sabato 30 novembre 2013

SALMO 5

Il salmo 5 è un’invocazione a Dio, una preghiera del mattino, elevata entrando nel tempio dove gli empi non possono entrare, ma dove i giusti trovano rifugio.

Nelle espressioni del salmo c’è un clima di culto, ma c’è anche un riferimento preciso all’esistenza personale e alla società, dove la notte è simbolo delle sofferenze e del male, il mattino un invito alla fiducia e alla gioia in Dio. Nella composizione ci sono immagini di tipo militare, di tipo antropomorfico, c’è poi il linguaggio relativo al Tempio.
Due sono i protagonisti del Salmo: il salmista con il suo atteggiamento interno ed esterno (grido e preghiera) e Dio che è attento, ascolta… e che è “re”, che è “Tu”…
Pronunciata la richiesta, l’orante tace e attende nella fede la risposta divina, nella fede e nella fiducia “per la tua grande misericordia” (v. 8) che indica anche amore, tenerezza, fedeltà…
Le parole di condanna contro gli empi, per noi indicano il bisogno di giustizia di fronte alle potenze del male. Spesso il credente si scontra col mistero del dolore innocente e allora la preghiera e la riflessione si fanno più tormentate. Il salmo si conclude con il richiamo alla pace e alla gioia riservate al fedele, a cui Dio si rivela spesso nella benedizione.

Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole:
intendi il mio lamento.
Ascolta la voce del mio grido,
o mio re e mio Dio,
perché ti prego, Signore.

Al mattino ascolta la mia voce;
fin dal mattino t'invoco e sto in attesa.
Tu non sei un Dio che si compiace del male;
presso di te il malvagio non trova dimora;
gli stolti non sostengono il tuo sguardo.
Tu detesti chi fa il male,
fai perire i bugiardi.
Il Signore detesta sanguinari e ingannatori.

Ma io per la tua grande misericordia
entrerò nella tua casa;
mi prostrerò con timore
nel tuo santo tempio.

Signore, guidami con giustizia
di fronte ai miei nemici;
spianami davanti il tuo cammino.
Non c'è sincerità sulla loro bocca,
è pieno di perfidia il loro cuore;
la loro gola è un sepolcro aperto,
la loro lingua è tutta adulazione.

Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame,
per tanti loro delitti disperdili,
perché a te si sono ribellati.

Gioiscano quanti in te si rifugiano,
esultino senza fine.
Tu li proteggi e in te si allieteranno
quanti amano il tuo nome.

Signore, tu benedici il giusto:
come scudo lo copre la tua benevolenza.

giovedì 28 novembre 2013

ANDATE NELLA PACE DI CRISTO

Padre Pierre Claverie conclude il suo bellissimo itinerario sull’Eucaristia fermandosi sulle ultime parole con le quali il celebrante saluta l’Assemblea. Lasciamo completamente a lui questo ultimo spazio, ricordando che questo suo percorso era stato sviluppato durante una settimana di esercizi spirituali predicati ad un gruppo di religiose.


“Dopo una setti­mana lontani dalle nostre normali condizioni d'esistenza ritroveremo le difficoltà quotidiane e il pericolo di rimane­re delusi è grande. Questi esercizi non sarebbero serviti a nulla se non vi dessero per lo meno qualche punto di forza per la vita di tutti i giorni. Come l'eucaristia conduce al Re­gno e si verifica nella nostra pratica quotidiana perché il Regno venga, gli esercizi dovrebbero condurre a vivere la realtà con uno sguardo nuovo e uno spirito rinnovato. Spe­ro che ciascuno di noi abbia scelto un suo pensiero di rife­rimento secondo i suoi bisogni e la sua storia personale. Non credo alle risoluzioni né alle rivoluzioni improvvise e durature. Credo invece alla lenta maturazione della Paro­la nei cuori: se una parola vi ha colpito, lasciatevi abitare e poco a poco invadere da essa, ed essa modificherà il vo­stro comportamento, se è veramente una parola venuta da Dio, e, senza nervosismo né sforzi sovrumani, vi trasfor­merà in profondità.
Così, per me, la parabola del chicco di grano che muore è l'asse centrale della mia vita cristiana; se rileggete le vo­stre note, vedrete che tutta questa meditazione sull'euca­ristia è orientata da questa parola; ed è naturale, perché essa si applica innanzitutto al mistero pasquale.
Ciò che almeno vorrei, è che da questi otto giorni voi portaste a casa un po' della pace di Cristo. È mia profonda convinzione che Dio è Amore e che, quando si è scoperto l'amore e gli si è data fiducia, nulla e nessuno può più col­pirci. La fiducia e l'amore generano la liberazione interio­re; la libertà del cuore dona la pace del Cristo. Siamo chia­mati a fare quest'esperienza mediante l'incontro di Gesù Cristo, la condivisione della sua vita nell'eucaristia e la condivisione della nostra nelle nostre comunità e i nostri ambienti di vita.
La pace ci proteggerà allora dalla solitudine, dalla paura, dallo scoraggiamento, dall'incomprensione o dalla persecu­zione: nulla ci può separare dall'amore di Cristo (Rm 8,39).
Forti di questa pace, ricordiamo infine che la messa at­tende un compimento, che gli esercizi restano da vivere.

Ite missa est!”

martedì 26 novembre 2013

San Martino de Porres

San Martino de Porres viene registrato come "figlio di padre ignoto" fra i battezzati nella chiesa di San Sebastiano a Lima. Suo padre è l’aristocratico spagnolo Juan de Porres, che non lo riconosce perché la madre è un’ex schiava nera d’origine africana. Il piccolo mulatto vive con lei e la sorellina, finché il padre si decide al riconoscimento, tenendo con sé in Ecuador i due piccoli, per qualche tempo. Nominato poi governatore del Panama, lascia la bimba a un parente e Martino alla madre, con i mezzi per farlo studiare un po’.
E Martino diventa allievo di un barbiere-chirurgo (le due attività erano spesso abbinate, all’epoca) apprendendo anche nozioni mediche in una farmacia. Avvenire garantito, dunque, per il ragazzo appena quindicenne.
Lui però vorrebbe entrare fra i frati Domenicani, che hanno fondato a Lima il loro primo convento peruviano. Ma è mulatto: e viene accolto sì, ma solo come terziario; non come religioso con i voti. E i suoi compiti sono perlopiù di inserviente e spazzino. Suo padre se ne indigna: ma lui no, per nulla. Anzi, mentre suo padre va in giro con la spada, lui ama mostrarsi brandendo una scopa (con la quale verrà poi spesso raffigurato). Lo irridono perché mulatto? E lui, vedendo malconce le finanze del convento, propone seriamente ai superiori: "Vendete me come schiavo". I Domenicani ormai avvertono la sua energia interiore, e lo tolgono dalla condizione subalterna, accogliendolo nell’Ordine come fratello cooperatore.
Nel Perù che ha ancora freschissimo il ricordo dei predatori Pizarro e Almagro, crudeli con la gente del luogo e poi impegnati in atroci faide interne, Martino de Porres, figlio di un “conquistatore”, offre un esempio di vita radicalmente contrapposto. Vengono da lui per consiglio il viceré del Perù e l’arcivescovo di Lima, trovandolo perlopiù circondato da poveri e da malati, guaritore e consolatore.
Quando a Lima arriva la peste, frate Martino cura da solo i 60 confratelli e li salva tutti. E sempre più si parla di suoi prodigi, come trovarsi al tempo stesso in luoghi lontani fra loro, sollevarsi da terra, chiarire complessi argomenti di teologia senza averla mai studiata. Gli si attribuisce poi un potere speciale sui topi, che raduna e sfama in un angolo dell’orto, liberando le case dalla loro presenza devastatrice. Per tutti è l’uomo dei miracoli: fonda a Lima un collegio per istruire i bambini poveri, ed è fior di miracolo anch’esso, il primo collegio del Nuovo Mondo.
Guarisce l’arcivescovo del Messico, che vorrebbe condurlo con sé. Martino però non potrà partire: colpito da violente febbri, muore a Lima sessantenne. Per il popolo peruviano e per i confratelli è subito santo. Invece l’iter canonico, iniziato nel 1660, avrà poi una lunghissima sosta. E sarà Giovanni XXIII a farlo santo, il 6 maggio 1962. Nel 1966, Paolo VI lo proclamerà patrono dei barbieri e parrucchieri.

Dall'"Omelia per la canonizzazione di san Martino de Porres" di Giovanni XXIII, papa

«Martino della carità»

"La via che Gesù ha insegnato é questa, prima di tutto: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». E poi: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22, 37-39). San Martino con l'esempio della sua vita ci dimostra che noi possiamo raggiungere la salvezza e la santità per questa via. Avendo egli conosciuto che Cristo Gesù patì per noi e portò i nostri peccati nel suo corpo fin sul legno (cfr. 1 Pt 2, 24), percorse con particolare amore la via del Crocifisso. E quando contemplava i suoi orribili tormenti, non poteva trattenersi dal piangere assai diffusamente. Amò pure con speciale affetto l'augustissimo sacramento dell'Eucaristia. Per questo, standosene in luogo nascosto della chiesa, sostava per molte ore in adorazione dinanzi al tabernacolo. Dell'Eucaristia poi bramava nutrirsi con quanto più amore gli era possibile.
San Martino praticava con molto impegno e diligenza il comandamento dell'amore, dato dal divino Maestro. Perciò trattava i fratelli con quella viva carità che gli nasceva da una fede incrollabile e da una profonda umiltà. Amava gli uomini, perché li stimava sinceramente come figli di Dio e fratelli suoi; anzi li amava più di se stesso, poiché, con l'umiltà che aveva, riteneva tutti più onesti e migliori di sé. Scusava i difetti degli altri, e perdonava le offese più aspre, essendo persuaso che, per i peccati commessi, era degno di pene molto più gravi. Con ogni zelo si sforzava di ricondurre i colpevoli sulla buona via. Assisteva gli ammalati con affabilità. Ai più poveri procurava cibo, vestiti, medicine. Sosteneva, per quanto era in suo potere, i contadini, i negri e i mulatti, allora considerati cosa spregevole. Dava loro ogni aiuto e si prodigava per essi con premura, tanto da meritare di essere chiamato dal popolo «Martino della carità». Questo santo uomo, che con l'esortazione, con l'esempio e con la sua virtù contribuì così efficacemente ad attirare gli altri alla religione, anche oggi ha il potere di innalzare mirabilmente le nostre menti alle cose celesti. Non tutti, purtroppo, comprendono questi superni doni, com'é necessario, non tutti li tengono in onore, che anzi molti, protesi verso le seduzioni del male, o li stimano da poco o li hanno in antipatia o non se ne curano affatto. Voglia il cielo che l'esempio di Martino insegni salutarmente a molti quanto dolce e quanto felice cosa sia il seguire le orme di Gesù Cristo e conformarsi ai suoi divini comandi."

Amare con tenerezza, la castità

Dicevamo già parlando dei voti in generale, che essi rappresentano uno stile di vita a cui siamo chiamati tutti, sposati e celibi, giovani e anziani.
Certo, “Ciascuno ha il proprio carisma, il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. 1 Cor7,7. Cioè lo sposato ha il suo carisma e il celibe ha il suo carisma. L’idea di dono, del resto, è implicita nella stessa parola con cui Gesù istituì questo stato nuovo nel mondo: Non tutti possono capire, ma solo coloro ai quali è donato di capire. Dunque alla base c’è un dono.” (R. Cantalamessa)

Ma è appunto un dono fatto a tutti: vivere la castità è vivere uno stile di vita e di relazioni nuove, è vivere il desiderio di tessere nuove relazioni nella storia. Nuove relazioni con tutto, con Dio, con le persone, con le cose anche: relazioni di gratuità, di tenerezza, di non dominio.
“Non si sceglie la verginità, il celibato per entrare nel Regno, per salvarsi meglio l’anima!, ma perché il Regno è entrato in te, ti ha requisito!, si è impossessato di te, ti ha scelto.. (è necessario) passare dall’atteggiamento di chi crede di aver fatto un grande sacrificio nella vita, all’atteggiamento tutto contrario di chi si accorge di aver ricevuto un incredibile dono e si mette a ringraziare, non ha più parole per ringraziare!” (R. Cantalamessa)

Essere persone caste è imparare ad essere persone capaci di ringraziare, misericordiose con se stesse e con gli altri, attente ed interessate a tutto e a tutti,  che tessono relazioni fatte di un’accoglienza profonda, che vivono nella loro vita quotidiana il Mistero, Dio Amore, fino a toccarlo, ma senza volerlo possedere.

“Se la verginità è un carisma, allora deve essere vissuta con libertà, perché dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è la vera libertà. Bisogna guardare le cose come le guardava Gesù, avere quegli stessi occhi, occhi che riceviamo ogni mattina assieme al suo corpo, nell’Eucaristia; quindi li possiamo chiedere ogni mattina a Gesù, i suoi occhi.”  (R. Cantalamessa)
Gli occhi di Gesù fissano il giovane ricco e lo amano: vivere la castità è imparare giorno dopo giorno ad amare come ama Dio, ad amare senza violenza, senza desiderio di dominare, non solo le persone, ma anche le cose, la natura, la creazione tutta.


“Come puoi amare Dio che non vedi, se non ami quelli che vedi?” (1 Gv 4, 20)

domenica 24 novembre 2013

In direzione ostinata e contraria



Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».


Mi immagino la scena: Gesù crocifisso è al centro e intorno a Lui, intorno al Re, si raduna tutta l’umanità. Che cosa fanno? Alcuni stanno semplicemente a vedere: non lo offendono, no, non lo perseguitano, ma nemmeno parlano, non si dice neppure che piangano, che provino un po’ di pietà per quell’uomo sfigurato dal dolore. Stanno a vedere.
Altri, quelli che hanno il potere, qualsiasi forma di potere, religioso, politico, militare, lo deridono, lo provocano: “Salvi se stesso, se…”! Tanto non gli crediamo! Non è di certo Dio quest’uomo silenzioso, sconfitto, ormai morto!
Altri ancora lo insultano, lo offendono: la debolezza di alcuni spaventa a volte più della forza, per cui è meglio aggredire, per non lasciarsi toccare..
Altri, infine, lo difendono… “Non ha fatto nulla di male!”. E’ un Dio condannato alla stessa pena degli uomini. “C'è un malfattore, uno almeno che intuisce e usa una espressione rivelatrice: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena... Dio nel nostro patire, Dio sulla stessa croce dell'uomo, Dio vicinissimo nella passione di ogni uomo. Che entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Perché il primo dovere di chi ama è di essere con l'amato.” (E. Ronchi)
Che strano Re! Giustiziato, deriso, insultato, osservato con indifferenza, solo da pochi, e spesso inermi, difeso! Chi può desiderare di far parte del suo Regno? Di essere della sua stirpe, se questo è quello che ti offre? Dove siamo noi? Stiamo a guardare o lo deridiamo? O vogliamo entrare nel suo Regno?
“C'è forse qualcosa che vale più di aver salva la vita? Sì. Qualcosa vale di più: l'amore vale più della vita.
E appare un re giustiziato, ma non vinto; un re con una derisoria corona di spine che muore ostinatamente amando…E mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclusioni, per separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio avanza per inclusioni, per abbracci, per accoglienza.” (E. Ronchi)
E’ un Regno “per chi viaggia in direzione ostinata e contraria”, come dice una canzone di De Andrè.

sabato 23 novembre 2013

SALMO 4

E’ un breve salmo avvolto da un’atmosfera di pace e serenità, dominato dalla fiducia in Dio, che però contiene anche un certo sentimento di angoscia legato all’oscurità della notte. E’ soprattutto un invito all’abbandono in Dio e una testimonianza di gratitudine per il suo amore. Comincia con una supplica che esprime anche la certezza della risposta divina.

E’ una preghiera della sera, espressa da una voce personale ma anche corale, che testimonia una coscienza pura e serena.


Nell’intero salterio la luce è simbolo di vita, ma anche simbolo teologico, perché ben esprime la trascendenza-immanenza di Dio. La luce è all’esterno di noi, non la possiamo trattenere, eppure ci specifica, è nostra e non nostra, proprio come Dio vicino e lontano, “Emmanuele” e “totalmente altro”.

Il simbolo agricolo di vino e frumento, segni del benessere e della prosperità, è simbolo di una gioia pacifica, contrapposta a una vittoria militare, di cui aveva esperienza il popolo d’Israele.


Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia giustizia:
dalle angosce mi hai liberato;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.

Fino a quando, o uomini, sarete duri di cuore?
Perché amate cose vane e cercate la menzogna?

Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele:
il Signore mi ascolta quando lo invoco.

Tremate e non peccate,
sul vostro giaciglio riflettete e placatevi.

Offrite sacrifici di giustizia
e confidate nel Signore.

Molti dicono: "Chi ci farà vedere il bene?".
Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.

Hai messo più gioia nel mio cuore
di quando abbondano vino e frumento.

In pace mi corico e subito mi addormento:
tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare.