lunedì 31 dicembre 2012

Amare senza capire

Giuseppe e Maria sono due genitori come gli altri, in un certo senso. In questo tempo, in questa Domenica la liturgia ce lo ricorda. Due genitori che accolgono il mistero che avvolge loro figlio, un mistero che avvolge tutti i nascituri.

Lo hanno accettato nella fede e per amore, dai primi momenti, nel compimento della sua giovinezza, nella sua missione, partecipandovi accostati.

Hanno saputo amare, senza capire: quale meraviglioso esempio di libertà!

Buona Domenica della Sacra Famiglia a tutti!

venerdì 28 dicembre 2012

PRENDI CON TE IL BAMBINO E SUA MADRE E FUGGI IN EGITTO (Mt 2,13)

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Un angelo apparve in sogno a Giuseppe, dopo l’arrivo dei Magi, e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto”. Se dovevano fuggire, significa che c’era un pericolo. Era la persecuzione, la violenza dei potenti, la paura di chi è superbo ed egoista e per il proprio tornaconto calpesta gli altri.
Pericoli di questo genere continuano a serpeggiare in mezzo all’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi. E i poveri spesso si difendono con la fuga.
La gente che accolse questa piccola famiglia in Egitto, forse non venne a sapere il motivo per cui quegli “stranieri” erano arrivati lì. Succede spesso anche tra noi oggi.
“Prendi il bambino e sua madre”, questo era l’essenziale ma a quante altre cose avrà dovuto provvedere Giuseppe, uomo scelto da Dio dalla discendenza di Davide perché il Figlio Unigenito entrasse legalmente in mezzo all’umanità. Servivano acqua, pane, vesti… e forse ancora fieno! L’essenziale però erano il bambino e sua madre.

Sta per arrivare un nuovo anno che richiama a tutti il valore del tempo. Nella liturgia, tra le letture proposte c’è il Salmo 66 che dona la benedizione di Dio su tutti noi che siamo in cammino. Forse anche Giuseppe e Maria hanno pregato insieme alcuni Salmi mentre si inoltravano nella notte su sentieri poco conosciuti. Assieme a loro anche noi possiamo unirci al coro di quanti credono che Dio soccorre quanti si lasciano condurre da Lui. Anche noi possiamo pregare con questo Salmo 66, dopo averne meditato le parole che sono anche per noi, come per il popolo d’Israele, un invito alla fiducia.

2Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
3perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza.
4Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
5Esultino le genti e si rallegrino,
perché giudichi i popoli con giustizia,
governi le nazioni sulla terra.
6Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
7La terra ha dato il suo frutto.
Ci benedica Dio, il nostro Dio,
8ci benedica Dio
e lo temano tutti i confini della terra.
Il 1° gennaio per i cristiani è la solennità liturgica di Maria Madre di Dio, è un giornata di tanti auguri per il Capodanno, ed è la giornata della pace. Il Salmo 66 può ricordarci tutto questo.

 

giovedì 27 dicembre 2012

Beata Imelda, modello di umiltà

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Natale è un tempo davvero speciale: un tempo importante, nel quale gli angeli cantano “Gloria a Dio nell’altro dei cieli”, un tempo che si è fatto Bambino, piccolo e indifeso per incontrarci. 

Padre Giocondo ha dato la Beata Imelda Lambertini come modello sublime di amore eucaristico alle suore Domenicane Imeldine.
Imelda è una figura avvolta dal mistero: ancora fanciulla entrò in un convento domenicano della città di Bologna nella prima metà del 1300. Era così desiderosa di ricevere Gesù Eucaristia che supplicava tutti di esaudirla e cercava di meritarsi questo dono con la bontà della vita. Fu così che un giorno, prodigiosamente, Gesù stesso le si comunicò. Il suo giovane cuore non resse per la grande gioia e nel 1333, a soli 13 anni, morì. Per questo suo ardente amore per Gesù Eucaristia è considerata patrona dei bambini che lo ricevono per la prima volta.

La vita e la stessa morte d’Imelda permettono d’intendere la totalità della persona, che vive di questo amore eucaristico per tutta la durata dei suoi giorni. Di più ancora: l’intensità dell’amore è tale che tutta l’esistenza ne è vivificata fino a coincidere con esso; la stessa vita perciò diviene un atto di amore eucaristico, un atto solo e continuo, unico e intenso, che consegue la sua pienezza nella morte – in questa condizione di vita presente – per spalancarsi al cielo.

Scrive P. Giocondo, indicando la ragione dell’esemplarità d’Imelda per l’anima eucaristica:
“La B. Imelda è modello non solo per riferimento al valore fondamentale della vita eucaristica, ma anche per ognuna delle virtù eucaristiche.”

Modello di umiltà
“Questa cara virtù dell’umiltà – scrive p. Giocondo – che è il fiore più splendido e il frutto più prezioso che si possa cogliere da Gesù sacramentato, sia la virtù fondamentale e dominante dell’anima eucaristica: Insegnaci ed aiutaci, o umilissima Imelda, ad distruggere il nostro orgoglio ai piedi del tabernacolo, il nostro amor proprio così fine e sottile che s’infiltra in tutte le nostre opere” (AL 32 12 (24).
Imelda studiando e contemplando L’umiltà di Gesù, aveva imparato delle grandi lezioni di umiltà…ella voleva diventare come una specie sacramentale che nulla lascia a vedere di quello che è la sostanza che nasconde ogni dono di virtù, di perfezione, di bellezza soprannaturale”. (AL IV 12 (24) 

Buon incontro con Gesù Eucaristia, che possa nascere e crescere ogni giorno nel nostro cuore.

mercoledì 26 dicembre 2012

“Beata colei che ha creduto!” (Lc 1,45)

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39In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? 44Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».

 


Il vangelo ci presenta due personaggi, Maria e la cugina Elisabetta, che indicano l'atteggiamento che dobbiamo avere nel nostro spirito per contemplare e celebrare il mistero della nascita di Gesù, “il Verbo che si fece carne” (Gv 1,14). Deve essere un atteggiamento di fede, e di una fede dinamica come quella di Maria. Elisabetta, con sincera umiltà, "fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: (...) A chedebbo che la madre del mio Signore venga a me?" (Lc 1,41-43). Nessuno le aveva detto, solo la fede, lo Spirito Santo le aveva fatto capire che la sua cugina era la madre del suo Signore, Dio. Conoscendo l'atteggiamento di piena fiducia che aveva Maria - quando l'angelo le disse che Dio l’aveva scelta per diventare la sua madre terrena - Elisabetta ha proclamato la sua gioia piena di fede dicendo: "Beata colei che ha creduto" (Lc 1,45). È quindi con un atteggiamento di fede che dobbiamo vivere il Natale, una fede dinamica, ad imitazione di Maria e di Elisabetta. Di conseguenza, come Elisabetta, esprimere anche esternamente la gratitudine e la gioia di credere e, come Maria, mostrare questa fede anche con le opere. "Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta" (Lc 1,39-40), per congratularsi con lei e, per aiutarla, “rimase con lei circa tre mesi” (cfr. Lc 1,56).
La Parola di Dio, oggi, ci insegna a progredire nella fede, ad esercitarci nella carità fraterna, a lodare Dio e in Lui solo esultare. BUON NATALE!!!

lunedì 24 dicembre 2012

CON I NOSTRI PRESEPI VI FACCIAMO TANTI AUGURI!

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NATALE CON MARIA, ICONA DELLA FEDE OBBEDIENTE

Guardiamo all'atteggiamento interiore di Maria di fronte all'azione di Dio al momento della nascita di Gesù, dopo l'adorazione dei pastori. Il testo biblico afferma che Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); in greco il termine è symballon, potremmo dire che Ella "teneva insieme", "poneva insieme" nel suo cuore tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento, ogni parola, ogni fatto all'interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio. Maria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne, e acquista quella comprensione che solo la fede può garantire. E' l'umiltà profonda della fede obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell'agire di Dio, lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E' proprio per la sua fede che tutte le generazioni la chiameranno beata.

La solennità del Natale del Signore ci invita a vivere questa stessa umiltà e obbedienza di fede. La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino. L'onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell'amore. La fede ci dice, allora, che l'indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo.. (Cfr. Udienza di Benedetto XVI, mercoledì, 19 dicembre 2012 )

 

L'UMANITA' CERCA IL SALVATORE; TROVATOLO NE RAVVIVA LA PRESENZA CON L'OFFERTA DI SE' NELLA PREGHIERA

Questo presepe può essere interpretato in molti modi, noi, nel costruirlo, abbiamo pensato di attribuirgli questi significati. Nel presepe sono rappresentate 3 scene: Al centro troviamo una natività un po' insolita: il bambino non è in fasce, non è timido, non è indifeso, ma è già grandicello, vispo e gioioso. Con le sue braccia aperte ti viene incontro per abbracciarti e per acco- glierti con gioia.

Abbiamo scelto il giallo così vivido in questa scena, per rappresentare la gioia che non può mai mancare al cristiano, e il rosso per rappresentare l'affetto, la compassione, la benevolenza che ogni incontro in Cristo porta con sé. Questa scena centrale è avvolta dalla notte. In questa notte sono rappresentati 2 gruppi di re magi, che stanno a rappresentare l'umanità.
Nella scena di sinistra c'è un'umanità che sempre cerca la luce, nell'oscurità di una ricerca solo umana. Nella scena in basso a destra, con la rivelazione della nascita del vero salvatore è rappresentata un'umanità che prega e si offre nella quotidianità.
Il colore verde, caratteristico della liturgia del tempo Ordinario, vuole simboleggiare proprio la dimensione della preghiera quotidiana che apre alla speranza nella misericordia e nella grazia del Signore che sempre ci avvolge.

domenica 23 dicembre 2012

Natale alle porte

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Ormai il Natale è alle porte, manca davvero poco. La liturgia di oggi ci propone un incontro, un incontro semplice, ma carico di gioia, desiderio, attesa, non di futilità o sovrappiù, ma di amore.
Amore di mamma, amore di figlio, amore di un profeta che scalcia e annuncia il suo messia .

 

" Dio non è nella rigidità,

Dio non è nel trattenersi,

Dio non è nel chiudersi.

E' nello sbilanciarsi, che è

lo sbilanciamento dell'amore."

Angelo Casati

 

Auguri di un felice-sbilanciato Natale a tutti

 

Condividiamo l'evento programmato dal team di Spazio Giovani SDBI





 
Perché non partecipare??? :-D

sabato 22 dicembre 2012

MARIA DEPOSE GESU’ NEL PRESEPIO

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Noi siamo nati 2000 anni dopo quell’avvenimento che chiamiamo “Il primo Natale”. Forse uno degli aspetti esteriori che è rimasto oggi, come nei giorni in cui nacque il Signore Gesù, è un particolare movimento di folla nelle città. C’era un censimento allora, voluto dall’Imperatore romano Augusto, oggi c’è soprattutto un movimento commerciale, sperando che esso contenga anche un senso cordiale di festa e di solidarietà.
Ci sono luci, alberi, presepi, doni… magari tutti ne potessero godere! C’è però una diversità tra queste manifestazioni attuali del Natale e quelle che troviamo nel Vangelo, e che dobbiamo ricordare se non vogliamo perdere il principale significato di questa grande festa cristiana.
Nel Vangelo la luce è una stella straordinaria, i doni sono soprattutto per quel piccolo Bambino, il piccolo Re che intimorisce i potenti e che i pastori del luogo trovano adagiato nel presepio.

Cos’è il realtà il presepio? La parola latina “praesepium” indicava la mangiatoia per gli animali di una stalla. Un contenitore dove mettere il fieno necessario per l’alimentazione di queste creature che sono al servizio dell’uomo. Per loro il fieno e la paglia sono cibo, ma vengono usati anche come letto per il loro riposo. Fieno e paglia tolgono la durezza della terra e, nella mangiatoia (presepio), tolgono la durezza del legno o della pietra dove sono contenuti. Possiamo pensare, come dice il Vangelo, che Maria abbia trovato naturale usare quella mangiatoia (presepio) come lettino dove deporre Gesù, avvolto nei panni, per il suo sonno infantile.
Il fieno e la paglia sono erba appassita, sono realtà naturali con qualche valore per noi, ma non sono qualcosa di molto importante e desiderabile. Eppure sono il luogo scelto da Gesù per entrare nella nostra storia. Ciò deve farci riflettere.
E’ bello che ci siano anche le “luminarie” del Natale sulle nostre strade, infatti nei primi secoli della storia cristiana la festa del Natale è stata collocata in questo periodo dell’anno solare per dare un nuovo significato alla “festa del Sole”, che proprio dopo il solstizio di dicembre ritorna ad apparire più alto nel nostro orizzonte. Il Sole che illumina totalmente la nostra vita è il Signore Gesù.

Terminiamo ricordando una poesia, forse francese nel suo testo originale, che descrive il Natale così:
E’ caduta una rosa sul fieno…
La rosa è Gesù, il fieno siamo noi!
Non servono molte altre parole come invito a guardare il “presepio” dove Maria ha deposto Gesù.

mercoledì 19 dicembre 2012

Eucaristia e amore di Dio

“E’ nell’Eucaristia che è racchiuso e condensato tutto l’immenso amore che Dio prova per l’uomo. In esso è presente la Trinità stessa, l’umanità immacolata di Cristo che rivela la sua incarnazione, passione, morte e risurrezione: tutto ciò che Dio ha fatto e fa per l’uomo l’Eucaristia ce lo rende presente e operante” (testi vari di predicazione)
Nell’Eucaristia è reso presente e comunicato tutto l’amore che Dio ci ha manifestato nella storia della salvezza e che si è supremamente espresso nella morte-risurrezione di Gesù. Perciò in essa abbiamo tutto quello che Dio ha fatto e farà per noi. Per Gesù vivere è amare, amare è donarsi, donarsi è servire, servire è morire, morire per dare la vita. Nel silenzio del nostro cuore chiediamoci se la nostra vita è tutta amore, dono, servizio, morte, vita.

martedì 18 dicembre 2012

«E noi, che cosa dobbiamo fare?»

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Dal Vangelo secondo Luca 3, 10-18 (3a domenica di avvento)

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Come Domenico che leggeva e scrutava la Parola, anche noi ci lasciamo scrutare, illuminare e guidare da essa.
Più che un elenco di norme comportamentali, la parola di Giovanni Battista rimanda ciascuno dei suoi interlocutori - e ciascuno di noi ai quali si rivolge oggi - all'obiettivo più importante della loro vita, del loro impegno. Per chi, per che cosa vivono, agiscono, lavorano? Spesso, in modo istintivo ed egoistico, ognuno cerca il proprio tornaconto ma… è anche in questo che trova la propria realizzazione più vera, totale, profonda, cioè la propria felicità?
Nel chiedere "che cosa dobbiamo fare" le folle, i pubblicani, i soldati desideravano sottrarsi all'ira di dio ma Dio ha in serbo per noi ben più di uno scampato pericolo, vuole che viviamo la bellezza della verità che è la nostra vita con Lui.
Il battesimo in Spirito Santo e fuoco è riconoscere che in Cristo "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" e che la nostra vita, vibrante del suo amore, diventa luce che illumina, fuoco che riscalda tutti, noi per primi e tutti quelli che avviciniamo.

Con Caterina da Siena lasciamoci bruciare dal fuoco dell'amore.
Allora quell'anima, quasi ebbra e fuori di sé, mentre le cresceva il fuoco del santo desiderio, se ne stava come beata e dolorante. Beata per l'unione che la stringeva a Dio, gustandone la larghezza e bontà, tutta annegandosi nella sua misericordia; dolorante, nel vedere offendere tanta bontà. […]
Spronata allora da santo desiderio, si elevava molto maggiormente, aprendo l'occhio dell'intelletto, e si specchiava nella divina carità, in cui gustava e vedeva quanto noi siamo tenuti ad amare e a cercare la gloria e la lode del nome di Dio nella salute delle anime. A questo vedeva chiamati i servi di Dio… (Il Dialogo della Divina Provvidenza, Cap. 19)

Chi è Caterina?

Nata a Siena il 25 marzo 1347, 24a figlia di Giacomo e Lapa Benincasa, Caterina celebrò a sette anni il suo matrimonio mistico con Cristo. Che ciò non fosse il frutto di fantasie infantili, ma l'inizio di una straordinaria esperienza mistica, lo si poté costatare molto presto. A 15 anni Caterina entrò a far parte del Terz'ordine di S. Domenico (o Mantellata, per l'abito bianco e il mantello nero), iniziando una vita di penitenza e di carità verso i condannati e gli infermi. Portata al misticismo, ricevette le stigmate. Analfabeta, cominciò a dettare a vari amanuensi le sue lettere, accorate e sapienti, indirizzate a papi, re, condottieri e umile gente del popolo. Il suo coraggioso impegno sociale e politico suscitò non poche perplessità tra i suoi stessi superiori e dovette presentarsi davanti al capitolo generale dei domenicani, per rendere conto della sua condotta. Entrò in contatto con grandi personalità tra le quali Gregorio XI che convinse a riportare la sede pontificia da Avignone a Roma e dal quale ottenne diverse concessioni a favore del proprio Ordine. Le sue opere più importanti ci offrono una sintesi dell'esperienza domenicana, agostiniana, francescana e mistica con cui entrò in contatto, ravvivata dalla sua mente illuminata dall'intima unione con Dio.

Cos'è il Dialogo della Divina Provvidenza?
Può considerarsi l'opera Cateriniana per eccellenza in quanto costituisce la sintesi del pensiero della Santa e la base della sua laurea a Dottore della Chiesa. Il Dialogo rappresenta un documento eccezionale e una delle poche testimonianze in cui una Santa pone direttamente delle domande a Dio Padre e riceve delle risposte sulle varie questioni di fede. Destinatari sono tutti coloro che desiderano capire di più Dio Padre misericordioso, un babbo, come lo ha definito il beato Giovanni Paolo II, che si comporta come tale nel dialogo con Caterina.

domenica 16 dicembre 2012

Il Signore è vicino!

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Oggi l'invito gioioso e pieno di speranza! Scoprire Dio nella nostra vita è lieta e armoniosa comunione e condivisione.

Buona Domenica a tutti!

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési

Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

 

 

sabato 15 dicembre 2012

CREDO IN GESU’ NOSTRO SIGNORE CHE NACQUE DA MARIA VERGINE

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La Chiesa Cattolica universale vive l’Anno della Fede. Il Papa nella lettera in cui annuncia questo suo invito, proposto anche per celebrare il grande evento del Concilio Vaticano II, chiede che spesso la comunità cristiana preghi con le parole di quello che viene chiamato “Credo” o “Simbolo degli Apostoli”. Si era infatti ancora nell’epoca iniziale del cristianesimo quando venne formulata questa professione di fede, richiesta nella celebrazione del Battesimo e poi in vari momenti della vita cristiana.
All’interno di questa preghiera noi proclamiamo:
Credo in Gesù Cristo… nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine.
Questa verità sconcertante (Gesù è vero Dio e vero uomo) trova in Maria di Nazareth il suo percorso semplice e ammirevole. Nel periodo dell’Avvento e del Natale questa verità viene vissuta con particolare intensità.

Non c’è stato niente di “fantastico” nella venuta del Salvatore in mezzo a noi. E’ entrato in una famiglia legalmente riconosciuta, ha sperimentato il lavoro quotidiano, le amicizie e le avversità. Certo, negli ultimi tre anni doveva rivelarsi come il Messia atteso da Israele e questo non poteva essere un fatto “normale”, non era un fatto ordinario ma straordinario, sebbene non di quella straordinarietà che si aspettava il popolo di quel tempo.
Lo stupore dei credenti delle successive generazioni davanti a Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, cioè davanti al mistero dell’”incarnazione del Verbo”, può essere colto anche da un antico canto in lingua latina che, davanti all’Eucaristia dice: Ave verum corpus natum de Maria Virgine!
Sappiamo che il nostro Salvatore rimane in mezzo a noi in vari modi, come egli stesso ci insegna nel Vangelo:

  • Io sarò con voi per sempre
  • Se due o tre si riuniscono nel mio nome, io sono in mezzo a loro
  • Se uno mi ama, il Padre mio l’onorerà e verremo a lui…

Nel canto Ave Verum viene reso omaggio al più forte tra questi modi, se così si può dire, con cui Gesù si fa presente al suo popolo. E’ la presenza eucaristica, nei segni sacramentali del pane e del vino. Dopo la consacrazione, il Sacerdote che celebra la Messa esclama “Mistero della fede!”. E’ infatti per la fede nella Parola di Gesù che noi crediamo tale mistero, per la fiducia nella Chiesa che ce l’ha trasmesso…
Nella celebrazione eucaristica anche Maria è invocata perché ci aiuti in questa fede.

(TESTO LATINO)
Ave Verum Corpus natum de Maria Virgine
Vere passum, immolatum in cruce pro homine,
Cujus latus perforatum unda fluxit et sanguine,
Esto nobis praegustatum in mortis examine.
O Jesu dulcis, O Jesu pie, O Jesu, fili Mariae.

(TESTO ITALIANO)

Ave, o vero corpo, nato da Maria Vergine,che veramente patì e fu immolato sulla croce per l'uomo,
dal cui fianco squarciato sgorgarono acqua e sangue:
fa' che noi possiamo gustarti nella prova suprema della morte.
O Gesù dolce, o Gesù pio, o Gesù figlio di Maria.

Ascolta

Ave verum corpus (Mozart) Nino Rota Orchestra (Bari)

Credo in unum Deum, Balduzzi e Casucci (Verbum Panis)

 

 

giovedì 13 dicembre 2012

Eucaristia e fede

"L’Eucaristia è il mistero di fede per eccellenza. Infatti dove abbiamo un mistero di fede che maggiormente confonde la nostra ragione? Nel tabernacolo tutto è luce, ma questa luce splende in mezzo alle tenebre più fitte: vi è un Dio sotto le apparenze di un po’ di pane! Siamo umili nelle nostre miserie; affidiamo a Gesù totalmente la nostra anima e contentiamoci di avere la fede, senza sentirla"(Euc. e S. n. 9).
Rimango profondamente colpita da queste brevi espressioni uscite dalla mente e dal cuore di P. Giocondo Lorgna e cerco di meditarle intensamente per coglierne l’intimo significato. Padre Giocondo è una miniera inesauribile: ogni suo pensiero è intriso di sapienza, di quella intima e soprannaturale sapienza che solo i grandi contemplati posseggono. Io me lo vedo il mio caro Padre Fondatore lì inginocchiato davanti al Tabernacolo in umile atteggiamento, ma con tutto il suo essere teso verso l’unico oggetto di tutte le sue aspirazioni. La sua cocente sete d’ amore trasporta il suo spirito nella contemplazione del mistero eucaristico nel quale solo la sua grandissima fede è capace di scoprire in esso la luce sia pur attraverso le tenebre più fitte. Quali saranno stati i sentimenti di P. Giocondo dinanzi a quel Dio nascosto sotto le apparenze di un po’ di pane? Nient’altro che sentimenti di amore sostenuti certo dalla fede che più di una volta gli avrà confuso la ragione, ma che egli riusciva sempre ad armonizzarla con il mistero contemplato. Cerco di darmi una ragione dell’amore di P. Lorgna per l’Eucaristia: dopo tanto pensare credo di aver trovato la risposta rapportandola alla sua personalità. Padre Giocondo infatti è sempre andato all’essenza delle cose e le ha vissute con quello spirito eminentemente domenicano che tutto fa convergere in Dio. Ora nell’Eucaristia c’è l’unica Essenza, lì si è sicuri di arrivare dritti dritti al cuore stesso di Cristo, principio e fine di tutto. Certamente P. Lorgna si è accontentato di avere la fede in Gesù Eucaristia senza sentirla e non ha cercato delle particolari illuminazioni di questo o di quell’altro aspetto del mistero: la presenza certa di Gesù nel Sacramento dell’altare lo avvolgeva in un’unica luce che gli dissipava ogni dubbio. Nello stesso tempo, però, non ci nasconde la difficoltà di credere in un mistero così difficile! E’ sempre tanto umano il padre ed è proprio per questo che me lo sento vicino quando me ne sto muta davanti al SS. Sacramento cercando di vedere quella luce che la mia debole fede non mi fa scoprire. E allora prego il mio Fondatore di venirmi in aiuto, lo supplico di venirmi in aiuto, lo supplico affinché veda lui per me e offra a Gesù Eucaristia tutta la mia miseria.
Non è facile il contentarci di credere senza mai sentire niente, ciò presuppone l’avere già fatto in noi tutto un lavorio di purificazione delle nostre facoltà intellettuali appunto perché dinanzi al SS. Sacramento dell’Altare si può stare solo in atteggiamento di profonda umiltà. Non possiamo illuderci, però: l’amore a Gesù Eucaristia si nutre sempre e solo di fede. Se ciò non fosse come si potrebbe spiegare razionalmente un mistero che tanto più è reale quanto meno è legato alla nostra ragione e alle nostre e impressioni? Se affideremo a Gesù eucaristico tutta la nostra vita facendone un continuo e rinnovato atto di offerta allora anche ne noi, come P. Lorgna, scopriremo nel tabernacolo nient’altro che luce e una luce tanto più intensa e tanto più vera quanto più sarà alimentata dalle fede e da un totale abbandono in Dio.
Nella foto: Giovanni di Balduccio, la virtù della fede (arca di San Pietro martire in Sant'Eustorgio a Milano), 1335-39.

lunedì 10 dicembre 2012

Domenico, uomo della Parola

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Gli studiosi biblici dicono che le parabole non hanno tanto lo scopo di dare un insegnamento, un contenuto, ma piuttosto di provocare chi ascolta, di portarlo a vedere un’altra realtà, a considerarla e a prendere decisione. Dicono un’altra cosa interessante: le parabole di Gesù hanno sempre un elemento stupendo, una cosa inabituale, pure prendendo dalla vita quotidiana del suo tempo. Ma questo si capisce: le parabole di Gesù aprono l’uomo ad una vita tutta nuova!
Ma perché questo discorso sulle parabole? Perché c’è una parabola che ha un significato profondo nella vita di San Domenico e che ci aiuta a capire qualcosa dell’ardore che lo animava per la predicazione. Diamo la parola a Gesù:
“Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno". E diceva: "Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”(Mc 4, 3-9)
Ma quale seminatore andrebbe a sprecare così il seme, da seminare tra i sassi, i rovi e addirittura sulla strada? Soltanto un matto può agire così! Ma Gesù dice che questo matto è Dio! Dio pazzo d’amore, semina la sua vita nei nostri cuori, in ogni uomo, senza guardare come siamo, senza contare quante volte diciamo no o sì.
Questa bontà di Dio smisurata era il segreto che San Domenico aveva scoperto e ha portato preziosamente nel suo cuore. Voleva seminare la Verità ovunque… Era così preso da questa meravigliosa scoperta su Dio che per ben sei anni, quasi solo, egli andò predicando il Vangelo in diverse città. E al termine di questi anni di solitudine, non appena sedici compagni si erano uniti a lui, egli li mandò nelle grandi città per “studiare, predicare e fondarvi conventi”. Che audacia! Sì, l’audacia di chi dimentica la sua piccolezza perché ha capito che Dio lo vuole per la grande opera che è far conoscere agli altri il suo amore. E diceva San Domenico ai suoi amici che non capivano il suo gesto: “Il buon grano, quando viene sparso, fruttifica, mentre marcisce, se rimane ammucchiato.” Chi ha conosciuto l’amore di Dio, anche un solo po’, lo ha tra le sue mani come semi invisibili.
Offriamo un sorriso all’altro, un buongiorno, una parola buona, una mano senza chiedere dove andrà. Soltanto perché, anche noi, abbiamo sentito parlare dell’amore di Dio. Lo conosciamo ancora così poco, ma l’abbiamo già in noi, come buon grano da seminare generosamente, dove ci troviamo.

domenica 9 dicembre 2012

Insieme nel giorno del Signore

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Grazie a tutti coloro che questa settimana hanno fatto comunità con noi e hanno contribuito ad arricchire le nostre preghiere. Insieme ci siamo ricordati che nella vita di ogni giorno, nei momenti di sconforto, possiamo scoprire la presenza del Signore, la sua mano che sostiene e solleva, la sua promessa che fa guardare avanti con fiducia, la sua grazia trasformante che fa fiorire bellezza in quanti come Maria si affidano totalmente a Lui.

Buona Domenica a Tutti!!!!

sabato 8 dicembre 2012

Tota Pulchra

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l calendari cristiani, oggi 8 dicembre, celebrano la festa dell’Immacolata.
L’Immacolata è Maria di Nazaret, salutata dall’Angelo come ”piena di grazia”, quindi la creatura umana che fu preservata da quell’allontanamento da Dio che chiamiamo peccato originale, perché a lei veniva chiesto di essere la madre del nostro Salvatore.
Senza macchia, senza colpa, ma anche lei pellegrina nella fede come noi. Gesù morente sulla croce l’ha proclamata anche nostra madre e a noi, nella persona dell’apostolo Giovanni, ha chiesto di ritenerci suoi figli. E’ ciò che il popolo cristiano ha fatto fin dall’inizio, e tutti i secoli cristiani hanno lasciato le impronte di questa eredità ricevuta. Una di queste impronte sono i canti.
Dai secoli più recenti fino ad oggi c’è un canto popolare in lingua italiana che dice così:
Immacolata, Vergine bella,
di nostra vita tu sei la stella…
Molti di noi avranno sentito questo canto nelle varie parrocchie, da voci più o meno intonate, ma certamente cantato con il cuore.
Il Vangelo non lo dice, ma noi sentiamo che in Maria ci sono quelle doti umane che noi esprimiamo quando diciamo di qualcuno: è una bella persona. La bellezza interiore infatti si riflette come una luce all’esterno, non basta quindi la pur apprezzabile bellezza fisica. Maria era bella, di una bellezza spontanea che rifletteva l’armonia del suo spirito e di un particolare dono di “grazia” che veniva da Dio.
“Vergine bella” hanno cantato le generazioni cristiane di questi ultimi secoli.
“Tota pulchra” hanno cantato numerose generazioni precedenti fin dal Medioevo cristiano. Questo è un canto che la chiesa universale valorizza tutt’oggi, pur essendo meno comune la comprensione del testo in lingua latina.

Tota pulchra es, Maria.
Et macula originalis non est in Te.
Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria, O Maria.
Virgo prudentissima.
Mater clementissima.
Ora pro nobis.
Intercede pro nobis.
Ad Dominum Iesum Christum.

 

Sei tutta bella, Maria,
e il peccato originale non è in te.
Tu gloria di Gerusalemme,
tu letizia d’Israele,
tu onore del nostro popolo,
tu avvocata dei peccatori.
 O Maria!
Vergine prudentissima,
Madre clementissima,
prega per noi,
intercedi per noi
presso il Signore Gesù Cristo.

 

Le prime due parole di questo canto richiamano qualche pagina biblica, in particolare il Cantico dei cantici e altri libri sapienziali.
“Immacolata, Vergine bella…Sei tutta bella, Maria!”
Ci danno gioia queste parole e ci invitano a rivolgere a Maria anche le parole successive di questi canti che, in forma semplice, ci ricordano che abbiamo una Madre che tutti vorrebbero avere.

giovedì 6 dicembre 2012

Specchiarsi in Gesù

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Per questa prima traccia che inaugura il nostro appuntamento del giovedì "eucaristico" ci affidiamo a un maestro di spiritualità che ha fatto del mistero dell'Eucaristia il cuore della sua vita cristiana: il domenicano Padre Giocondo Lorgna.


Forse non tutti sanno chi è Padre Lorgna.
Molto sinteticamente: Padre Giocondo è un sacerdote che nel 1889 entra a Bologna nell'Ordine domenicano. Vive la sua profonda unione con Dio attraverso un'intensa spiritualità eucaristica e devozione mariana. Fonda le Suore Domenicane della Beata Imelda quando è parroco ai Ss. Giovanni e Paolo in Venezia per amare e far amare Gesù Eucaristia e seguire la gioventù della parrocchia con opere educative.


Quando si parla di Eucaristia, talvolta si pensa ancora a un qualcosa di intimo, di disincarnato, ma non è così.
P. Giocondo considera l’Eucaristia come il sacramento che rende presente oggi nella storia e nella nostra vita Cristo, come storia di salvezza in atto per noi.
E’ storia, cioè tutta una successione di avvenimenti, storia di salvezza; di avvenimenti particolari in cui Dio desidera comunicare il suo amore fedele: storia in atto ogni giorno per me, per ciascuno di noi.
P. Giocondo ha un’espressione tipica rivelatrice del suo intendere l’Eucaristia. Dice: “Per amore Dio crea le meraviglie del cielo e della terra, per amore scende sulla terra, si fa carne umana e diventa nostro redentore, istituisce la SS. Eucaristia”. Quindi l’Eucaristia è un segno di salvezza per me oggi.
L’Eucaristia, continua P. Giocondo, è un “Sacramento d’amore”. Non capiremo nulla del mistero ineffabile eucaristico senza l’aiuto dello Spirito Santo. Infatti come può accadere che un Dio si dia tutto a noi e si faccia nostro cibo senza l’intervento dello Spirito Santo? E’ proprio mediante lo Spirito Santo, prosegue P. Lorgna, che Gesù si è incarnato, si è immolato e rimane fino alla consumazione dei secoli presente realmente nell’Eucaristia.

 

A volte ho paura di fare dell’Eucaristia un idolo. E questo potrebbe accadere se non faccio il passaggio dal culto eucaristico alla vita eucaristica.
P. Giocondo ha ragione di dirci che l’Eucaristia è viva, è dinamica, che ha in sé una grande forza trasformatrice. Siamo impegnati a trasformare tutta la nostra esistenza su quella del modello: Gesù eucaristia. Dobbiamo acquistare una mentalità nuova, rinnovarci di continuo per essere quali il padre celeste ci vuole.
Se la preghiera non diventa vita, è sterile, è fine a se stessa…


E’ proprio dal contatto diretto con Gesù che prendiamo la forza e lo slancio di continuare ogni giorno a compiere gli stessi gesti, le stesse azioni, ma ogni volta con una sfumatura nuova, con una colorazione eucaristica diversa. Le azioni saranno sempre le stesse, è vero, ma è lo spirito con cui le compiamo che cambia. E allora anche i gesti più usuali e umili diverranno grandi agli occhi di Dio, acquisteranno una dolcezza soprannaturale propria.
Non crediamo però che la vita eucaristica sia esente dalla croce, dalla immolazione. Ce lo ricorda ancora P. Giocondo: “La vita eucaristica lasciarci stritolare come frumento che diventa pane vivo”. Ma non siamo soli a portare la croce, Gesù e il suo Spirito sono con noi, basta che facciamo loro spazio. Proviamo a mettere in questa lunghezza d’onda e tante cose cambieranno in noi e negli altri.

martedì 4 dicembre 2012

"Sono io che vi salvo", la vostra liberazione è vicina.

Untitled Document < Questo martedì comincia il primo passo del nostro percorso Spiritual-mente e cuore. Il martedì troverete sempre il brano del Vangelo della domenica appena passata e una traccia per il momento "Meditatio" della Lectio.
Prossimamente metteremo on-line un"vademecum" per la Lectio, così potrete apprezzare questa preghiera pienamente.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,25-28.34-36
La vostra liberazione è vicina.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Parola del Signore
(Qui il resto della liturgia: Liturgia del giorno)
Il tempo dell'Avvento è un tempo speciale che ci prepara a Natale. Ma è anche un tempo in cui la Chiesa ricorda di essere nell'attesa della venuta gloriosa del Signore.
Già le letture di queste ultime domeniche (che sono le ultime dell'anno liturgico) erano orientate verso questo tema.
Non sono letture facili da ascoltare, capire ed accogliere come buona notizia. Le parole che Gesù pronuncia in questa domenica sembrano tanto misteriose e scoraggianti: segni nel sole e nella luna, fragore di mare e di flutti, uomini che muoiono di paura... E noi che dobbiamo vegliare senza sosta per poter "sfuggire a tutto ciò che sta per accadere"... Tutte queste parole ci mettono a disagio, come le notizie con cui i telegiornali ci bombardano ogni giorno. Ma è proprio questa somiglianza con il nostro mondo, con i giorni di crisi e di disastri che viviamo, che può aiutarci a capire dov'è la buona notizia di Gesù. Infatti, i tempi oscuri che viviamo, le preoccupazioni che tormentano le nostre società, sono cose che passano. Purtroppo per alcuni è solo questo la verità, solo questo a dare un senso alla loro vita.
Ma Gesù ci dice: "Anche voi, se non state attenti, se Mi perdete di vista, siete tentati di pensare come loro. Voi dovete piuttosto rialzare la testa perché la vostra Salvezza non dipende da voi: sono io che vi salvo, ed è vicina la salvezza perché io sono sempre con voi, in voi."
Se ti fidi di Gesù, anche quando ti senti preso dalla paura, dalla tristezza, Lo vedrai cavalcare le nubi del tuo cuore e Lui ti aiuterà a rialzare il capo. Uno che cammina oggi in questo modo, non è solo uno che ha su chi contare ma è anche qualcuno che ridà fiducia intorno a sé. Il salmista ci invita a fare nostro la sua preghiera, la sua fiducia: A te, Signore, innalzo l'anima mia, in te confido.

sabato 1 dicembre 2012

DOMENICA - Insieme nel giorno del Signore

Untitled Document Il percorso settimanale “Spiritual-mente e cuore”, con le varie proposte di spiritualità, ci vuole dare l’occasione di pensare, meditare, pregare.
In questo giorno del Signore (dominica dies) facciamoci dono di quanto ci può servire per crescere nella comunità virtuale: sottolineature, collegamenti, approfondimenti… tutto quanto pensiamo possa avvicinarci alla spiritualità domenicana – eucaristica dando anche il nostro personale contributo per scoprirne e renderne più attuale la ricchezza.

venerdì 30 novembre 2012

SABATO - Con Maria "Madre del bell’amore"

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Maria è la madre di Gesù e la sua prima discepola. Splendente di gloria per aver accolto e fatto fiorire nella vita di ogni giorno l’amore fedele di Dio, Maria ci tiene per mano e ci aiuta a generare anche noi Gesù per la salvezza del mondo! Ogni persona che si riconosca nella grande tradizione domenicana, ama teneramente Maria, tutto spera da lei e la invoca con il suo rosario, ricordando che il miglior modo per renderle onore consiste nell'imitarla e nel conformarsi sempre più a Gesù suo figlio.

giovedì 29 novembre 2012

GIOVEDI’ - Con Giocondo "apostolo dell’Eucaristia"

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Giocondo Lorgna sentiva fortemente l’Eucaristia come dono originalissimo di Gesù per restare in mezzo a noi nel segno del pane spezzato, della vita donata per amore.

La celebrazione dell’Eucaristia è il vero punto di partenza e il traguardo di ogni dinamica spirituale e apostolica della Chiesa (fons et culmen). La contemplazione del mistero eucaristico riscalda il cuore del discepolo e lo dispone più facilmente all’ascolto della Parola del Maestro e alla sua sequela.
Come Giocondo proviamo a prendere maggior coscienza della grandezza di questo dono e diventiamone apostoli e apostole!

lunedì 26 novembre 2012

MARTEDI’ - Con Domenico "uomo della Parola"

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La fede, ricordava San Paolo, “viene dall’ascolto” di Dio attraverso l’annuncio di chi lo ha incontrato.
Domenico che fu un grande annunciatore del Verbo di Dio, Padre di una grande famiglia di predicatori e predicatrici della Parola di verità, ci insegna che occorre essere assidui ascoltatori di Dio per annunciarlo efficacemente al prossimo (parlava con Dio e di Dio).
Con la lettura contemplativa della Sacra Scrittura – che egli definiva “libro della carità” – Domenico si metteva in atteggiamento di amoroso ascolto di Dio e con la predicazione, ne divenne il suo umile ministro.
Anche noi proviamo ad essere assidui ascoltatori di Dio mediante la lettura contemplativa della sua Parola perché possiamo accoglierlo nella nostra vita e annunciarlo umilmente anche ad altri.

Prossimamente seguiranno alcune proposte semplici di approccio alla Lectio.

SPIRITUAL-MENTE E CUORE, IN COSA CONSISTE?

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Quello che vogliamo presentare è un percorso di spiritualità, preghiera e accompagnamento pensato per giovani, e non solo, che comincerà in occasione dell’Avvento 2012.
È un itinerario calato nella spiritualità domenicano-imeldina e si propone di essere uno strumento di accompagnamento\approfondimento nella fede e nella preghiera.

Che cosa distingue questa spiritualità domenicano-imeldina? Pensiamo di poter identificare 4 momenti importanti:

Quest’ itinerario è stato allora così pensato:
1. il Martedì giorno dedicato a San Domenico, vir evangelicus et apostolicus , Uomo della Parola. Per questa giornata vorremmo proporre una semplice traccia\riflessione\preghiera per la Lectio Divina, così da avvicinare quanti più a questa modalità di preghiera, che parte dall’incontro diretto e dalla meditazione sulla Parola.
2. il Giovedì, giorno che ricorda l’istituzione dell’Eucaristia, saranno proposti pensieri, riflessioni, estratti dagli scritti di Padre Giocondo, il fondatore della spiritualità imeldina, voluta da lui eucaristica, o dai testi del Magistero, o sulla figura della Beata Imelda.
3. il Sabato, giorno che ricorda il nostro amore a Maria e il suo patrocinio sull’Ordine domenicano; saranno proposte meditazioni per il rosario, brevi spunti di riflessione sulla nostra Mamma del cielo.
4. Domenica, giorno del Signore e della comunità “virtuale”. Siamo chiamati ad essere noi protagonisti di questa giornata proponendo una sintesi di quello che più ci ha colpito della settimana o una riflessione sulla liturgia domenicale.

Questa modesta proposta sarà più piacevole e ricca se vi si parteciperà attivamente, ogni contributo sarà accolto con gioia! Non resta quindi che commentare i post o contattarci personalmente per un approfondimento agli indirizzi giovani@domenicaneimeldine.it o domenicaneimeldine@gmail.com .

RIFLESSIONE BIBLICA SULL'INCONTRO GIOVANI 24\25 NOVEMBRE (A CURA DI SR. LORENZA ARDUIN)

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GUARDA CON GLI OCCHI DI UN ALTRO E SCOPRI
COSA VUOL DIRE ESSERE FRATELLI

 

Negli incontri promossi dai Giovani Domenicani Imeldini e proposti ad altri giovani, si è scelto di inserirsi nelle riflessioni contestuali all’Anno della Fede servendosi di alcuni film o cartoni più o meno conosciuti e di personaggi che riconosciamo come testimoni della fede.

In questo week end il filo conduttore della nostra riflessione comunitaria lo vogliamo riconoscere nel film di animazione “Koda fratello orso”.(1)
In esso ci è proposta una storia in cui la ricerca di una piena umanità passa attraverso un percorso di spogliazione dell’umanità stessa per assumerne il vero senso e il vero compimento: il dono di sé per amore.

Questo cammino di maturazione attraverso la spogliazione compiuto dal giovane Kenai per prendersi cura del piccolo orso Koda è cristianamente molto significativo e trova la sua massima espressione in Gesù e nel mistero della sua Incarnazione.

La Scrittura, e in modo particolarmente efficace la lettera di Paolo ai Filippesi(2), ci ricorda che:

(Cristo Gesù) pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso(3) assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.

 

Gesù è il Verbo del Padre, il suo Figlio unigenito, della stessa natura e dignità divina del Padre, incarnatosi per far sì che nello Spirito Santo l’umanità fosse resa partecipe della natura divina.(4)

Inoltre Gesù, in forza della sua originaria uguaglianza con Dio, avrebbe potuto rivendicare un’esistenza umana gloriosa. Ha scelto, invece, di condividere la condizione umana restando, nella umiliazione della morte, fedele a Dio.

Il dinamismo della kenosis e cioè dello svuotamento-abbassamento del Verbo di Dio ha due movimenti: il prendere la forma umana e il morire sulla croce nell’obbedienza amorosa alla volontà del Padre.

Fin qui è impressionante la somiglianza tra la vicenda di kenai (notiamo anche se un po’ forzatamente… l’assonanza tra il termine kenosis e il nome Kenai) che diventa adulto nel dare tutto se stesso per amore e quella di Gesù incarnato, morto e risorto!

La vicenda di Kenai bellissima e commovente.. ha il suo esito nel vivere nella pelle dei suoi nuovi fratelli orsi per prendersi cura del piccolo Koda: il totem dell’orso dell’amore è stato attuato!

Gesù, il Figlio di Dio si è messo nella nostra pelle… “ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”.(5)

Gesù ha vissuto il suo “totem dell’amore” sia mettendosi nella nostra pelle perché potessimo conoscere l'amore di Dio,(6) ma soprattutto morendo per noi!

Solo così ha potuto far nascere una nuova famiglia di fratelli e sorelle, la famiglia di Dio. In Cristo siamo “una sola famiglia,…comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell'unica lode della Trinità santissima (…)”. (7)

Ancora Paolo ce lo ricorda: in Cristo Gesù noi che un tempo eravamo i lontani siamo diventati i vicini grazie al sangue di Cristo (Ef 2, 11).

E ancora: “(…) avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!". Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.” (Rm 8,15)

Fratelli perché figli nel Figlio. Gesù figlio unigenito, figlio per natura, noi figli e fratelli per grazia, gratuitamente generati grazie alla sua morte e risurrezione.

Come umani tendiamo a vivere insieme: è un’esigenza della nostra natura quella della vita sociale. Attraverso il rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli, l'uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla propria vocazione di uomo. (8)[Cf ibid., 25].

Ma l’essere fratelli in Cristo, cioè nella fede in Gesù, ci pone in una relazione totalmente nuova perché ci pone in una relazione totalmente nuova con Dio che non è solo il nostro Creatore ma diventa anche il nostro Padre. Questa nuova relazione è la Chiesa.

La Chiesa è la comunione di Dio e degli uomini: unita al Figlio unico diventato “il primogenito di molti fratelli” (Rm 8,29), essa è in comunione con un solo e medesimo Padre, in un solo e medesimo Spirito Santo mediante il quale siamo un cuor solo e un'anima sola” (At 4,32 ).(9)

Essendo fratelli di Cristo, perché figli nel Figlio, possiamo accogliere la sua vita in noi, trasformarci progressivamente in lui e diventare capaci di vivere come lui ha vissuto: (10) guardare con i suoi occhi, donarci con il suo stesso cuore fino a dare la vita come Lui.

Vivendo nella “nuova pelle” di battezzati, come figli adottivi abbiamo in eredità tutto quanto ci è necessario per vivere come Gesù la vita dello Spirito: la Parola e i sacramenti, soprattutto il sacramento della trasformazione, l’Eucaristia e il materno accompagnamento di Maria, la  madre a cui siamo stati affidati!(11) Abbiamo il sostegno dell’esempio e dell’intercessione dei santi…!

In questa comunione reale con Gesù, vivendo la sua stessa vita, potremo davvero guardare con gli occhi uno dell’altro perché possiamo imparare a guardare con i suoi occhi e concretamente aiutarci nel viaggio verso "la montagna dove le luci toccano la terra" quando Dio sarà tutto in tutti!(12)

Sr Lorenza Arduin
(Villa Imelda, 24 novembre 2012)

 

 

(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Koda,_fratello_orso

(2) Filippesi 2, 4 ss.

(3)IS , 12: Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.

(4) cf. Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 2.

(5) Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22.

(6) Così nella Scrittura leggiamo: “In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui” (1Gv 4,9). “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

(7) Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 50.

(8) Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1879.

(9) CCC 2790.

(10) Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma dandogli la capacità di seguire l'esempio di Cristo. Lo rende capace di agire rettamente e di compiere il bene. Nell'unione con il suo Salvatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, la santità. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo. CCC 1709.

(11) Gv 19, 25.

(12) 1Cor 15, 28.

MATERIALE PER LA RIFLESSIONE DELL'INCONTRO DEL 24\25 NOVEMBRE (A CURA DI SR. LUISA CARRARO)

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Pierre Claverie,
una vita donata,
per Dio e l'Algeria

Le presenti pagine vorrebbero offrire una prima rilettura di questa eccezionale vita e presentare alcuni dei maggiori aspetti del suo pensiero, facendo il più possibile riferimento a citazioni di scritti o lettere che egli ha lasciato (la maggior parte delle citazioni sono tratte da “Lettres et messages d'Algérie”, Karthala, 1996; e da "La vie spirituelle", n.721, ott. 97).

fr. Jean-Jacques Pérennès, OP
in Ricordo di Pierre Claverie, a cura di Enrico Ferri, CUEN, 2000, pp.19-39

Pierre Claverie, figlio dell'Algeria coloniale
Pierre Claverie è un figlio del Mediterraneo. Nacque a Bab el Oued nel maggio del 1938, in una famiglia di "pieds-noirs" stabilitasi in Algeria. I suoi vivevano ad Algeri ed avevano due figli: Pierre e Anne-Marie, sua sorella. Costituivano una famiglia molto unita, felice, che Pierre ricordò così il giorno dell'ordinazione episcopale: "Sono testimone di un amore di più di quarant'anni che unisce due esseri, i miei genitori, così diversi e così vicini, appoggiati l'uno all'altra, crescendo insieme, così uniti, così accoglienti. Siamo cresciuti nella fiducia di quest'amore che vigila con cura e perseveranza sulla felicità dell'altro, siamo cresciuti in questa straordinaria libertà che apriva sempre davanti a noi le porte della vita, ci spingeva ad entrarci con pazienza, con perseveranza, e ci accompagnava con una presenza affettuosa, esigente. Sì, l'amore esiste, è possibile, e io ho avuto la grazia di incontrarlo. E' la mia forza crederci adesso". Egli ne trarrà la capacità di guardare la vita con fiducia. Pierre manterrà dei legami molto stretti con i suoi, ritiratisi a Toulon dal 1962. Scriveva ogni domenica ai genitori una lettera intitolata "Buongiorno famiglia !", nella quale descriveva in dettaglio l'atmosfera della sua settimana. Era stato sempre una persona allegra, ottimista, stupendamente predisposta alle relazioni umane.
Secondo tratto notevole riguardo alla giovinezza di Pierre: era veramente figlio dell'Algeria coloniale, con tutto quanto ciò può significare. Ecco cosa scrive al riguardo: "Ho vissuto la mia infanzia ad Algeri, in un quartiere popolare di questa città mediterranea cosmopolita. A differenza di altri europei nati in campagna o in città piccole, non ebbi mai amici arabi; né alla scuola del quartiere, dove essi erano totalmente assenti, né al liceo, dove erano in pochi e la guerra d'Algeria cominciava a creare un clima esplosivo. Non eravamo razzisti, solo indifferenti, ignoravamo la maggior parte degli abitanti di questo paese. Essi facevano parte del paesaggio delle nostre gite fuori, della scenografia dei nostri incontri e delle nostre vite. Non furono mai compagni" ("La vie spirituelle", p.723).
Durante questa giovinezza algerina, Pierre incontra l'Ordine domenicano, tramite il gruppo scout del quale fa parte, la "Saint-Do". Rimarrà fedele fino alla morte a questi amici di gioventù ed era quasi l'unico che poteva parlare loro della nuova Algeria, del dialogo islamico-cristiano, del senso che c'era, per un cristiano, nel restare in questo paese della loro infanzia. In quest'ambiente cattolico assai tradizionale, Pierre percepisce il richiamo a un dono più profondo di sé, attraverso una vita religiosa o sacerdotale. Ne parla con suo padre, il quale gli consiglia di aspettare un paio d'anni prima di prendere una decisione e lo manda a Grenoble, affinché "viva la sua vita" e cominci gli studi di matematica-fisica-chimica. Pierre parlerà in seguito del suo progetto di vita religiosa come di un modo di "darsi fino in fondo". Si può indovinare quanta maturazione questo significava per lui, anzi, quanta scissione. Scriverà più tardi: "Forse perché ignoravo l'altro o negavo la sua esistenza, un giorno mi apparve improvvisamente davanti. Ha fatto esplodere il mio universo chiuso, che si è decomposto nella violenza - ma poteva andare diversamente? - ed ha affermato la propria esistenza. L'emergenza dell'altro, il riconoscimento dell'altro, l'aggiustamento all'altro sono diventati, per me, ossessioni. Sta probabilmente qui l'origine della mia vocazione religiosa. Mi sono chiesto perché, durante tutta la mia infanzia, essendo cristiano - non più di certi altri -, frequentando le chiese - come certi altri -, ascoltando dei discorsi sull'amore del prossimo, mai ho sentito dire che l'Arabo fosse il mio prossimo. Forse me l'avevano detto, ma non l'avevo sentito" (Humanité plurielle). Siamo dunque nel 1956-1957. Pierre lascia la sua Algeria natale per iniziare gli studi universitari in Francia. E' da lì che si apre una seconda dimensione che segnerà la sua esistenza: la vita domenicana.

"Dare la propria vita fino in fondo": la scelta della vita domenicana (1958-1965)
Una lettera ai genitori, del 1958, ci parla della sua decisione: "Se ho scelto il sacerdozio, scrive, è per darmi fino in fondo a qualcosa".
Quindi nel dicembre del 1958, Pierre entra nel noviziato di Lille, dove lo vediamo insieme allegro e serio. Le sue lettere ci raccontano le mille e una storielle del noviziato, dove a volte lo chiamano "sole in conserva", ma dove si dimostra anche veramente un uomo di preghiera. Ad Orano, ormai vescovo, qualunque fosse l'ora in cui, la sera prima, era tornato dai suoi giri, lo si poteva trovare ogni mattina in preghiera, nella cappella, in una concentrazione straordinaria. Quasi ricostruisse là le sue energie interiori, come testimonierà il suo vicario generale. Proprio alla porta di questa cappella decorata d'artigianato algerino, crollerà, lacerato dalla bomba che gli costerà la vita. Pierre è morto nello stesso luogo dove attingeva la sua forza di vivere, sul luogo della sua preghiera.
I suoi studi di filosofia e teologia si svolgono senza problemi. Pierre viene ordinato sacerdote il 4 luglio 1965 e già progetta di tornare in Algeria. Tempo dopo, reinterpretando le scelte della propria vita, vede in quella di tornare in Algeria l'esplicito desiderio di una scoperta dell'altro, quell'altro che aveva ignorato durante la sua infanzia coloniale: "...Ho dunque chiesto, dopo l'Indipendenza, di poter tornare in Algeria, per scoprire questo mondo nel quale ero nato, ma che avevo ignorato. Ed è qui che è iniziata la mia vera avventura personale - una rinascita. Scoprire l'altro, vivere insieme con l'altro, ascoltare l'altro, lasciarsi anche modellare dall'altro, non significa perdere la propria identità, rifiutare i propri valori, significa concepire un'umanità plurale, non esclusiva".

Imparare l'altro: gli anni ad Algeri (1967-1981)
Ad Algeri, Pierre Claverie raggiunge la piccola comunità domenicana di tre o quattro Padri, costituitasi all'indomani dell'Indipendenza, e che abita un appartamento nel centro della città. Pierre si getta subito nello studio della lingua araba e si iscrive ad un centro linguistico diretto da religiose libanesi. Impara la lingua, ma anche l'islamologia e la cultura araba. Finita questa formazione, andrà a vivere per un anno a Constantine, con Jean Scotto, grande figura della Chiesa d'Algeria.
Tornato ad Algeri, Pierre è nominato direttore del centro diocesano delle Glycines, in Algeri, nel 1972, quando Padre Henri Teissier diventa vescovo d'Orano. Il centro delle Glycines è come il cuore della diocesi d'Algeri: creato dopo l'Indipendenza, intorno alla biblioteca e all'équipe che anima l'antico Seminario Maggiore, questo centro mira ad aiutare la Chiesa a compiere la sua missione nella nuova Algeria. Dispone, a questo scopo, di vari mezzi: una scuola linguistica, dove vengono insegnati l'arabo dialettale e l'arabo classico; una biblioteca ben fornita riguardo a tutto quanto concerne il Maghreb e il mondo arabo; sessioni d'islamologia; una rassegna stampa mensile. Il tutto è gestito da un'équipe di una decina di religiosi e religiose, di varie congregazioni, della quale Pierre diventa presto animatore, un animatore efficace, ma anche molto cordiale, la cui porta era sempre aperta. Da vescovo, conserverà questa abitudine. Pierre si trovava là pienamente a suo agio: aiutando due mondi a capirsi, ad apprezzarsi, a rispettarsi. Pierre rimarrà alle Glycines fino alla sua nomina come vescovo d'Orano nel 1981. Furono veramente anni d'intenso lavoro, durante i quali Pierre elaborò e affinò in un certo modo i temi che saranno al centro del suo pensiero e del suo insegnamento in tutti gli anni successivi.
Però, per quanto fosse occupato, impiegò pure questi anni a coltivare l'amicizia, specialmente con un gran numero di amici algerini, presso i quali amava cenare la sera. Grandi dibattiti sull'evoluzione del paese, sull'Islam e il Cristianesimo, gioia di essere semplicemente insieme. Il giorno della sua ordinazione episcopale, Pierre parlò così ai numerosi amici algerini presenti alla cerimonia: "Fratelli e amici algerini, anche grazie a voi sono quello che sono. Anche voi mi avete accolto e sostenuto con la vostra amicizia. Vi devo la scoperta dell'Algeria, che era il mio paese, ma dove avevo vissuto da straniero tutta la mia gioventù. Insieme con voi, imparando l'arabo, ho soprattutto imparato a parlare e comprendere il linguaggio del cuore, quello dell'amicizia fraterna attraverso cui comunicano religioni e razze. Ancora una volta, ho la debolezza di credere che quest'amicizia sia più profonda delle nostre differenze... perché credo che questa amicizia venga da Dio e porti a Dio... Sarà certamente una follia credere ancora alla forza delle mani nude e della semplicità umana, ma al seguito di Gesù Cristo, ho la debolezza di credere che sia una forza" (era il 9 ottobre 1981!). I suoi amici musulmani gli fecero quel giorno nella cattedrale d'Algeri un'ovazione che i testimoni non dimenticheranno facilmente. Fra tutte le cose che Pierre ha costruito in Algeria, queste amicizie sono probabilmente la più solida e commovente. Hanno a che vedere con quell'"amore più forte della morte", di cui parlerà nelle sue ultime omelie. Questi suoi amici musulmani lo piangono quanto gli amici cristiani. In breve, furono gli anni del progressivo imparare l'altro, dell'aggiustamento all'altro, come dirà dopo.

Vescovo in terra d'Orano, un pastore vicino al suo popolo (1981-1996)
Pierre fu nominato vescovo ad Orano nel 1981, per succedere a Mons. Teissier, diventato vescovo coadiutore d'Algeri. Durante la cerimonia solenne d'ordinazione episcopale nella cattedrale di Algeri, Pierre trovò parole molto forti per dire quale senso assumeva ai suoi occhi: "La follia di Dio: è questa parola di San Paolo che mi viene in mente considerando la scelta che avete appena fatto, con l'aiuto dello Spirito Santo... La vostra unica scusa è quella di credere che lo Spirito possa manifestare la sua scelta tramite i giudizi umani, sempre infermi, e tramite gli eventi di una storia, sempre ambigua. Quella è la vostra scusa, ed è la mia unica forza. Ho la debolezza di credere che Dio agisca in noi con il suo Spirito, a patto che lo lasciamo fare, che lo accogliamo con cuore libero, senza contrazione e senza tensione, le mani aperte, con fiducia".
Eccolo dunque vescovo per 15 anni, durante i quali la situazione della Chiesa cattolica si indebolisce, partendo da uno stato giudicato all'inizio abbastanza sano. Nel 1981 il gregge era già ridotto a qualche centinaio di cristiani:

  • alcuni "pieds-noirs", spesso anziani, rimasti sul posto;

  • religiosi e religiose, spesso arrivati all'indomani dell'Indipendenza con la forte motivazione di partecipare alla costruzione della nuova Algeria, in settori diversi come l'insegnamento, l'impegno sociale, la formazione femminile;

  • studenti cristiani dall'Africa Nera, venuti in Algeria per proseguire i loro studi universitari;

  • poi, a seconda dei contratti industriali, gruppi di operai stranieri, filippini, egiziani, brasiliani, che lavoravano nel complesso d'idrocarburi d'Arzew, sul cantiere di una diga…

Tale era il popolo cristiano di cui Pierre era il vescovo, il legame di comunione, l'animatore. Gregge piccolo, certo, ma allegro e in fin dei conti al suo giusto posto nell'Algeria algerina, con la quale i rapporti erano chiari e cordiali. Di nuovo, aveva tutto un mondo di amici, tra i quali uno, il più vicino, era il suo "vicario generale musulmano", come diceva: un amico che vedeva ogni giorno e consultava quando voleva essere sicuro della reazione algerina di fronte a questa o quella iniziativa. E' così che seppe, in tempo, lasciare al Ministero della Cultura l'antica cattedrale e l'episcopato, diventati troppo grandi per i reali bisogni della Chiesa. In cambio, le autorità s'incaricarono del restauro di una chiesa e di un presbiterio, dove il vescovo e i permanenti della diocesi disponevano del necessario per vivere, lavorare e pregare. Quindi Pierre sviluppò, come ad Algeri dieci anni prima, numerosi legami d'amicizia, con gente d'ogni condizione, dalla donna delle pulizie ai professori dell'università. Ed è quest'intero mondo che partecipò al funerale di Pierre; una fra queste persone musulmane dichiarò pubblicamente quel giorno: "Pierre era il mio vescovo, il mio amico, mi ha insegnato ad amare l'Islam".
Pierre Claverie considerava il suo ruolo come un ministero di comunione confortando ciascuno, incoraggiando le persone nei momenti difficili, visitando i più isolati, mettendo in contatto i cristiani e la società algerina e, ovviamente, insegnando, perché questo era uno dei maggiori compiti del vescovo, compito al quale si dedicò fino in fondo. E' notevole quanto quest'uomo, capacissimo, si è mantenuto sul proprio terreno, accettando certo qualche conferenza o ritiro fuori dell'Algeria, in particolare nel Medio oriente (Egitto, Libano), o in Francia. Però, era innanzi tutto un vescovo in Algeria, poco propenso a disperdersi. Gli ultimi anni era diventato molto difficile farlo uscire dal paese: riteneva di dover rimanere al suo posto, soprattutto mentre i suoi preti e le sue religiose erano esposti a rischi.

Alcuni principali temi del pensiero di Pierre Claverie
Non si tratta in nessun modo di presentare in modo esaustivo il suo pensiero, non solo per limiti di spazio, ma anche perché un importante lavoro rimane da fare per riunire i testi dei suoi numerosi ritiri e conferenze. In assenza di un inventario più completo, possiamo accennare a tre temi che sembrano fondamentali nel suo pensiero:

L'aggiustamento all'altro
Si è detto prima quanto la riscoperta dell'altro, attraverso la figura dell'algerino musulmano, fosse stata una tappa essenziale nella vita di Pierre Claverie. Lui, figlio "pied-noir" dell'Algeria coloniale, nell'età della maturità fece una vera e propria riscoperta del proprio paese, dei suoi abitanti, della sua cultura; una specie di viaggio fra quegli "altri" che abitavano la sua stessa casa! "Una vera e propria avventura personale, una rinascita" scriverà. L'altro è diverso, e ciò si avverte particolarmente quando si è un ospite minoritario in casa degli altri, come la Chiesa d'Algeria, ospite "in casa dell'Islam", per citare un'espressione spesso usata da Henri Teissier. Qui, l'altro è innanzitutto musulmano; questa realtà fa avvertire profondamente la differenza nella percezione che ognuno ha dell'altro. Più ci si conosce, più ci si apprezza, e più questa differenza profonda, esistenziale, si fa presente, dolorosa. Come se ci fosse una fondamentale impossibilità dell'incontro vero. Qui, ovviamente, sto parlando solo degli uomini e delle donne, musulmani o cristiani, con intenzioni oneste, pacifiche. Ne consegue che l'incontro con altro è un'avventura; ci vuole tempo, pazienza, molto amore. Per esprimere questo lento lavoro, Pierre ha creato e spesso usato l'espressione "aggiustamento all'altro". Incontrare l'altro, conoscerlo per quello che, in verità, è; potere, a nostra volta, essere riconosciuti da lui, nella verità di quello che si è, senza semplificazioni, senza diminuzioni, senza volontà d'assimilazione: questa sì è un'avventura.
Nel caso dell'Algeria, diversi fattori rendono più complicato questo riconoscimento dell'altro: un passato coloniale con la Francia, con quanto significò di umiliazioni, di morti. E, oltre questa triste avventura coloniale, la complessa finzione che ognuno porta riguardo all'altro: dei cliché la cui memoria si è persa. Per l'uno, l'Occidente si limita alle Crociate e alle avventure coloniali; per l'altro, l'Islam è innanzitutto intolleranza e ferocia.
Tutto questo va affrontato interamente quando si sceglie davvero d'incontrare l'altro, in spirito di verità, senza imposture. Questo dimostra come per Pierre Claverie l'incontro con l'altro sia tutt'altro che una cosa facile: bisogna volerlo; bisogna lavorarci; per lui, è affare di una vita intera. Confesserà perfino di sentirsi qualche volta straniero malgrado tutto. Tanti ostacoli, un attentato razzista, una guerra del Golfo, possono di nuovo compromettere tutto, in questo lento e paziente lavoro d'approccio all'altro. "Non abbiamo ancora le parole per il dialogo, scrive; bisogna cominciare col vivere insieme, creare luoghi umani dove si mettano in comune le rispettive eredità culturali che fanno la grandezza di ognuno". Costruire questi luoghi di fraternità, grazie a tanti piccoli gesti quotidiani o ai grandi sogni condivisi: a questo si adoperò insieme a lui la Chiesa d'Algeria.
Redouane Rahal, amico intimo, scrive a proposito di Pierre Claverie: "Conosceva la religione musulmana dall'interno, senza mai darne una valutazione offensiva o retrograda, come facevano certi orientalisti. Sapeva mettere in evidenza i punti d'incontro. Nei suoi interventi (...) parlava con calore ed amore perché aveva fede nell'uomo". Un'altra amica, Oum el Kheir, esclama il giorno del funerale: "Amici, vi farò una confidenza: mio padre, mio fratello, il mio amico Pierre mi ha insegnato ad amare l'Islam, mi ha insegnato ad essere una musulmana amica dei cristiani d'Algeria. Ho imparato con Pierre che l'amicizia è innanzitutto la fede in Dio, è l'amore degli altri. Essere cristiani o musulmani veniva dopo...”. Bisognerebbe citare mille altre testimonianze o piccoli gesti magnifici di amici o sconosciuti che mostrano ogni giorno ai cristiani d'Algeria che la loro preoccupazione per il rispetto dell'altro è stata compresa e ha creato un clima possibile per l'incontro dell'altro.

Dialogo e ricerca della verità
Occorre capire bene come questa passione per il dialogo sia per Pierre Claverie tutt'altro che un'astuzia, un abile modo per ammansire, cancellare le differenze, o peggio ancora, riportarli a sé. Il dialogo è, fondamentalmente, un mezzo per ricercare la verità. "Nessuno possiede la verità, ciascuno la cerca; ci sono certamente delle verità obiettive, che, però ci sorpassano tutti e alle quali si può accedere solo dopo un lungo cammino, ricomponendola poco a poco, spigolando nelle altre culture, negli altri tipi d'umanità, ciò che gli altri hanno pure loro acquistato, cercato nel proprio cammino verso la verità. Io sono credente, credo che ci sia un Dio, ma non ho la presunzione di possedere questo Dio, né tramite Gesù che me lo rivela, né tramite i dogmi della mia fede. Non si possiede la verità e ho bisogno della verità degli altri". Alla luce di queste righe, si capisce meglio la sua concezione confidente ma esigente del dialogo: non si tratta solo di dialogo tra persone e religioni diverse, ma anche del dialogo delle culture e delle civiltà, di urgente attualità tra le due sponde del Mediterraneo.
"Ma, aggiunge ancora, basta guardare la mappa delle tensioni che attraversano i popoli per realizzare che le nostre religioni rimangono fermenti di divisione e di guerra piuttosto che di pace". Poi enumera le tante trappole di un dialogo mal compreso: uno scambio privo di reale reciprocità, per esempio, come accade spesso con le minoranze religiose; un dialogo di sole parole, che minimizza lo spessore esistenziale delle differenze. E Pierre menziona i pochi risultati del dialogo islamo-cristiano svoltosi nei grandi convegni ufficiali... A questo tipo di incontro, preferiva il dialogo paziente che si allaccia condividendo gioie e prove quotidiane, la vera fiducia che nasce quando ci si confronta insieme sulle stesse sfide.

Qualche anno dopo, in una conferenza a Lille, parlò delle esigenze di un vero dialogo.

-"Occorre prima il rispetto dell'altro”, il che non è sempre facile, a causa di "una storia difficile da assumere e di immagini sprezzanti dell'altro, sia dal lato musulmano sia cristiano".
-"poi, la convinzione che nessuno possiede la verità... Essendo cristiano, credo che Gesù manifesti la pienezza della verità di Dio e dell'uomo. Ma non possiedo il mistero di Gesù, che si svela alle nostre coscienze, da generazione in generazione, alla luce degli avvenimenti e dell'approfondimento delle nostre conoscenze... Così, gli altri possono avere una parte nel progressivo svelare la verità che intravediamo e verso la quale tendiamo, mentre porta lo stesso nome di Gesù Cristo, per noi cristiani". Intendiamoci, non si tratta qui di "concordismo" a buon mercato: si tratta invece di aprirsi a ciò che nella verità della vita altrui mi può aiutare a crescere nella mia stessa verità.
- terza e quarta condizione per il dialogo: guardare la storia in faccia e parlarsi in franchezza e verità. Da questo punto di vista, non c'era in Pierre la minima falsità, anche per denunciare i fanatismi ai quali la sua stessa Chiesa si era abbandonata nel passato.
Durante il forum delle comunità cristiane, ad Angers nel 1994, dirà: "La parola-chiave della mia fede è oggi il dialogo, non per tattica o opportunismo, ma perché il dialogo è costruttivo della relazione di Dio con gli uomini e degli uomini tra di loro.. Possa l'altro, possano tutti gli altri essere la passione e la ferita tramite le quale Dio potrà irrompere nelle fortezze della nostra presunzione per farà nascere una nuova e fraterna umanità" (Lettres et messages, pp.24-25).

Al seguito di Gesù
C'è in Pierre uno straordinario radicamento nella storia di Gesù, la storia della sua vita, della sua morte, la storia della sua vita donata: "Per proseguire la nostra missione di discepoli di Colui che ha dato la propria vita per noi tutti, noi abbiamo solo bisogno di ancorare in Lui la nostra speranza", scrive ne "Le lien", nel luglio 1990. "Non abbiamo altra ricchezza né altra ragione di vivere oltre Lui". Ho detto prima quanto Pierre Claverie fosse un uomo di Dio, un uomo di preghiera. Credo che col passare degli anni, e soprattutto nella tormenta degli ultimi anni, Cristo fu la sua roccia, il suo punto di riferimento fondamentale. Espresso senza sentimentalismo, con molta discrezione; piuttosto un'appartenenza fondamentale, che nulla può indebolire e dove tutto trova la sua fonte.
"In Gesù e per Lui, si realizza l'aggiustamento dell'uomo con Dio e con i suoi simili; senza questo aggiustamento, il mondo è spezzato e l'uomo diviso si fa boia per l'uomo. In Gesù si inaugura un mondo riconciliato. Egli viene a riaggiustare quanto era disfatto fisicamente, moralmente, spiritualmente. L'opera dello Spirito in Lui si manifesta quando i sordi sentono, i muti parlano, gli zoppi camminano, gli umiliati si rialzano, gli esclusi sono riconciliati. In ognuno la relazione giusta è ristabilita, nel corpo, nel cuore, con se stesso, con gli altri. Alla fonte c'è lo Spirito Santo che fa di ognuno un figlio di Dio" (Omelia a L'Arbresle, 1989). Gesù, qui, è il primo di tutti quelli che Dio chiama a questo lungo e paziente lavoro di riconciliazione, Colui che indica il cammino da seguire.
Questo cammino passa per la Croce, e Pierre ne parlava spesso: "Al seguito di Gesù, siamo inviati per essere servitori della Buona Novella della riconciliazione tra Dio e l'intera umanità. Questo ministero fa di noi dei mediatori, interamente dedicati a Dio e interamente dedicati al mondo, posti con Gesù laddove si ricongiungono la storia ed il regno di Dio. Ora questo luogo è una croce... Se siamo gli interpreti di un Dio d'amore e se questo Dio ci chiama ad essere gli apostoli di Gesù, siamo di fatto condotti, insieme a lui, sulla via della croce" (Omelia a Froidmont, 1990). Potete indovinare come la sua insistenza sulla croce nasca da una viva percezione della sfida che il mondo rivolge all'amore, alla possibilità di una riconciliazione. Nel 1995, dirà: "La passione di Gesù diventa la passione dell'apostolo. Passione per Dio e per l'umanità da strappare alle potenze di morte che la spezzano. Passione d'amore per l'opera di Dio che si compie tramite i nostri cuori, le nostre mani e le nostre intelligenze. Passione per il corpo di Cristo che è la Chiesa da costruire nell'Eucaristia e nelle incoerenze e contraddizioni della storia. Quando viene il tempo della miseria, viene anche il tempo della Passione, vissuta con Gesù, nel cuore delle fratture e delle violenze del mondo, senz'altra forza che quella di consegnare la propria vita, fino alla fine, nella fiducia nel Padre di ogni amore, affinché Egli compia la sua opera di risurrezione nella carne crocefissa. In questo momento, l'apostolo di Gesù assume e compie, con la sua perseveranza, il dono gratuito della propria vita" (Omelia a Sant'Ignazio, Parigi).
Un testo del genere evidenzia un ancoraggio radicale alla persona ed all'esperienza di Gesù, e porta naturalmente ad evocare l'ultima tappa della vita di Pierre Claverie, quella del dono della propria vita.

Verso un dono totale della propria vita
In un certo modo, furono l'aggravamento della situazione politica del paese e la maggiore fragilità dei cristiani che spinsero Pierre Claverie a rendere sempre più pubbliche le sue convinzioni. All'uscita del suo libro “Lettres et messages d'Algérie”, confesserà ad un amico: "Questo libro è una svolta nella mia vita.” Una svolta nel senso che Pierre moltiplicherà conferenze e schieramenti pubblici, accettando interviste alla radio e alla televisione. Davanti all'estremo pericolo che inghiottiva l'Algeria e tutte le cose per le quali lui e tanti altri avevano vissuto, Pierre Claverie scelse di parlare, di esprimere il fondo delle sue convinzioni, e, se ce ne fosse stato il bisogno, di "dare la propria vita", come scrisse all'indomani dell'assassinio di fra Henri Vergès e di suor Paule-Hélène (i primi religiosi cristiani assassinati).
Quando, ad esempio, gli veniva fatta la domanda: "Perché rimanete?".. "Perché non aspettare giorni migliori, perché esporsi inutilmente? Perché non conservarsi per il futuro?". A questa domanda, mille volte ripetuta, rispondeva: "Noi siamo qui a causa di questo Messia crocifisso. A causa di niente e di nessun altro! Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere... Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù, perché è lui che sta soffrendo qui, in questa violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia d'innocenti. Come Maria, come San Giovanni, noi siamo qui, sotto la croce dove Gesù muore, abbandonato dai suoi, deriso dalla folla. Non è essenziale per un cristiano essere qui, nei luoghi di sofferenza, nei luoghi di scoraggiamento, di abbandono?" (Omelia di Prouilhe, alla "Saint-Do", luglio 1996). E aggiungeva, con grande forza nella voce: "Dove sarebbe la Chiesa di Gesù Cristo, Corpo stesso di Cristo, se non fosse prima qui? Credo che muoia quando non è abbastanza vicina alla croce di Gesù. Per quanto paradossale possa sembrare, e San Paolo lo mostra bene, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità cristiana, la fecondità della Chiesa vengono da là. Da nessun'altra parte, né in nessun altro modo. Tutto, tutto il resto è solo polvere negli occhi, illusione mondana. Si sbaglia, la Chiesa, ed inganna il mondo, quando si pone come una potenza fra le altre, un'organizzazione, pure umanitaria, o come movimento evangelico da gran spettacolo. Può brillare, ma non brucia del fuoco dell'amore di Dio, "forte come la morte" dice il Cantico dei Cantici. Perché qui, si tratta d'amore e di solo amore. Una passione per la quale Gesù ci ha dato gusto e ha disegnato la via".
La seconda cosa che porterà Pierre Claverie ad esprimersi gli ultimi mesi, in modo qualche volta molto aspro, sono i vigliacchi assassinii di religiose e preti cattolici, la maggior parte dei quali aveva passato tutta la vita al servizio degli algerini. Pierre Claverie conosceva fin troppo bene la complessità delle situazioni e il prezzo di una presenza cristiana in tale situazione: "Che abominevole vigliaccheria da parte di questi uccisori dell'ombra! Che prendano me come bersaglio, questo lo capirei.. essendo vescovo, forse rappresento agli occhi di certe persone un'istituzione aborrita o pericolosa. Sono un responsabile, ho sempre pubblicamente difeso quanto mi pareva giusto, vero, che favoriva la libertà, il rispetto delle persone, specialmente i piccoli e in posizione minoritaria. Ho militato per il dialogo e l'amicizia tra genti, culture, religioni. Tutto ciò merita la morte e sono pronto ad assumerne il rischio.. Ma attaccare fra Henri o suor Paule-Hélène, io non capisco" (testo del 1994, "La vie spirituelle", p.765). Ho riflettuto molto su queste ultime parole e sul clima, molto particolare, del mio ultimo incontro con Pierre, qualche mese prima dalla sua morte. In nessun modo l'ha cercata: sono assolutamente certo su questo punto; ma sono anche convinto che a un certo punto ha percepito che ciò sarebbe potuto accadere come una probabile conseguenza delle sue convinzioni, nella tormenta assassina che portava via l'Algeria. Un po' al modo di Gesù, del quale i Vangeli ci dicono avesse "il viso risolutamente rivolto verso Gerusalemme", Pierre ha scelto di non sviare dalla propria missione, a dispetto dei consigli di prudenza dell'uno o l'altro. Ha rifiutato di scappare, non senza angoscia.
Questa scelta, che appartiene al martirio, era conforme al senso che aveva dato alla sua vita, nelle circostanze attraversate dall'Algeria. Tante volte, parlerà delle linee di frattura: "Gesù è morto lacerato tra cielo e terra, le braccia distese per radunare i figli di Dio dispersi dal peccato che li separa, li isola e li drizza gli uni contro gli altri e contro Dio stesso. Si è posto sulle linee di frattura nate da questo peccato. Squilibri e rotture nei corpi, i cuori, gli spiriti, le relazioni umane e sociali hanno trovato in Lui guarigione e riconciliazione perché li prendeva con se stesso. Colloca i suoi discepoli su queste stesse linee di frattura con la stessa missione di guarigione e riconciliazione. La Chiesa compie la sua vocazione e missione quando è presente nelle rotture che crocifiggono l'umanità nella sua carne e nella sua unità. In Algeria, siamo su una di queste linee sismiche che attraversano il mondo.. Islam-Occidente, Nord-Sud, ricchi-poveri. Siamo qui al nostro posto, perché qui si può intravedere la luce della Risurrezione e insieme a lei, la speranza di un rinnovamento del mondo" ("Rester ? Partir?", Le Lien, febbraio 1995).