giovedì 31 gennaio 2013

NON SAPPIAMO PIÙ GIOCARE ALLA VITA: BARIAMO

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Riportiamo un articolo interessante di Alessandro D'Avenia, blog Prof 2.0.

Buona riflessione a tutti

Gli uomini non corteggiano più le donne. Diventiamo cinici: non ne vale la pena, tanto poi finisce. Eppure non c’è gioco più bello dell’amore. Non comincia tutto con un gioco di sguardi per diventare poi un gioco di anime? Però non ci riesce più di stare al gioco.

Il gioco è una delle finestre aperte per scandagliare il guazzabuglio sociale del cuore umano. Il gioco è un’isola perfetta, un territorio circoscritto da regole precise in cui il rischio – a differenza della realtà – è controllato e non può farci troppo male. Sono proprio le regole e la fiducia negli altri che rendono appassionante e libero il gioco, che finisce infatti quando uno bara o dice “non gioco più”. Così è per ogni gioco: soprattutto quello dell’amore. Ma andiamo con calma. Oggi ci sono altri giochi che ci rivelano la fatica che facciamo a giocare la vita “sul serio”.

Prima c’è il grande gioco di ruolo globale: Facebook. Un gioco in cui uno fa la parte di se stesso, indossa la maschera di sé, grazie a foto in cui è più bello di come appare nella realtà e scrive frasi più intelligenti di quelle che pronuncia nella realtà. Appartiene alla categoria di giochi in cui impersoniamo qualcun altro. Da bambini diventavamo il dottore, la maestra, la mamma, il pompiere. Oggi diventiamo il profilo di Facebook. Il bambino che fa il pompiere non vuole fare il pompiere, ma vuole fare l’adulto, imita le cose che fanno i “grandi”. I nostri profili di Fb imitano chi noi vorremmo essere da “grandi” (non adulti, “grandi”, “magni” come Alessandro e Carlo). È un gioco antico: oscillare tra reale e ideale, tradendo spesso il primo a favore del secondo, con tutti i rischi di don Chisciotte e Madame Bovary. Certo lo facciamo per farci amare, farci amare un po’ di più: infatti essere un po’ più amabili ci fa credere di essere un po’ più amati. Le bacheche di Fb sono facciate immacolate, ma il ritratto, come Dorian Gray, è nella soffitta della nostra anima. E un giorno per farci amare davvero dovremo mostrare anche quello, con le sue brutture, a nostro rischio e pericolo.

Poi c’è Ruzzle. Abbiamo le parole e le parole dimorano, crescono e maturano nelle poesie e nelle pagine di prosa. Quando le troviamo brillano come pepite in una miniera. Le riconosciamo come un gioiello smarrito nell’angolo di un cassetto. Oggi leggiamo un po’ meno, anzi oggi leggiamo meno poesie e meno pagine di prosa di quelle che salvano le parole. Certo, ci informiamo moltissimo, ma finiamo con l’usare sempre le stesse parole e magari lasciamo entrare nella nostra anima mostri come endorsement (che poi “appoggio” non suona tanto male). Ruzzle segnala sulla carta geografica dell’anima la nostra nostalgia per le parole: ci mancate, parole. Tornate, parole, per favore, a dirci chi siamo e come siamo. Ruzzle non è altro che il vecchio Cose Nomi Città. Giochi antichi, nomi (affari) nuovi.

E poi c’è il gioco del calcio: l’agon, la battaglia. La vita è lotta e il calcio oggi ne è la sublimazione più comoda e spettacolare. Dal divano di casa si lotta bene. Un agone senza agonia, a tutte le ore del giorno. Che cosa c’è di meglio di lottare senza sudare ma provando le stesse emozioni?

Certo c’è anche l’azzardo: il gratta-e-vinci, il bingo, le slot-machine e tutto quella categoria di giochi che ci ricorda che la vita è una lotta contro il destino. Non c’è merito che conti, ma puro caso a cui abbandonarsi finanche a naufragare, come purtroppo succede ai ludopatici, vittime del destino che hanno sfidato.

Da ultimo ci sono i giochi della vertigine: quelli che piacciono ai giovani, quelli che portano a perdersi per ricordarsi che nella vita non vorremmo avere regole, infrangendo persino quelle assolute. Ogni sballo che sfida la ragione e l’istinto di conservazione: dal bungee jumping a chi beve più birre. Giochi che possono portare a giocare la vita, fino a perderla.

I giochi del nostro tempo ci dicono chiaro che noi vogliamo “giocarci la vita” e vogliamo che gli altri “giochino sul serio”, ma allo stesso tempo ci rivelano che spesso ci accontentiamo di prenderci gioco della vita: insomma bariamo. E invece avremmo bisogno di essere veri giocatori e non bari della vita: giocare un po’ di più nel quotidiano e con le persone che abbiamo accanto. Fare un amore più vero, tornare a corteggiare senza sfumature di grigio, leggere una bella poesia e magari impararla a memoria, essere persone amate e non solo amabili profili, accettare l’agone senza il divano, lavorare in modo più giocoso e azzardare qualche scelta invece di lamentarci sempre della sfortuna.

Non ho dimenticato l’amore, il gioco dei giochi. Il gioiello più fragile e prezioso della vita, che per indossarlo infatti incastoniamo giorno per giorno nell’oro dei riti. Eppure sembra che il galateo dei sentimenti stia sparendo. Non sappiamo più giocare come si deve. Non sappiamo più arrossire, corteggiare, sfiorare, cercare parole, ricordare un anniversario e fare una sorpresa. Compriamo subito, afferriamo subito, dimentichiamo subito. Ci prendiamo gioco dell’amore, bariamo, per poi scoprire che ci siamo giocati la felicità. E finiamo col nasconderci dietro un cinico e dolorante: non gioco più.

La Stampa, 29 gennaio 2013

mercoledì 30 gennaio 2013

CHE CERCATE? (Incontro Giovani Domenicani Imeldini 26-27 Gennaio, Villa Imelda)

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Super incontro per super giovani!
Sabato pomeriggio ci siamo stretti tutti attorno a Suor Maria di Campello, una figura religiosa di grande spessore. Poco conosciuta, anzi per nulla, nonostante le prestigiose corrispondenze.
Alessandra, la nostra guida alla scoperta di Suor Maria, ci ha affascinato e infiammato raccontandoci la sua semplice vita, vissuta alla ricerca di una fraternità pura e povera.
«La Chiesa romana presiede all’agape […] che vuol dire: presiede all’agape, all’amore? Amare di più»  (Sorella Maria parla., fascicolo Vivere la fede cristiana, p. 1). La Chiesa romana è quella che esercitando una presidenza di amore, deve saperla esprimere nell'umiltà e nell'accoglienza di tutti i suoi figli che non sono solo i cattolici, ma tutti i " sinceri cercatori di Cristo".
Ancora elettrizzati ci siamo lasciati educare da Sr Luisa in una emotiva preghiera serale che ci ha stretti e preparati alla comunione della cena e del dopo cena.
E da qui abbiamo mollato i freni! Tra risate, giochi di carte e canzoni abbiamo preparato la notte e il giorno dopo, ci siamo scatenati in una accanita partita a calcetto!
Che altro dire....è stato un successo, ma non ne avevamo dubbi. Le suore della comunità di Villa Imelda, accoglienti come sempre, ci hanno ospitato con grande affetto e calore, accompagnandoci in questi primi, incerti passi verso l'Amore. Cliccate sotto per leggere le tracce ... vi aspettiamo sabato 23 e domenica 24 Febbraio per una giornata sulla neve con gli amici dell'Unitalsi di Reggio Emilia e Edith Stein. Non mancate!
Biografia Sr Maria di Campello a cura di Alessandra Z.
Traccia di preghiera a cura di Sr Luisa Carraro


...Le virtù della Beata Imelda...l'obbedienza

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E’ un’altra virtù eucaristica, insegnata da Imelda e che ella ricercava così come si esprime p. Giocondo:
“…Imelda andava al tabernacolo, divenuto la sua scuola per imparare a obbedire.. la santa eucaristia era diventata l’unico centro della sua vita…e non poteva ricevere Gesù a causa dell’età…Era dura la prova, ma non si lamentava, non si ribellava agli ordini dei Superiori. Ad esempio di Gesù Sacramentato,voleva ubbidire a qualunque costo uniformando al sua volontà a quella dei suoi superiori…” (Ibid. 11)


L’obbedienza di Imelda appresa alla scuola di Gesù Eucaristia si  manifestava soprattutto  in ordine all’amore e di questo era la riprova:
“…Un ardore sempre crescente consumava l’anima di Imelda che non aveva che un unico immenso  desiderio, come immenso era il suo amore: ricevere Gesù, nutrirsi della sua carne…e non poteva più contenere quella ardente brama del suo cuore e andava scongiurando con lacrime che mettessero fine al suo martirio. (AL IV 12 (12).

L’obbedienza, pur scaturendo dall’esempio di Gesù sacramentato, trova nell’amore la sua ragione.
Se la piccola Imelda è modello per l’esercizio della virtù dell’obbedienza, P. Giocondo dichiara, nel confronto con lei, alcune situazioni perché noi pure ci esaminiamo e conclude il discorso con parole che diventano preghiera:
“Oh, soave fanciulla, o dolce Imelda, fa’ che anche noi impariamo e pratichiamo le sublimi lezioni che partono dall’Ostia divina: se Gesù obbedisce alla volontà della sua creatura, perché noi non obbediamo a  quella di Gesù? (Ibid).


L’obbedienza che pratica la piccola Imelda nasce dall’impeto incontenibile di amore che prova e, pertanto, divine il segno più manifesto dell’amore. “Per obbedire hai dovuto contenere la fiamma divina che ti faceva languire d’amore…” (Ibid).
Conseguentemente rivela che l’amore è il fondamento dell’obbedienza che viene sempre più stimolata da esso. “…Fa’ che noi, in premio di quella obbedienza che sul tuo esempio ti promettiamo di praticare, siamo accesi di quel fuoco santo…” (Ibid).

Nell’Eucaristia, Gesù continua l’offerta che ha fatto di se stesso sulla croce, come atto supremo di obbedienza al Padre. Un’obbedienza piena di amore, che fu la caratteristica di tutta la sua vita e lo portò perfino a dire: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4, 34).

Il grande desiderio dell’Eucaristia spingeva Imelda a chiedere, a supplicare…, ma a chi aveva autorità nella comunità era difficile capire che questo desiderio era volontà di Dio. Imelda con docilità obbediva e attendeva. Anche quando si compì il miracolo, Imelda ricevette la comunione eucaristica dal sacerdote perché “tutto avvenga con ordine” (1Cor 14, 40).

“Onora il padre e la madre” dice il comandamento di Dio. A quali altre persone mi è chiesto di essere obbediente? Quando sono incerto sul mio comportamento, cerco il consiglio di qualche persona che mi possa insegnare il bene? La mia obbedienza è anche una responsabile collaborazione per il bene di tutti?

Che cercate?

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Preghiera della sera

Il momento di preghiera vuole essere una provocazione attraverso la Parola e la musica. Il filo conduttore è questa domanda " Che cercate?" che Gesù rivolge ai discepoli del Battista.

Tutta la Bibbia è un grande racconto dell'uomo che cerca il suo Dio...ma Sr Luisa ricordava che è anche il racconto di Dio che cerca l'uomo, la sua creatura, reciproci amanti.

Cliccando sui titoli delle canzoni potrete ascoltarle.

Buona preghiera e meditazione a tutti voi.


Canto d'inizio: O AMORE INEFFABILE

Testo di S.Caterina da Siena
Musica di Marco Frisina


Tu, abisso di carità,
pare che sii pazzo delle tue creature.
Chi ti muove a fare tanta misericordia?
L’amore.

    O Amore ineffabile, dolcissimo Gesù,
    o amoroso Verbo, eterna deità,
    tu sei fuoco d’amore, eterna verità,
    Resurrezione nostra, Signore.

Tu sei somma dolcezza nell’amarezza nostra,
splendore nelle tenebre, sapienza nella stoltezza.

Tu sei Signore, Padre, tu sei fratello nostro,
tu sei Deità eterna, purissima bellezza.

O Amore, Amore inestimabile, eterna deità.


Salmo 27

Il mio cuore ripete il tuo invito: 
"Cercate il mio volto!".
Il tuo volto, Signore, io cerco.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Quando mi assalgono i malvagi
per divorarmi la carne,
sono essi, avversari e nemici,
a inciampare e cadere.

Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me si scatena una guerra,
anche allora ho fiducia.

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.

Il mio cuore ripete il tuo invito: 
"Cercate il mio volto!".
Il tuo volto, Signore, io cerco.


Nella sua dimora mi offre riparo
nel giorno della sventura.
Mi nasconde nel segreto della sua tenda,
sopra una roccia mi innalza.

E ora rialzo la testa
sui nemici che mi circondano.
Immolerò nella sua tenda sacrifici di vittoria,
inni di gioia canterò al Signore.

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!

Il mio cuore ripete il tuo invito: 
"Cercate il mio volto!".
Il tuo volto, Signore, io cerco.

Non nascondermi il tuo volto,

non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.

Mostrami, Signore, la tua via,
guidami sul retto cammino,
perché mi tendono insidie.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.

Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

Il mio cuore ripete il tuo invito: 
"Cercate il mio volto!".
Il tuo volto, Signore, io cerco.

Gloria al Padre...(insieme)


Cerco la tua voce

(Gen Rosso)
Dove sei, perché non rispondi?
Vieni qui, dove ti nascondi?
Ho bisogno della tua presenza:
è l'anima che cerca Te. Spirito che dai vita al mondo,
cuore che batte nel profondo.
Lava via le macchie della terra
e coprila di libertà.
Soffia, vento che
hai la forza di cambiare,
fuori e dentro me, questo mondo
che ora gira, che
ora gira attorno a Te.

Soffia proprio qui
fra le case, nelle strade della mia città.
Tu ci spingi verso un punto che
rappresenta il senso del tempo,
il tempo dell'unità.

Rialzami e cura le ferite
riempimi queste mani vuote.
Sono così spesso senza meta
e senza Te cosa farei?
Spirito, oceano di luce,
parlami, cerco la tua voce;
traccia a fili d'oro la mia storia
e intessila d'eternità.
Soffia, vento...
Soffia proprio qui..
.

Ascoltiamo la Parola dal Vangelo di Giovanni (1, 35-39)

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì (che significa maestro), dove abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

“Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per conservare e un tempo per buttar via.” (Qo 3, 1.6)


Seminate per voi secondo giustizia
e mieterete secondo bontà;
dissodatevi un campo nuovo,
perché è tempo di cercare il Signore,
finché egli venga
e diffonda su di voi la giustizia. (Osea 10,12)


Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato

l'amore dell'anima mia;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Mi alzerò e farò il giro della città
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l'amore dell'anima mia.
L'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:
"Avete visto l'amore dell'anima mia?".
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l'amore dell'anima mia.
Lo strinsi forte e non lo lascerò,
finché non l'abbia condotto nella casa di mia madre,
nella stanza di colei che mi ha concepito. (Ct 3,1-4)

Mi sono perso come pecora smarrita;
cerca il tuo servo: non ho dimenticato i tuoi comandi.
(Sal 119,176)

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È entrato in casa di un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". (Lc 19,5-10)

Amore intenso (Giuni Russo)

Immobile 
Le cose ancora non sono 
Palpito di vita 
Adamo ancora non è 
Non pronuncio il tuo nome 
L'amore è palpito in me 
Poi gradino per gradino 
L'incontro nell'anima 
È un amore intenso intenso 
È un amore intenso in te / È un amore intenso in te 
Immutabile 
È un amore in / È un amore in 
Immobile 
Incantato giardino 
In un attimo l'incontro 
Tutto è gioia dentro di me 
Non pronuncio il tuo nome 
L'amore è palpito 
È un amore intenso intenso / È un amore intenso in te 
È un amore intenso in te [è un amore in, è un amore in] 
Immutabile [è un amore in] 
È un amore in te 
Immutabile 
(è un amore in) / (è un amore in) 
Immutabile 
(è un amore in) / (è un amore in)

Momento di silenzio personale

Risonanza

Ritornello

Tu sei per me Padre e Madre.
Tu sei per me fratello e amico.
Tu sei per me servo e Signore.
Tu sei il mio tutto, e tutto in me.


Presentiamo al Signore la nostra ricerca, la ricerca di tutti i nostri amici e amiche, di tutte le donne e gli uomini di questo tempo, perché abbiano la gioia di scoprire l'Amore intenso, ineffabile che li abita.

Padre Nostro

Preghiamo

Donaci, o Signore, di cercarTi con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente, con tutta la nostra passione; di cercare il tuo volto in noi e in ogni persona che incontriamo e, dopo averlo trovato, donaci di continuare a cercarlo. Per Cristo nostro Signore



Sorella Maria di Campello

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Sorella Maria, al secolo Valeria Pignetti, era nata a Torino nel 1875. Di temperamento allegro e contemplativo sin da bimba, amante della natura e della poesia, era entrata nel 1901 nell’istituto francese delle Francescane missionarie con il nome di Maria Pastorella. Qui si era fatta stimare per l’impegno con cui aveva assolto i diversi incarichi – direzione di opere di accoglienza e di assistenza, anche in ambito ospedaliero - che le erano stati affidati.

Da questa realtà era uscita dopo 18 anni, non senza intenso dolore proprio e delle compagne e con la consolazione di aver ricevuto il consenso di Benedetto XV, alla luce di una nuova vocazione, insieme eremitica e comunitaria, che dopo varie peregrinazioni trovò collocazione ideale nell’eremo di Campello. (Vocazione che lei chiama “violetta” tanto delicata ma potente, infatti Dio la chiama ad un’altra vita fuori dal convento, dalla congregazione e dalla convenzionalità dell’Ordine). Maria, come scrive più volte, non vuole creare un nuovo ordine monastico o una nuova congregazione ma una vita comune, che si realizzi nel silenzio e nella contemplazione, che sperimenti il senso del sacro nell’armonia del quotidiano, che preghi meditando Bibbia e Vangelo e creando liturgie in cui semplicità bellezza intensità si fondano inscindibilmente. (Una delle liturgie era quella di una piccola processione insieme alle sorelle su per il sentiero che lei chiamava “la via di Gerusalemme”).

La volontà di non bloccare vitalità e carisma originario si esprime anche attraverso la scelta, di non dettare una regola di vita, ma di predisporre «consuetudini disciplinate», un insieme di gesti, atteggiamenti, riti parzialmente rielaborati e riformulati nel corso del tempo. “Non siamo né monache né suore. Non abbiamo una regola speciale ma seguiamo con semplicità e amore il pensiero di S. Francesco. Seppur non siamo monache nel senso specifico della parola, lo siamo nel senso essenziale. Non desideriamo né protezione né appoggi né privilegi. Siamo grate a chi ci porge la mano fraterna”: sono parole del Pro manuscripto “Una vita fraterna” dell’Eremo e da esse possiamo cogliere il profumo e lo spirito di un’esperienza femminile leggera, alla ricerca dell’essenziale.


Così ha inizio una vicenda particolare di comunità modellata sulla radicalità evangelica e francescana, un piccolo cenacolo - non raccoglierà mai un numero superiore a 15 sorelle nella convivenza comune - contrassegnato dall’apertura e l’accoglienza senza preclusioni nei confronti di qualsiasi realtà autenticamente religiosa e umana.

Si hanno contatti e spesso si ospitano anglicani e valdesi, calvinisti, zwingliani che provengono da vari paesi europei, dagli Stati Uniti, dall’India; ci si apre al dialogo con persone di diverse fedi.
Il suo intento era dare vita a una piccola koinonìa, una comunità esemplata sull’esperienza delle realtà cristiane delle origini, che vivesse la fraternità narrata negli Atti degli Apostoli e insieme la purezza e la povertà del primo francescanesimo.  Una piccola Chiesa, con il linguaggio dell’ecclesiologia conciliare potremmo dire una «Chiesa particolare», che esprimesse nella sua realtà tutta quanta la pienezza e la ricchezza della Chiesa «cattolica, cioè «universale».  Sorella Maria stupì, affascinò o scandalizzò molti.


Così quel vecchio convento francescano di Campello, già di Sant’Antonio Abate ma da lei ribattezzato ‘Rifugio San Francesco’, dove già avevano soggiornato o vissuto dei santi (S. Francesco di Paola, S.Giovanni da Capistrano, San Bernardino da Siena), abbandonato da tempo e ormai in rovina ma tenuto in piedi quasi da una predestinazione, ha visto arrivare un giorno una piccola ‘allodola’ in cerca d’una zolla per nidificare. Dietro di lei un piccolo stormo di “allodole” gentili, come lei amava dire di sé e del suo piccolo gruppo di compagne.


Da quella solitudine Sr. Maria, quasi senza mai muoversi da Campello, ha saputo mantenere e continuare a tessere una rete che ha abbracciato il mondo.
I suoi corrispondenti, spesso tenacemente cercati e mantenuti con fedele costanza, andavano dall’Europa all’Africa, dall’America all’Asia, e questi rapporti erano sempre con grandi spiriti: il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Albert Schweitzer, Paul Sabatier ecc. E poi gli italiani: Ernesto Bonaiuti (scomunicato), Primo Mazzolari, Giovanni Vannucci, Davide Maria Turoldo, Aldo Capitini e si potrebbe continuare …


Sorella Maria è una figura ricca, complessa e affascinante, la sua disarmante umiltà e il genio mistico che la caratterizza le hanno consentito di anticipare molte delle luminose intuizioni che caratterizzeranno il pontificato di Giovanni XXIII. Predicava una «fraternità riverente» tra cattolici e i fratelli ‘diversamente cristiani’, i ‘fratelli separati’ del Papa Buono. Ma lei preferiva chiamarli «fratelli nel Signore», con i quali auspicava una «diversità riconciliata» che si accontenta di ciò che unisce, lasciando ai tecnici della teologia le dispute su ciò che divide.


La piccola famiglia dell’eremo diventa, nell’intenzione e nello spirito di Sorella Maria una specie di icona anticipatrice di quello che dovrebbe, e che dovrà essere un giorno, la Chiesa: una «famiglia sconfinante», cioè una famiglia che tiene e sente sempre presenti anche quelli che non sono in quel momento in casa, e che pure sono e restano parte della famiglia mistica dell’eremo. Ciò le permette di lanciare un ponte per il dialogo anche con il pensiero ‘laico’ con il quale auspica un rapporto di «simpatia adulta», fatta di spirito di tolleranza, di rispetto, di collaborazione.
Una Chiesa dunque in cui trovi spazio ogni «credente sincero», anche non cristiano,; una speciale unione con «i fratelli che cercano Cristo» e la convinzione che «tanto più siamo cristiani, quanto più siamo uniti»; l’amore filiale per la Chiesa Madre, la Chiesa di Roma, a cui si riconosce «l’elemento sostanziale e assoluto»


Una chiave importante per penetrare più a fondo nell’animo della sorella è una famosa espressione di Ignazio di Antiochia da lei prediletta: «La Chiesa romana presiede all’agape […] che vuol dire: presiede all’agape, all’amore? Amare di più»  (Sorella Maria parla., fascicolo Vivere la fede cristiana, p. 1). La Chiesa romana è ignazianamente, per lei, quella che, esercitando una presidenza di amore, deve saperla esprimere nell’umiltà e nell’accoglienza di tutti  i suoi figli che non sono solo i cattolici ma tutti «i sinceri cercatori di Cristo».
Parole che non possono essere gradite, e non lo furono, da chi identifichi l’adesione al cristianesimo come la accettazione di formulazioni dogmatiche, da chi riconosca nella Chiesa cattolica la sola istituzione che ha in sé l’esclusiva della salvezza.  

Parole che indicano come la distinzione tra Chiesa e Regno di Dio, successivamente patrimonio dell’ecclesiologia conciliare, sia già tutta presente nelle parole dell’eremita, che scrive ancora: «Noi non dobbiamo restringerci in un ambito: apparteniamo sì, con venerazione, alla Chiesa romana, ma tenendoci al largo per essere con tutti… Andare al largo serve per diventare lungimiranti, a compatire, a crescere nel distacco, nell’attesa del Regno»

Preghiera di sorella Maria

Donaci la libertà
degli uccelli del cielo,
la gratitudine
dei fiori del campo.
Donaci la pace.
Il resto sarà dato in più.

 

 

 

SAN TOMMASO D’AQUINO sacerdote e dottore della Chiesa (1225-1274)

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Tu non possiedi la verità: è la verità che possiede te.


Sbocciato a pochi anni dalla morte di san Domenico dai conti d’Aquino, Tommaso era destinato a realizzare perfettamente l’ideale dell’ardente Spagnolo: “Contemplata aliis tradere”.
Dopo una permanenza nell’abbazia benedettina di Montecassino dove ricevette la prima educazione religiosa e umanistica, passò all’università di Napoli; il contatto con fra Giovanni di San Giuliano gli fece prendere coscienza della sua vocazione apostolica. All'età di 18 anni entrò nell'ordine domenicano e, dopo un soggiorno nel suo castello di Roccasecca, dove si dedicò allo studio delle Sentenze e dei testi aristotelici (tradotti da Michele Scoto), lasciò l'Italia (1246).e superando l’accanita opposizione dei famigliari, fu a Colonia, allievo di sant’Alberto Magno (1248-1252). A trentun anni siede col grado di maestro sulla cattedra parigina di teologia, che diverrà faro di luce, avamposto della sapienza, convegno e teatro di appassionate lotte. Tommaso alterna l’insegnamento con un’efficace predicazione e tempestivi interventi presso la curia romana. Vincolato da cordiale amicizia a san Bonaventura, cadde ammalato mentre – come lui – si avviava al Concilio di Lione. Morì nell’abbazia di Fossanova il 7 marzo 1274. Fu canonizzato il 18 luglio 1323, da Giovanni XXII, proclamato dottore della Chiesa da san Pio V nel 1567 e patrono delle scuole cattoliche da Leone XIII nel 1879.
La tradizione cattolica e il magistero pontificio è unanime nel riconoscere in lui il “dottore per eccellenza” (“doctor communis”) e la sua opera è additata come l’espressione massima del pensiero cristiano. “In lui la Scienza e la santità sono un eguale riflesso della divina bellezza che la Sapienza Divina irradia con inesauribile fecondità di bene.
Senza dubbio alcuno, nella storia della cultura egli segna una mirabile vittoria dello spirito: amorosamente accogliendo ogni particella di verità sparsa nel mondo della cultura, non solo ne fa una sintesi armoniosa e pura, ma – con eroica coerenza morale – la vive e fa toccare con mano che la contemplazione costruttiva e operosa non è vana parola” (Pera).
Si commemora la deposizione delle reliquie di san Tommaso (1369) a Tolosa, nella chiesa a lui dedicata (les Jacobins). Trasportate durante la Rivoluzione francese nella cripta di Saint-Sernin (1792), ritornarono finalmente nel 1974 alla loro sede primitiva.

Vi Proponiamo di seguito alcuni testi dal Supplemento della Liturgia delle Ore dell’Ordine Domenicano, davvero significati in relazione alla vita di questo grande uomo.

Poiché hai chiesto il discernimento nel giudicare, ecco, faccio come tu hai detto: ti concedo un animo saggio e intelligente, dice il Signore.

Sal. 39


2 Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.

3 Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.

4 Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.

5 Beato l'uomo che ha posto la sua fiducia nel Signore
e non si volge verso chi segue gli idoli
né verso chi segue la menzogna.

6 Quante meraviglie hai fatto,
tu, Signore, mio Dio,
quanti progetti in nostro favore:
nessuno a te si può paragonare!
Se li voglio annunciare e proclamare,
sono troppi per essere contati.

7 Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.

8 Allora ho detto: "Ecco, io vengo.
Nel rotolo del libro su di me è scritto
9 di fare la tua volontà:

mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo".

10 Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.

11 Non ho nascosto la tua giustizia dentro il mio cuore,
la tua verità e la tua salvezza ho proclamato.
Non ho celato il tuo amore
e la tua fedeltà alla grande assemblea.

12 Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia;
il tuo amore e la tua fedeltà mi proteggano sempre,

13 perché mi circondano mali senza numero,
le mie colpe mi opprimono e non riesco più a vedere:
sono più dei capelli del mio capo,
il mio cuore viene meno.

14 Dégnati, Signore, di liberarmi;
Signore, vieni presto in mio aiuto.

15 Siano svergognati e confusi
quanti cercano di togliermi la vita.
Retrocedano, coperti d'infamia,
quanti godono della mia rovina.

16 Se ne tornino indietro pieni di vergogna
quelli che mi dicono: "Ti sta bene!".

17 Esultino e gioiscano in te
quelli che ti cercano;
dicano sempre: "Il Signore è grande!"
quelli che amano la tua salvezza.

18 Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare.


 

L’anima perciò agisce in maniera virtuosa e perfetta quando opera per mezzo della carità, mediante la quale Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l’anima non agisce: “Chi  non ama rimane nella morte” (1 Gv 3,14).

SIR 39, 1b - 14


[1] Differente è il caso di chi si applica 
e medita la legge dell'Altissimo. 
Egli indaga la sapienza di tutti gli antichi, 
si dedica allo studio delle profezie. 

[2] Conserva i detti degli uomini famosi, 
penetra le sottigliezze delle parabole, 

[3] indaga il senso recondito dei proverbi 
e s'occupa degli enigmi delle parabole. 

[4] Svolge il suo compito fra i grandi, 
è presente alle riunioni dei capi, 
viaggia fra genti straniere, 
investigando il bene e il male in mezzo agli uomini. 

[5] Di buon mattino rivolge il cuore 
al Signore, che lo ha creato, prega davanti all'Altissimo, 
apre la bocca alla preghiera, implora per i suoi peccati. 

[6] Se questa è la volontà del Signore grande, 
egli sarà ricolmato di spirito di intelligenza, 
come pioggia effonderà parole di sapienza, 
nella preghiera renderà lode al Signore. 

[7] Egli dirigerà il suo consiglio e la sua scienza, 
mediterà sui misteri di Dio. 

[8] Farà brillare la dottrina del suo insegnamento, 
si vanterà della legge dell'alleanza del Signore. 

[9] Molti loderanno la sua intelligenza, 
egli non sarà mai dimenticato, 
non scomparirà il suo ricordo, 
il suo nome vivrà di generazione in generazione. 

[10] I popoli parleranno della sua sapienza, 
l'assemblea proclamerà le sue lodi. 

[11] Finché vive, lascerà un nome più noto di mille, 
quando muore, avrà già fatto abbastanza per sé. 

[12] Esporrò ancora le mie riflessioni, 
ne sono pieno come la luna a metà mese. 

[13] Ascoltatemi, figli santi, e crescete 
come una pianta di rose su un torrente. 

[14] Come incenso spandete un buon profumo, 
fate fiorire fiori come il giglio, 
spargete profumo e intonate un canto di lode; 
benedite il Signore per tutte le opere sue. 


La Legge della divina carità
Dagli “Opuscoli teologici ” di san Tommaso d’Aquino, sacerdote; in Opuscula theologica, II, nn. 1137-1154, ed. Marietti, 1954.

"E’evidente che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano cono­scere e dalla cui osservanza. nessuno per ignoranza possa ritenersi scusato. E questa è la legge della divina carità. Ad essa accenna l’Apostolo con quelle parole: “Il Signore pronunzierà sulla terra una parola breve” (Rm 9, 28). 
Questa legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani. Come infatti vediamo nelle cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto se viene compiuto secondo le dovute regole, così anche si riconosce come retta e virtuosa la azione dell’uomo, quando essa è conforme alla re­gola della divina carità. Quando invece è in con­trasto con questa norma, non è né buona, né retta, né perfetta. 
Questa legge dell’amore divino produce nel­l’uomo quattro effetti molto desiderabili. In primo luogo genera in lui la vita spirituale. E’ noto in­fatti che per sua natura l’amato è nell’amante. E perciò chi ama Dio, lo possiede in sé medesimo: “Chi sta nell’amore sta in Dio e Dio sta in lui” (1 Gv 4, 16). E’ pure la legge dell’amore, che l’aman­te venga trasformato nell’amato. Se amiamo il Si­gnore, diventiamo anche noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui ” (1 Cor 6, 17). A detta di sant’Agostino, “come l’anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell’anima ”. L’anima perciò agisce in maniera virtuosa e per­fetta quando opera per mezzo della carità, me­diante la quale Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l’anima non agisce: “Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3, 14). Se perciò qualcuno pos­sedesse tutti i doni dello Spirito Santo, ma non avesse la carità, non avrebbe in sé la vita. Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di qualsiasi altro dono: senza la carità essi non conferiscono la vita. Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti d’oro o di pietre preziose: resta sempre un corpo senza vita. 
Secondo effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti divini: “L’amore di Dio non è mai ozioso — dice san Gregorio Magno —quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere fattivo, non è vero amore”. Vediamo infatti che l’amante intraprende cose grandi e difficili per 1’amato: “Se uno mi ama osserva la mia parola”(Gv 14, 25). Chi dunque osserva il comandamento e la legge dell’amore divino, adempie tutta la legge. 
Il terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le avversità. Chi possiede la carità non sarà danneggiato da alcuna avversità: “Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio ”(Rm 8, 28); anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e difficili appaiono soavi a colui che ama. 
Il quarto effetto della carità è di condurre alla felicità. La felicità eterna è promessa infatti soltanto a coloro che possiedono la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed è da tenere ben presente che solo secondo il diverso grado di carità posseduto si misura il diverso grado di felicità, e non secondo qualche altra virtù. Molti infatti furono più mortificati degli Apostoli; ma questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri proprio per il possesso di un più eccellente grado di carità. E così si vede come la carità ot­tenga in noi questo quadruplice risultato. 
Ma essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l’amicizia con Dio."
   

lunedì 28 gennaio 2013

La forza di starci


La preghiera è grazia, dono di Dio che, normalmente, ha bisogno di trovare un terreno adatto: è questo il compito della preparazione remota, prossima, presente, che compi per renderti ricettivo alla visita di Dio che Lui effettuerà quando e come vuole.
S. Domenico, che non ha scritto niente sulla preghiera ma che pregava molto – di lui, infatti, si dice che parlava sempre con Dio o di Dio – con il suo esempio, ci mostra come lo spirito e il corpo pregano insieme. Il Papa l’ha ricordato “Le maniere di pregare per san Domenico sono nove e «ciascuna delle nove maniere di pregare che San Domenico realizzava sempre davanti a Gesù Crocifisso, esprime un atteggiamento corporale e uno spirituale che, intimamente compenetrati, favoriscono il raccoglimento e il fervore”, perciò quando vuoi pregare sono necessarie alcune predisposizioni.
Quando preghi, assumi una posizione fisica corretta, con il corpo e il tronco eretti. Assicura una buona respirazione, profonda e lenta; rilassa tensioni e nervi; lascia andare ricordi e immagini; crea intorno a te e in te, vuoto e silenzio. Mettiti alla presenza di Dio invocando lo Spirito Santo e comincia a pregare.
La preghiera è una relazione con Dio con la quale noi ci disponiamo a ricevere la sua visita che può arrivare in qualsiasi momento, oppure in “nessun momento”: è Dio che prende l’iniziativa. Se durante la preghiera ti sembra che Dio non si manifesti, ti senti vuoto, secco, distratto… non scoraggiarti, continua a pregare con pazienza, perseveranza, fiducia, nella calma e serenità di spirito. Ricordati che è Dio che prende l’iniziativa, cioè è già lì ad aspettarci, anche quando decide di non farsi sentire.
Affinché la forza della preghiera incida nella tua vita, sintetizza la preghiera fatta in una frase semplice (es.: che cosa farebbe Gesù al mio posto? Chi è il mio prossimo oggi?...) e richiamala alla mente durante il giorno, senza pretendere di vedere in te grandi cambiamenti, ma sapendo che stai compiendo piccoli passi che portano lontano. Corpo e spirito crescono allo stesso modo: impercettibilmente ma costantemente e gradualmente, se alimentati in modo corretto. Il compiere piccoli atti, gesti di bene con la forza attinta da Dio durante la preghiera, pian piano cambia la tua vita.
Sii cosciente che puoi poco, che le ricadute sono sempre in agguato, che le tentazioni non mancano… ma anche che Dio vuole stare con te più di quello che tu vuoi stare con lui perciò, senza scoraggiarti, lamentarti o spaventarti, riprendi il cammino. La santità consiste nello stare con il Signore e, a forza di starci, la sua immagine s’imprime in noi e poi nel camminare alla luce di quest’immagine.
Buon cammino. Ne vale la pena!

domenica 27 gennaio 2013

VITE SPEZZATE...

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[Un brano dal Diario (1941-43) di Etty Hillesum]
"Non sono i fatti che contano nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa"
[...]
Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave: dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sé. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. E' l'unica soluzione possibile. È quel pezzettino d'eternità che ci portiamo dentro. Sono una persona felice e lodo questa vita, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra.
Le mie battaglie le combatto contro di me, contro i miei proprio demoni: ma combattere in mezzo a migliaia di persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho paura, non so, mi sento così tranquilla. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere. Mi sembra che si esageri nel temere per il nostro corpo. Lo spirito viene dimenticato, s'accartoccia e avvizzisce in qualche angolino. Viviamo in un modo sbagliato, senza dignità. Io non odio nessuno, non sono amareggiata: una volta che l'amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito.

Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so: Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia.
La vita e la morte, il dolore e la gioia e persecuzioni, le vesciche ai piedi e il gelsomino dietro la casa, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio.
Un'altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi: e perciò sono meno più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime.

venerdì 25 gennaio 2013

LE PAROLE DI MARIA NEL VANGELO

LE PAROLE DI MARIA NEL VANGELO

I quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli ci parlano della presenza della Vergine Maria nella vita di Gesù e nella vita della prima comunità dei suoi discepoli. Maria di Nazaret non faceva però parte di quel gruppo di donne che, assieme agli apostoli, seguiva Gesù e di cui ci parla il Vangelo di Luca.
Maria visse circa 30 anni con Gesù a Nazaret e in seguito, ogni tanto assieme ad altri familiari, cercò di avvicinarlo durante i suoi viaggi di predicazione lungo la Palestina. Infine “non senza un disegno divino” (LG 88) fu presente nei giorni del supremo sacrificio del Figlio.

Quindi la Sacra Scrittura ci dice che la vicinanza di Maria al Signore Gesù fu prolungata, lungo tutta la presenza terrena del nostro Redentore. Poche sue parole sono giunte a noi, si parla di lei più che sia lei a parlare, però tutto quello che riguarda Maria, che è stato raccolto per noi dagli Autori ispirati da Dio, è sufficiente per lasciarci un patrimonio ricco di insegnamenti, di ammirazione verso questa Madre comune.

Nel Vangelo secondo Luca i primi sentimenti attribuiti a Maria sono di turbamento e timore, che però non sono da intendere nel senso di paura, ma di stupore di fronte a un fatto eccezionale.
Come è possibile?... c’è fede e ragione nel dialogo di Maria con l’angelo dell’annunciazione.
Eccomi, sono la serva del Signore…

Nella pagina evangelica successiva c’è l’incontro di due donne e di due generazioni.

Questo dialogo inizia con il saluto di Maria, dove già il tono della voce doveva essere comunicativo di gioia. Il Card. Martini dice: “E’ un incontro nel gesto e nella parola che esprime la sovrabbondanza del cuore, la gratitudine e la gratuità. Maria si sente capita a fondo, sente che il suo segreto, che non aveva osato dire a nessuno e che non sapeva come esprimere senza timore di essere tacciata di follia, è stato capito, accolto, stimato, apprezzato. La tenerezza di questo incontro è figura di un comunicare umano e riuscito.” (Lettera pastorale del 1990)

L’anima mia magnifica il Signore…
Questo canto di lode della Vergine merita di essere presentato in forma più ampia in altra meditazione. E’ un capolavoro, la sintesi di vari cantici dell’Antico Testamento.

Figlio perché ci hai fatto questo?...
Sono le parole di Maria a Gesù adolescente, nell’angoscia di un suo “smarrimento”…

Non hanno più vino…
Fate quello che vi dirà…
Sono le ultime parole che la Bibbia ci riferisce riguardo a Maria!
Poi c’è silenzio nei Vangeli, che però richiama la frase di Luca 2,51 “Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore”.

giovedì 24 gennaio 2013

...Le virtù della Beata Imelda...La purezza

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Questa è la virtù caratteristica che P. Lorgna presenta per mezzo del modello che è Imelda.
“Imelda prostrata  dinanzi all’Ostia santa riceveva grazie speciali di luce per comprendere il prezzo inestimabile della purezza, sentiva gli inviti insistenti e ripetuti di ogni giorno, le attrattive di una vita tutta d’innocenza e di candore…(Ibid. (17).


L’Eucaristia è d’aiuto nella pratica della purezza, oltre a mostrarcene l’esempio ammirabile. Per conservare ed accrescere la virtù della purezza, è necessaria un’intima comunione eucaristica. Scrive P. Giocondo:
“ …Nei momenti della prova, corriamo pieni di fiducia ai piedi di Gesù sacramentato. L’Ostia divina sarà la nostra forza, il nostro sostegno, il nostro conforto. All’ombra del Tabernacolo le passioni si calmeranno e Gesù ci assisterà… Oh, Imelda! Che vivesti quaggiù come un Angelo del cielo, impetraci da Gesù Sacramentato la grazia di poter apprezzare e praticare questa virtù che attira in modo speciale le compiacenze divine e che un giorno ci farà godere la beatitudine evangelica: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio…” (AL IV 12 (20)

La purezza proposta da Gesù parte dal cuore ed è soprattutto distacco dal male e capacità di vivere con serenità ed equilibrio i nostri affetti, sentimenti e comportamenti verso gli altri e verso il nostro corpo. Solo così vedremo Dio, solo attraverso questa onestà del cuore.

Lo sguardo di Imelda fu intensamente attirato da Gesù Eucaristia perché il suo cuore era puro, onesto, vero. Certamente Dio le aveva dato una vocazione speciale: doveva ricordare a tutti noi il destino di eternità che ci attende dopo la vita terrena. Il suo precoce intuito delle realtà spirituali fu certamente frutto dell’azione dello Spirito Santo, ma anche di un ambiente che l'accolse e l'avvolse nell'amore, a partire dall’amore dei suoi genitori.

Come ogni virtù, la purezza perfeziona la tua vita, è fonte di gioia e rende liberi da quella schiavitù che vede il piacere come valore assoluto. La società in cui viviamo presenta spesso ideali diversi da quelli cristiani. Non sarà sempre necessario “fuggire” la società, ma dovremo fare continue scelte, con saggezza, ma soprattutto con profonda onestà.

mercoledì 23 gennaio 2013

Beato Enrico Suso Sacerdote Domenicano 1295 (1300)- 1366

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Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che disprezzo.

Enrico nacque il 21 marzo 1295 (o più verosimilmente intorno al 1300).
Enrico prese il cognome della mamma, essendo possibile a quell’epoca scegliere tra quello paterno e quello materno: l’amore e la venerazione che sempre manifestò verso di lei possono benissimo spiegare tale scelta.
Da bambino fu molto delicato di salute ed era un ragazzo amabile, socievole e stimato dagli amici per le sue doti intellettuali. Il convento domenicano di San Nicola sorgeva sull’isola che si trova nel punto in cui il fiume Reno esce dal lago ed era uno dei migliori della provincia teutonica. In questa comunità Enrico fu accettato all’età di tredici anni, lieto da parte sua di cercare il vero amore e fornito di una ricca dote che certo costituiva una buona risorsa per le necessità del convento.
Riferendosi agli inizi della sua vita religiosa, fra Enrico scrive: «Quantunque da cinque anni avessi un’apparenza di vita spirituale, il mio spirito era ancora dissipato». Ma un’esistenza così mediocre non era fatta per lui: l’attrattiva di una vita di unione mistica con Dio lo spinse ad abbracciare in modo radicale quell’ideale di vita contemplativa ed attiva che aveva scelto precocemente, ma liberamente. Dalla lettura dei libri sapienzali della Bibbia fu spinto ad orientare il suo cammino spirituale verso l’Amore rappresentato nella figura della Divina Sapienza che, quale sposa delicata ed amica diletta, si offre a tutti per essere amata. Aveva diciotto anni quando avvenne la sua conversione decisiva. Questo cambiamento non passò inosservato ed alcuni confratelli gli insinuarono il dubbio che non avrebbe potuto perseverare. Ma Fra Enrico, pur soffrendo per l’isolamento in cui veniva a trovarsi, continuò nel cammino intrapreso. Approfondì a poco a poco la sua concezione iniziale della Sapienza, finché giunse ad identificarla con la persona di Cristo e ad amare in essa il Verbo Incarnato, al quale la sua anima si unì in mistiche nozze.
Dopo aver compiuto gli studi filosofici e teologici a Costanza, fra Enrico, poco più che ventenne, venne inviato allo Studium generale fondato da Sant’Alberto Magno a Colonia, dove insegnava il grande Maestro Eckhart. Questo figlio di San Domenico, poco compreso dai contemporanei, esercitava una forte attrattiva sui giovani domenicani ed anche fra Enrico ne divenne un discepolo convinto e fedele, soffrendo quindi molto quando Maestro Eckhart fu accusato di eresia, intorno al 1325. Negli insegnamenti del Maestro circa l’ascesa dell’anima verso Dio, egli trovò la via luminosa da seguire per giungere all’unione mistica.
Se fino a quel momento fra Enrico aveva considerato utile pratticare penitenze per conformarsi meglio alla Passione del Crocifisso, dal Maestro Eckhart apprese che, in vista di un amore totalitario, è più utile l’abbandono passivo in Dio, la paziente sopportazione di sé e delle proprie imperfezioni, la rinuncia al proprio io e ad ogni soddisfazione terrena.
Fu una «seconda» conversione destinata a prepararlo alle sofferenze interiori che lo attendevano.
Non si sa quanti anni Enrico Suso si sia fermato a Colonia, ma certamente il suo rapporto con Maestro Eckhart fece nascere sospetti di falsa dottrina anche contro di lui. Pochi anni dopo, infatti, venne accusato e dovettediscolparsi davanti al Capitolo dell’Ordine riunito nelle Fiandre. Ritornato nella sua città nativa, venne nominato Lettore del convento di San Nicola. Nel tempo libero compose le «Cento meditazioni sulla Passione di Nostro Signore»; esse furono aggiunte al «Libro della Sapienza Eterna», che costituisce il frutto più maturo e più bello della mistica tedesca; redatto in seguito in latino, prese il titolo di «Horologium Sapientiae». Diede anche gli ultimi ritocchi al «Dialogo della verità» che aveva già composto a Colonia. Proprio da questi libri, che riecheggiavano in qualche passo gli insegnamenti di Eckhart, i suoi accusatori trovarono motivo per incolparlo di «dottrine errate». Egli ne fu deposto dall’ufficio di Lettore.
Libero dall’insegnamento, fra Enrico si dedicò all’apostolato, alla direzione delle anime e alla predicazione itinerante.
I momenti migliori per lui erano quelli che dedicava alle monache domenicane, di cui esistevano ben 65 monasteri nei territori di lingua tedesca. Visitò frequentemente quello di Toss in Svizzera, che poteva raggiungere con una giornata di cammino e dove incontrò Elisabetta Stagel, futura saggia raccoglitrice dei suoi insegnamenti. Accettò di esserne la guida spirituale aiutandola a progredire e a discernere nelle esperienze mistiche l’opera di Dio
Nei suoi viaggi apostolici fra Enrico affrontò numerosi disagi e seri pericoli per la vita, ma nulla lo fermò. Si era attribuito il titolo di «Karrner di Dio»: nelle città medioevali era l’uomo che caricava le immondizie sul carro nero per portarle fuori città.
Dopo varie sofferenze morali, una calunnia distrusse il suo onore di sacerdote e di religioso e lo obbligò a lasciare per sempre l’amata città nativa. Una giovane donna attribuì pubblicamente la paternità del suo bambino a fra Enrico e lo scandalo trovò molte persone disposte a credere alle sue parole, anche tra gli amici.
Nonostante la crudele delusione per il venir meno d’ogni amicizia umana e il peso di quella calunnia da cui non poteva difendersi, egli affidò se stesso a Dio e da Lui solo sperò l’aiuto. In silenzio accettò di essere trasferito ad Ulma, città sulle rive del Danubio, dove riprese la sua attività pastorale e continuò le sue peregrinazioni di predicatore. Ben presto i suoi superiori ebbero la prova della sua innocenza, ma egli non tornò più a Costanza.
Enrico Suso morì il 25 gennaio 1366 e venne sepolto nella chiesa dei Domenicani di Ulma, presso l’altare di San Pietro Martire.
Con la demolizione della chiesa nel XVI secolo si perse ogni traccia del suo sepolcro, mentre si diffondeva sempre più il suo culto via via che erano conosciuti i suoi libri. Fu dichiarato ufficialmente Beato dal Papa Gregorio XVI il 16 aprile 1831.

 

martedì 22 gennaio 2013

All’ascolto della Parola

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Anche tu vuoi leggere la parola di Dio? Ci hai provato? Non è sempre facile… Ma è una parola data per tutti e per questo tutti possono imparare a… ascoltarla. Sì, ascoltare più che leggere. La parola di Dio che leggono i tuoi occhi, devi imparare ad ascoltarla. È un esercizio, uno sforzo dal quale nessuno è esente, neppure i grandi studiosi o il Papa. Se smettono di sforzarsi di ascoltare, fanno dire ai testi ciò che vogliono, ciò che hanno scoperto anni fa, vecchie cose senza novità.

Tu, quando vuoi leggere la parola di Dio, comincia per farti aiutare nella scelta dei testi. Possono essere presi da un incontro fatto, suggeriti da qualche libro… I testi della domenica o del giorno sono i più indicati e li troverai facilmente, digitando su Google, in qualche sito cattolico. Ci sono anche varie riviste che si possono comprare in quasi tutte le diocesi del mondo. Lì, spesso, per aiutare i lettori, ci sono anche interessanti commenti di grandi predicatori, di parroci…
Ma tu non ti limiterai a questo. Sarebbe come accontentarsi di sentire un amico parlarti della conferenza di un grande predicatore. Se possibile, andresti volentieri ad ascoltarlo di persona. Allora, coraggio, deciditi con regolarità, scegli un giorno della settimana, procurati un supporto (una bibbia o una rivista, o un semplice foglio scaricato dal web). Fatto, ora trova un luogo tranquillo: in chiesa, a casa, nel giardino… Ti consiglio un luogo abituale nel quale puoi andare spesso, come la tua camera per esempio. Un luogo che non ha niente di speciale, un luogo ordinario, ti aiuterà a fare di questo esercizio un’abitudine di vita. Le cose molte speciali sono difficili da ripetere più volte. Nondimeno occorre preparare un po’ il luogo o cambiare postura, per aiutarti a pregare nella calma: spegnere il telefonino, togliere le cuffie… e sederti a tuo agio per mezz’ora o un’oretta, se ti va.

Prima di cominciare a leggere il testo che hai scelto, fai una piccola preghiera per semplicemente dire al Signore che sei qui per ascoltarlo, che hai bisogno del suo Spirito per capirlo. Puoi farlo con le proprie parole, è bello, o servirti di un canto, una preghiera allo Spirito Santo… Poi, con fiducia e senza fretta, leggi il testo, lentamente. Ascolta con il cuore ciò che leggi come cose nuove dette a te. Fermati, se una parola ti commuove, ti da gioia o tristezza, ti fa paura.
Non aver paura di aver paura con Dio, di sentirti a disagio o felice come un bambino. Non aver paura di lasciare la Parola parlarti di te, della tua vita, di quelli che conosci, o di Dio così diverso da ciò che pensiamo…
Non aver paura se ti sembra di non capirlo, di non sentire niente, di avere solo noia in cuore tuo; non ti succederà sempre e comunque anche questo è preghiera. Se puoi, in un quaderno, nota una frase, un pensiero che ti ha colpito. È una raccolta che ti potrà servire nei deserti della vita.
San Domenico aveva scelto la povertà come un mezzo per predicare il Vangelo. Eppure, in un tempo in cui un libro costava una fortuna, egli scelse di avere sempre con sé, in tutti i suoi viaggi, il Vangelo di Matteo e le Lettere di San Paolo. Sapeva bene che abbiamo bisogno di lasciarci addomesticare da Dio, dalla sua Parola e, questo, Egli lo realizza con il tempo che gli diamo. Quando diventa familiare, la Parola ci parla anche per strada. E credimi: essa ha il potere di cambiarti senza che tu te ne accorga.
Il nostro vero problema è la perseveranza fiduciosa.