sguardo su Gesù



Fu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi? Molto, e possiamo parlare di una duplice necessità: come rimedio contro il peccato e come esempio nell'agire.
Fu anzitutto un rimedio, perché è nella passione di Cristo che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati. Ma non minore è l'utilità che ci viene dal suo esempio. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita. [...]

Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi, non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.

Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano. Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non apri la sua bocca (cfr. At 8, 32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: «Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia» (Eb 12, 2).

Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.

Dalle «Conferenze» di san Tommaso d'Aquino
(Conf. 6 sopra il «Credo in Deum»)

sabato 23 gennaio 2016


"Dio è dentro di noi, siamo noi che siamo fuori di noi.
Dio è a casa, siamo noi che siamo fuori".
(Meister Eckart)

martedì 5 gennaio 2016

Con i fatti e nella verità


“Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.  Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui.
In questo abbiamo conosciuto l'amore, nel fatto che Gesù ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli.  Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?  Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”. (1Gv 14-20)


Siamo disorientati, ci spazientiamo  di fronte al male che vediamo fuori di noi e spesso in noi e da noi. I fatti, le azioni certamente  dicono se si agisce con verità, se c’è vero amore nel cuore delle persone. A volte “ci prendiamo” a giudicare la cattiveria delle azioni altrui; ma chi può leggere ciò che sta dentro il cuore delle altre persone? Chi può conoscere le intenzioni che muovono le azioni? Ciò che invece è sicuro, è vero, è che, mentre giudichiamo gli altri, ci esponiamo alla pericolosa illusione di essere noi persone buone, vere nel fare il bene. “In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore…” quando ci impegniamo a “dare la vita per i fratelli”. Lasciamo a Dio giudicare gli altri che “è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”, noi… amiamo!

venerdì 1 gennaio 2016

L'officina della pace

A DIRE il vero non siamo molto abituati a legare il termine “pace” a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: “Quell’uomo si affatica in pace”, “lotta in pace“, “strappa la vita coi denti in pace”. Più consuete, nel nostro linguaggio, sono invece le espressioni: “sta seduto in pace”, “legge in pace”, “medita in pace” e, ovviamente “riposa in pace”.
La pace, insomma ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante. Più il confort del salotto che i pericoli della strada. Più il caminetto che l’officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli. Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte che i rumori del meriggio.
Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.  Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia.
Esige alti costi d’incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”.
Sì, la pace prima che traguardo è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste. Se è così occorrono attese pazienti.
E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai – su questa terra s’intende – pienamente raggiunta.

(Don Tonino Bello, discorso  per la marcia della pace a Saraievo,  dicembre 1992)

A chi è giovane, il dovere e l’impegno di mantenerci in una dinamica lotta pacifica per andare verso un futuro di pace e prosperità per tutti. A chi è più avanti nell’esperienza della vita, il dovere e l’impegno di togliersi “la vestaglia da camera” e affrontare i pericoli della strada del dialogo vero, disposti a perseverare con questo atteggiamento fecondo nella “officina brulicante di problemi” che è il mondo degli umani.