giovedì 30 gennaio 2014

..resta a mangiare con noi!

La settimana scorsa abbiamo visto che Gesù aspetta un nostro invito per venire a trovarci a casa nostra!
“L'eucaristia richiede questo invito.. Dobbiamo osare dire: «Mi fido di te; mi affido a te con tutto il mio essere, corpo, mente e anima. (..)Voglio che tu mi conosca, non soltanto per come cammino lungo la strada e come parlo ai miei compagni di viaggio, ma anche per co­me mi trovo solo con i miei sentimenti e pensieri più profondi. E, soprattutto, voglio arrivare a conoscerti non solo come mio compagno di viaggio, ma come il compagno della mia anima».”
Voglio che tu mi conosca e voglio conoscerti: non è facile dirlo, in realtà! Abbiamo spesso paura della nostra vulnerabilità.. abbiamo talvolta paura anche di dire a noi stessi che viviamo taluni sentimenti, emozioni, pensieri..
“Eppure il mio desiderio più profondo è di amare e di essere amato e ciò è possibile sol­tanto se sono disposto a conoscere e a essere cono­sciuto.
Gesù si rivela a noi come il Buon Pastore che ci conosce intimamente e ci ama.  Quando, dopo le letture e l'omelia, diciamo: «Cre­do in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, nella chiesa cattolica, la comunione dei santi, il perdono dei pec­cati, la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà», invitiamo Gesù a casa nostra e ci affidiamo al­la sua Via.”
Il Credo è molto più che un riassunto della dottrina della Chiesa: è la nostra professione di “fede”, ossia il nostro dire a Dio che ci fidiamo di Lui, è un atto di fiducia! Ci affidiamo a Colui che ci ha spiegato le Scritture come Parola che parla di Lui: non solo camminiamo con Lui, ma ci apriamo a Lui, vogliamo sederci a mensa con Lui!
“I due amici di viaggio invitano, anzi, insistono af­finché lo sconosciuto rimanga con loro. Invi­tano lo sconosciuto a mettere da parte il suo essere sconosciuto per diventare un loro amico. Ecco cosa significa la vera ospitalità: offrire un posto sicuro, do­ve lo sconosciuto può diventare un amico.”
La tavola è il luogo per eccellenza dell’intimità, dove ci si scopre a vicenda, ci si racconta, si litiga e si fa pace, dove si sente la mancanza di chi è assente: “intor­no alla tavola, sappiamo se c'è amicizia e comunità o odio e divisione. Proprio perché la tavola è il luogo dell'intimità per tutti i membri della casa, è anche il luogo in cui l'assenza di quella intimità viene rivela­ta nel modo più doloroso.”
Gesù stesso durante la sua ultima cena con i discepoli condivise il pane e il calice come segno di amicizia, ma nello stesso tempo rivelò che qualcuno lo avrebbe tradito.
“Siamo più vulnerabili quando dormiamo o mangia­mo insieme. Letto e tavola sono i due luoghi di inti­mità. Anche i due luoghi di più grande dolore. E, for­se, di questi due luoghi, la tavola è il più importante perché è il luogo dove si riuniscono tutti coloro che fanno parte della casa e dove la famiglia, la comunità, l'amicizia, l'ospitalità e la vera generosità possono esprimersi ed essere rese reali.”
Con il Credo noi diciamo di volerci fidare e affidare a Dio, lo invitiamo a tavola con noi, perché vogliamo conoscerlo e farci conoscere da Lui e Lui accoglie questo invito, anzi… non appena entra in casa nostra, Gesù stesso ci invita ad entrare in piena comunione con Lui.


mercoledì 29 gennaio 2014

Beato Enrico Susone


Il 16 aprile 1831 papa Gregorio XVI confermò con decreto, l’approvazione del culto del beato Enrico Suso (Seuse) da secoli considerato tale dall’Ordine Domenicano, da filosofi, teologi e dalla Chiesa tedesca.
Nacque il 21 marzo di un anno tra il 1293 e il 1303 a Costanza e secondo notizie pervenutaci del 1512, ebbe come padre il nobile von Berg commerciante, di sentimenti non religiosi e come madre una Seuse di Uberlingen donna piissima, Enrico prese il nome della madre.
A 13 anni entrò nel monastero dei domenicani di s. Nicola sull’isola di Costanza, dove perfezionò gli studi umanistici e seguì la vita regolare del monastero. A 18 anni ebbe una visione della Sapienza eterna di cui divenne fervente apostolo, fu chiamato per questo Amandus, cominciò così una vita d’intensa preghiera, penitenza e unione con Dio, volle incidersi sul petto il monogramma IHS quale segno di totale appartenenza a Cristo.
Studiò filosofia in vari conventi e teologia nella casa principale di Colonia dove ebbe occasione di ascoltare “le dolci dottrine del santo Maestro Eckhart”. Venne coinvolto nel processo per eresia che fu intentato contro Eckhart, fondatore della mistica speculativa tedesca, e dovette discolparsi anche lui davanti ad un capitolo dell’Ordine Domenicano tenutosi ad Anversa nel 1327.
Nel 1330 lasciò le sue pesanti penitenze e l’isolamento e si dedicò allo scrivere e al ministero delle anime, rivelando la sua dottrina e le sue esperienze spirituali. Si spostò da Costanza alla Svizzera, alla Renania, all’Alsazia; e nel monastero delle domenicane di Toss, trovò in Elisabetta Stagel di Zurigo, una pia e saggia raccoglitrice dei suoi racconti e insegnamenti.
A seguito della lotta fra il papa avignonese Giovanni XXII e Lodovico il Bavaro, una parte dei domenicani lasciò Costanza e con essi Enrico Suso, era ancora esule quando nel 1343 imperversò la carestia e lui come priore dei frati esuli, dovette provvedere al necessario per tutti.
Nel 1348 rientrò a Costanza dove fu gravemente calunniato da una giovane donna, dovette trasferirsi in un altro convento e se pur gli fu riconosciuta la sua innocenza, non tornò più a Costanza. Dal 1348 a Ulma continuò il suo ministero delle anime, nel 1362-63 redasse l’Exemplar che contiene la gran parte dei suoi scritti in tedesco. Morì il 25 gennaio 1366.
Grande filosofo tedesco, fu il discepolo più fedele del Maestro Eckhart, è considerato il più amabile dei mistici germanici e forse di tutti i mistici, dote che corrispondeva al suo carattere, egli vuole essere compreso dal cuore, Enrico Suso dice che l’altissimo grado di vita spirituale consiste nell’unione con Dio in visione, amore e gaudio inesprimibile, e compendia così l’unica via che conduce a Dio: deporre la forma creata, formarsi con Cristo, trasformarsi in Dio.
Scrisse il “Libriccino della verità”, il “Libriccino della Sapienza eterna”, l’”Horologium sapientae”, il “Libro delle lettere” con 11 epistole e altre opere ascetiche e religiose. Fu nei Paesi d’Oltrealpe l’autore più letto prima dell’avvento dell’”Imitazione di Cristo”.
Il beato non fu sepolto nella comune fossa dei frati, ma deposto nella chiesa del convento di Ulma; fino al 1531 davanti alla sua tomba ardeva da secoli una lampada e una lapide attestava il culto a lui dedicato.
Tanti santi si sono a lui ispirati nella ricerca della spiritualità eletta; è rappresentato in tantissime opere d’arte di artisti insigni, una sua statua fa parte del gruppo della Madonna del Rosario col Bambino posto sul campanile della Suso-Kirche in Ulma.
Da “Il libretto della vita perfetta”
Prologo: Sull’abbandono interiore e sulla buona distinzione che si deve avere nella ragione

Ecce enim veritatem dilexisti, incerta et
occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.
Ecco, tu ami sincerità di cuore e
nell'intimo mi hai manifestato la tua sapienza.

C’era un uomo in Cristo che s’era esercitato, nei suoi tempi giovanili, secondo l’uomo esteriore, su tutti i punti in cui sono soliti esercitarsi i principianti, ma restava inesperto l’uomo interiore quanto al suo più alto abbandono, e lui sentiva bene che qualcosa gli mancava, ma non sapeva che cosa. Avendo trascorso così lungo tempo, molti anni, ebbe una volta un raccoglimento, nel quale fu tratto in se stesso e gli fu detto così internamente: «Devi sapere che l’abbandono interiore porta l’uomo alla più alta verità». Però quella nobile parola gli era allora barbara e sconosciuta, e aveva tuttavia molto amore per tale cosa, ed era spinto assai fortemente verso questa stessa cosa [pensando] se prima della morte potesse arrivare a conoscerla chiaramente e conseguirla a fondo. Così giunse a essere avvertito e ispirato che nello splendore di quella medesima immagine vi stesse nascosto un falso fondo di disordinata libertà, e vi stesse ricoperto un grave danno per la santa cristianità. Egli se ne spaventò e sentì per qualche tempo in se stesso una ripugnanza verso la chiamata interiore. E una volta ebbe in se stesso un forte rapimento, e gli si fece lume da parte della divina Verità, che non doveva avervi nessun abbattimento; perché è sempre stato e dovrà essere sempre che il male si celi dietro il bene, e non si deve perciò rigettare il bene a causa del male. E intese dire che nell’Antico Testamento, quando Dio per mezzo di Mosè operò i suoi veri miracoli, i maghi vi mischiarono i loro falsi; e quando venne Cristo, vero Messia, vennero alcuni altri e dimostrarono falsamente di esserlo ugualmente. Ed è così dovunque, in ogni cosa, e perciò il bene non si
deve rigettare con il male, ma si deve scegliere mediante una buona distinzione, come fece la bocca divina. E spiegò che non fossero da rigettare le buone immagini ragionevoli, che tengono sottomessa la loro chiara ragionevolezza al pensiero della santa cristianità, né che fossero da temersi le massime ragionevoli che contengono una buona verità riguardo a una vita perfetta; perché esse dirozzano l’uomo e gli mostrano la sua nobiltà, l’eccellenza dell’Essere divino e la nullità di tutte le altre cose, ciò che giustamente, al di sopra di ogni cosa, incita l’uomo al vero abbandono. E così tornò al precedente modo di vivere di un vero abbandono, verso cui era stato esortato. Ora desiderò dall’eterna Verità che gli desse una buona distinzione, per
quanto fosse possibile, tra gli uomini che hanno di mira un’ordinata semplicità, e alcuni che hanno per scopo, come si dice, una libertà disordinata, e gli insegnasse quale fosse il retto abbandono, per mezzo del quale potesse giungere dove doveva. Gli fu risposto in maniera luminosa che tutto ciò doveva avvenire secondo il modo di una spiegazione per similitudini, come se il discepolo domandasse e la Verità rispondesse. E fu anzitutto rinviato al nocciolo della Santa Scrittura, da dove parla l’eterna Verità, perché vi cercasse e vedesse ciò che ne avessero detto i più dotti e i più sperimentati, ai quali Dio ha

aperto la sua Sapienza nascosta, com’è indicato qui sopra in latino, o che cosa ne ritenesse la santa cristianità, in modo che restasse nella verità certa. E gli si fece luce così.

martedì 28 gennaio 2014

PREGHIERA PERSONALE

La preghiera personale è il mio colloquio intimo con Dio, è una comunicazione unica e singolare: come ognuna di noi è unica, così anche il mio modo di pregare, di colloquiare, è diverso da quello dell’altro. Ciascuno, infatti, si presenta con il suo carico umano fatto di soddisfazioni e delusioni, di gioie e preoccupazioni, di sentimenti e desideri che lo rendono soggetto ed oggetto irripetibile di amore. Non esiste quindi la preghiera in astratto, ma la persona che prega, poiché la preghiera passa necessariamente dall’esperienza umana per divenire esperienza spirituale.

Tuttavia, il colloquio autentico e veritiero è caratterizzato da momenti essenziali che non ne imitano l’unicità e la libertà, ma che ne fanno un’esperienza vivificante. È vero che la preghiera personale non è tutta la preghiera, ma nella storia della Chiesa, chi è riuscito a fare della propria vita una preghiera incessante ha dedicato regolarmente del tempo ogni giorno alla preghiera personale. Dare una cadenza ritmata e regolare all’incontro personale con Dio aiuta a regolare anche la vita quotidiana. Alcuni pensano che la preghiera sgorghi sempre spontaneamente, ma chi fa esperienza vera di preghiera sa che la disposizione a pregare il più delle volte corrisponde a un preciso atto di volontà di determinarsi a pregare, di fare spazio e silenzio per ascoltare il Signore. È chiaro che l’uomo non può trascorrere tutto il tempo in preghiera e raccoglimento, neanche Gesù l’ha fatto in terra. Tuttavia la relazione con Dio ha bisogno di tempi adeguati per trasformare la nostra vita in preghiera continua.

sabato 25 gennaio 2014

SALMO 15 (14)

Questo breve salmo fa parte delle “liturgie d’ingresso”, dove c’è sempre un aspetto penitenziale.
C’è il richiamo a un culto non formalistico, il culto deve esprimere il legame della preghiera con la vita. Troviamo tale richiamo anche in altri luoghi biblici, in particolare in Michea (6,6-8) e Isaia (33,14-16).
Nella sua forma poetica il testo presenta una linearità che fa pensare a un testo ufficiale e impegnativo. La domanda iniziale viene probabilmente rivolta da un fedele al sacerdote in servizio alle porte del tempio (tenda). La risposta contiene le norme fondamentali dell’etica, della sociologia e del diritto d’Israele. Più che una norma legalista, il salmo fa riferimento a un atteggiamento permanente di vita.
“Non far del male al prossimo” è la regola d’oro che troviamo in Tobia, in Gesù stesso, ma anche nel buddismo e in altri sapienti orientali. Questo cammino di giustizia e di carità porta alla stabilità di chi confida nella roccia di Jahweh, di cui è simbolo il colle Sion, altura su cui fu costruito il tempio di Gerusalemme.



Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?

Colui che cammina senza colpa,
agisce con giustizia e parla lealmente,
non dice calunnia con la lingua,
non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulto al suo vicino.

Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Anche se giura a suo danno, non cambia;
presta denaro senza fare usura,
e non accetta doni contro l'innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

giovedì 23 gennaio 2014

Rimani con noi...



“Mentre ascoltano lo sconosciuto, qualcosa cambia dentro i due viaggiatori tristi. Non solo percepiscono una speranza nuova e una gioia nuova che toccano il loro essere più intimo, ma la loro andatura è diven­tata meno esitante. Lo sconosciuto ha dato loro un nuovo senso di direzione.
'Andare a casa' non signi­fica più ritornare all'unico luogo rimasto. La casa è diventata più che un riparo necessario... Lo sconosciuto ha dato al loro viaggio un signifi­cato nuovo. La loro casa vuota è diventata un luogo di accoglienza, un luogo per ricevere gli ospiti, un luogo per continuare la conversazione che avevano iniziato in modo così inaspettato.”
Venivano da una “perdita” e Gesù parla loro di “gloria”: «Non bisognava», aveva detto, «che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
Le parole che fanno ardere il loro cuore indicano qualcosa che prima non erano riusciti a vedere: lo stesso tornare a casa non è più una sconfitta, ma il luogo dove ritrovarsi tra amici, dove accogliere l’altro: “Resta con noi..”.
“Forse non siamo abituati a pensare all'eucaristia come a un invito a Gesù di rimanere con noi. Siamo più inclini a pensare che sia Gesù ad invitare noi alla sua casa, alla sua tavola, al suo pasto. Ma Gesù vuole essere in­vitato. Senza un invito proseguirà per altri luoghi.”
Gesù non si impone, attende un invito: “Finché non lo invitiamo, egli ri­marrà sempre uno sconosciuto, forse uno sconosciu­to molto affascinante e intelligente con il quale ab­biamo avuto una conversazione interessante, ma co­munque uno sconosciuto.”
Finchè non invito qualcuno ad entrare in casa mia, rimarrà sempre uno sconosciuto: potrà anche essere una persona straordinaria, particolare, importante, ma comunque uno sconosciuto.
Senza un invito, che è l'e­spressione del desiderio di una relazione duratura, la buona notizia che abbiamo udito non può portare dei frutti duraturi. Rimane 'notizia' tra i tanti tipi di no­tizie che ci bombardano ogni giorno.”
Spesso abbiamo occasione di vivere momenti belli, incontri profondi, ma quanti diventano relazioni profonde? “E così la nostra vita è piena di buoni consigli, idee utili, pro­spettive meravigliose, ma tutto ciò si aggiunge semplicemente alle tante altre idee e prospettive, lascian­doci 'non compiuti' ..Soltanto con un invito a «entrare per rimanere con me», un incontro interessante può svilupparsi in una relazione trasformante.”
E così succede anche con Dio: possiamo semplicemente ringraziarlo per i momenti belli, interessanti, che ci permette di vivere, ma finisce tutto lì, o possiamo invitarlo ad entrare in casa nostra!
“Questo invito a venire a vedere è l'invito che fa tutta la differenza. Gesù è una persona molto interessante; le sue pa­role sono piene di sapienza. La sua presenza riscalda il cuore. La sua gentilezza e benevolenza sono profon­damente commoventi. Il suo messaggio è una vera sfi­da. Ma lo invitiamo in casa nostra? Vogliamo che lui venga a conoscerci dietro le pareti della nostra vita più intima? Vogliamo presentarlo a tutte le persone con cui viviamo? Vogliamo che ci veda nella nostra vita di tutti i giorni? Vogliamo che ci tocchi dove sia­mo più vulnerabili? Vogliamo veramente che lui resti con noi quando si fa sera e il gior­no già volge al declino?”

martedì 21 gennaio 2014

Quanto tempo ancora?

La vita (di Domenico) si presenta molto affettiva. Si parla di una persona che aveva il dono delle lacrime, che nella preghiera aveva una fortissima sensibilità. Dobbiamo scoprire qualcosa osservando questa personalità così affettiva: le lacrime sono segno di passione. Io le definisco lacrime come avvento. Domenico vive un grande avvento e le lacrime chiedono di affrettare i tempi. Come dicono gli ebrei nelle loro preghiere: “presto, molto presto”. Le lacrime sono espressione della sensibilità di una persona che vede che quello che aspetta sta tardando. (p. 60)

Domenico dice ciò che vede: è fedele alla realtà.
I suoi cambiamenti sono strettamente legati a quello che vede. Questo è il legame presente nello spirito mendicante tra la realtà, che si propone con forza e certe volte grida, e la fedeltà a un sogno, che le lacrime sottolineano: prima o poi arriverà un cambiamento della storia e io ti chiedo di affrettarlo. (p. 61)

(da Antonietta Potente, Gli amici e le amiche di Dio. Benedetto, Francesco, Domenico e le donne che hanno condiviso la loro ispirazione, Icone Edizioni, Roma 2000)