domenica 30 giugno 2013

Fermezza

"Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samaritani segue la logica comune: farla pagare, occhio per occhio. Gesù si voltò, li rimproverò e si avviò verso un altro villaggio. Nella concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Che difende chi non la pensa come lui, che capovolge la logica della storia, quella che dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece intende eliminare il concetto stesso di nemico. E si avviò verso un altro villaggio. Il Signore inventore di strade: c'è sempre un nuovo villaggio con altri malati da guarire, altri cuori da fasciare; c'è sempre un'altra casa dove annunciare pace. Non ha bisogno di mezzi forti o di segni prodigiosi, non cova risentimenti. Lui custodisce sentieri verso il cuore dell'uomo, come canta il salmo: beato l'uomo che ha sentieri nel cuore (84,6), che ha futuro e fiducia. E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita il nostro cristianesimo a diventare così, a continui passaggi, a esodi, a percorsi.”(E.Ronchi)

Voglio vivere un vangelo così.. fatto di percorsi, di viaggi, di spazi aperti.. Voglio annunciare pace, portare pace, ma non sono come Gesù.. io covo risentimenti.. io distinguo nemici da amici.. Non voglio dare credito a chi mi rifiuta, non voglio guardare con sospetto gli altri, perché in fondo sento che ogni volta che lascio anche solo uno spiraglio al male, divento un po’  più “selvatica” e al posto di “sentieri nel cuore” costruisco tane, dove nascondermi..


Come accade anche ai tre nuovi discepoli che entrano in scena nella seconda parte del Vangelo. Ad essi, che ci rappresentano tutti, dice: Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo.
Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dal potere religioso e politico, sottoposta a rischio, senza sicurezza. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido non potrà essere suo discepolo.
Noi siamo abituati a sentire la fede come conforto e sostegno, pane buono che nutre, e gioia. Ma questo Vangelo ci mostra che la fede è anche altro: un progetto che non assicura una esistenza tranquilla, ma offre la gioiosa fatica di aprire strade nuove, il rischio di essere rifiutati e perfino perseguitati. Perché si oppone e smonta il presente, quando le sue logiche sanno di superficialità, di violenza, di inganno, per seminarvi il futuro.
Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Una frase durissima che non contesta gli affetti umani, ma si chiarisce con ciò che segue: Tu va e annunzia il Regno di Dio. Tu fa cose nuove. Se ti fermi all'esistente, al già visto, al già pensato, non vivi in pienezza. Noi abbiamo bisogno di freschezza e il Signore ha bisogno di gente viva. Di gente che, come chi ha posto mano all'aratro, non guardi indietro a sbagli, incoerenze, fallimenti, ma avanti, ai grandi campi della vita, che gli appartengono, a un Dio che viene dall'avvenire.”(E.Ronchi)


Gesù ha bisogno di gente che guardi avanti, ai grandi campi della vita: che non perda tempo ed energie a guardare le incoerenze proprie e altrui, per dedicarsi invece ad un progetto, ad aprire strade.. Non sempre ne sono capace.. Ci sono giorni in cui faccio fatica a vivere con me, con i miei limiti.. Giorni in cui il futuro si perde nella stanchezza del presente, nella superficialità di gesti e parole “buttate”.. Ma il Signore ha bisogno di gente viva.. “tesa a” vivere per Lui, con Lui, sbagliando anche.. su strade tortuose anche.. ma pronta a ricominciare con Lui ogni giorno.

venerdì 28 giugno 2013

Misteri del dolore – SECONDO, LA FLAGELLAZIONE DI GESU’

Dopo aver fatto flagellare Gesù,
lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
Mt 27,26

La flagellazione era la punizione che, nel diritto penale romano, veniva inflitta come castigo concomitante la condanna a morte. Nel Vangelo di Giovanni essa appare invece come un atto posto durante l’interrogatorio, un provvedimento che il Prefetto, Ponzio Pilato, in virtù del suo potere di polizia, era autorizzato a prendere.
Era una punizione estremamente barbara; il condannato “veniva picchiato da più aguzzini fin che questi si stancavano e la carne del delinquente pendeva giù in brandelli sanguinanti”. Un autore commenta: “Il fatto che Simone il Cireneo debba portare per Gesù l’asse traversa della croce, e che Gesù muoia così presto, viene forse con ragione collegato con la tortura della flagellazione, durante la quale altri condannati già morivano”.
                                                                                   Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 3 pag. 222-223

Il Concilio Vaticano II ci dice che Maria “non senza un disegno divino” era a Gerusalemme nei giorni della Passione di Gesù. Il Vangelo ci dice che “stava presso la croce”, ma certamente ha seguito suo Figlio fin dal suo arresto, associandosi al sacrificio di Lui. Il popolo cristiano da secoli conosce un inno che, nella versione latina, ha come titolo le parole del Vangelo: STABAT MATER (Ascolta) con cui esprime nella preghiera la partecipazione di Maria al mistero della Croce.


La Madre addolorata stava
in lacrime presso la Croce
su cui pendeva il Figlio.

E il suo animo gemente,
contristato e dolente
una spada trafiggeva.

Oh, quanto triste e afflitta
fu la benedetta
Madre dell’Unigenito!

Oh, Madre, fonte d’amore,
fammi provare lo stesso dolore
perché possa piangere con te.


Accanto alla Croce desidero stare con te,
in tua compagnia,
nel compianto.

Fa’ che io sia protetto dalla Croce,
che io sia fortificato dalla morte di Cristo,
consolato dalla grazia.

E quando il mio corpo morirà
fa’ che all’anima sia data
la gloria del Paradiso.           AMEN




Prego la “decina” del Rosario:
Padre nostro…
Ave Maria…
Gloria al Padre…


Il Sangue di Gesù, che fu sparso nella flagellazione, nell’Eucaristia inonda le nostre anime e le rende pure.
P. Giocondo Lorgna


Signore, insegnami a non giudicare e a non condannare nessuno.

giovedì 27 giugno 2013

Madri e padri di famiglia

Untitled Document Stamattina, piena di buoni propositi, accompagnata dalle sublimi note del Requiem di Mozart faccio per mettermi a studiare...ma nulla da fare, un pensiero mi ronza in testa: " Di chi ci si può fidare?".
A volte, ritornando su qualche riflessione personale fatta su un accaduto, anche banale, mi rendo conto che non è sempre facile scoprirsi a fare buoni pensieri, a non pensare male di quella o quell’altra persona.
Mi scopro a costruire castelli di carte, realtà virtuali, alle quali attribuisco più importanza di quella che realmente hanno, come se tutto il mondo girasse intorno a quell’evento, a quelle persone…
Considero la pochezza, la semplicità, anzi banalità della mia vita: in questa sua banalità umile, da humus...terra...polvere...nulla più. Così bella è la vita, così poco serve per vivere che è sorprendente come riusciamo a complicarla con cose inutili, pesi che ci schiavizzano e imbrigliano in una palude soffocante.
Guardo le persone intorno a me e ne vedo tante, troppe, schiave di questi complotti, che... esistono solo nella loro testa, nella mia testa.
Ancora una volta il Papa parla di relazioni genitoriali: madri e padri della chiesa, degli altri. Sono parole rivolte alle religiose, ai sacerdoti... sono parole rivolte a ciascuno di noi in quanto uomini e donne adulte, mature.
Guardare il mondo, l'altro, soprattutto il più prossimo a noi, quello con il quale tutti i giorni ci sediamo a pranzo e cena con materna cura, con la diligenza del buon padre di famiglia prescritta anche dal codice civile, in un clima di fiducia e libertà di essere sè stessi così come siamo.
La voglia di maternità\paternità è iscritta nelle fibre più profonde dell'uomo e della donna:  "Quando manca questa voglia, manca qualcosa nell'uomo. Qualcosa non va. Tutti noi per diventare pieni, per essere maturi, dobbiamo sentire la gioia della paternità: anche noi celibi. La paternità è dare la vita agli altri, dare la vita, dare la vita... Per noi, sarà la paternità pastorale, la paternità spirituale, ma è dare la vita, diventare padri"... e madri. (Omelia in S. Marta)

è dare la vita, è dare fiducia, è dare amore, è appoggiare, sostenere chiunque in ciò che lo smuove nel profondo, è sostenere progetti che non sono tuoi, che non porteresti mai avanti, è chiudere un occhio, anzi tutti e due, non per non vedere, ma per pregare, per commuoverti, per amore.
Una madre, un padre difendono i figli, la famiglia, con tutta la loro vita, nel lavoro, nelle attività; un padre e una madre sanno cosa significa difendere i figli. E tutti noi dovremmo chiedere di saper essere un po' madri e un po' padri degli altri, di saperli\volerli difendere, di saperli\volerli curare, coccolare... partendo da chi dorme sotto il nostro stesso tetto, dalle nostre comunità, dai gruppi nei quali ci inseriamo. Desiderare questa benevolenza, questo amore, questa cura per ciò che è anche mio e che è anche di Dio.
Un genitore non sgrida il figlio per giudicarlo, per uccidere i suoi desideri, i suoi aneliti di vita. Dialoga, dialoga con lui sempre, anche alzando la voce, anche scontrandosi, ma volendogli un bene infinito...e i suoi occhi scoppiano di fiducia nel figlio, anche se non condivide le sue scelte, anche se per sè non sceglierebbe così, ma lo appoggia comunque.
Un genitore non complotta. Una famiglia non può reggersi sul complotto, perchè le malelingue soffocano la famiglia, come i rovi soffocano i semi gettati nel campo.
Fare famiglia non è screditare, ma valorizzare, premiare, sostenere, condividere, apprezzare, desiderare conoscere, relazionarsi, volersi bene come ci vuole bene Dio.
Avere figli e non diventare padri, madri è come non portare la vita a compimento, non maturare mai. E questo si vede nei nostri atteggiamenti, si sente nelle nostre parole, si percepisce nei nostri sguardi.
Ci è stata data la grazia di una vita perchè la viviamo liberamente, perchè possiamo sentirci figli, non solo di Dio o dei nostri genitori. Abbiamo un Padre\Madre celeste che ci guarda con occhi compiaciuti, pieni di lacrime, di commozione, orgogliosi di quello che vedono che siamo.
Se solo ci prendessimo la briga di pregare davvero, e quindi dialogare continuamente con nostro Signore, forse saremmo un po' meno granitici e un po' più in discussione.
Forse sapremmo confrontarci con gli altri più umanamente, con maggiore onestà.
Forse ci confronteremmo su come essere madri e padri, sulle gioie e le fatiche dell'esserlo e la smetteremmo di implorare vuote pietà, supplicare la morte dei sogni altrui, l'affossamento delle altrui speranze per le nostre certezze.
Chiediamo allo Spirito di insegnarci ad avere occhi di Dio, parole di Dio, orecchie e cuore di Dio...
Ah! Che terra\humus fecondo possiamo essere..un giardino fiorito.

mercoledì 26 giugno 2013

Versione autunno-inverno


Prima e dopo la Messa in casa di riposo sono stata a chiacchierare un po’ con degli anziani, alle volte sono un po’ ripetitivi e lamentosi è vero, però, se prestiamo attenzione nella loro esperienza di vita possiamo intravedere quella Luce che li ha guidati sin lì.
C'è un valore specifico di questa età dell'esistenza come la serena e paziente accettazione dei limiti e la condivisione con gli altri della sapienza di vita.
La vecchiaia, così come la malattia, è il momento della verità: quello in cui “il contingente lascia trasparire l’assoluto”. 
La forza della vecchiaia ha più sensibilità: avverte anche il peso del bicchiere da portare alla bocca. Non so se avete mai notato come gli anziani accarezzano: con leggerezza, le dita curve e ruvide chiedono quasi il permesso prima di sfiorare l'altro …
L’attesa del consumarsi dei giorni si può colmare di preghiera di orizzonti larghissimi. La loro preghiera è potente, perché l’anziano che crede e spera, sa di essere più vicino al Signore e ai Santi, più familiare con loro perché la linea di passaggio si fa sempre più trasparente.
Di questi anziani abbiamo un grandissimo bisogno e sono una ricchezza immensa troppo spesso dimenticata nelle nostre comunità. Gli anziani e tutti i più deboli in questa società strutturata in funzione del produrre sono diventati marginali perchè non funzionali al profitto.
Non sembriamo apprezzare la versione “autunno-inverno”. Forse per questo riserviamo il nascondimento agli anziani e ai malati, alla canizie e alla disabilità. Spesso siamo così presi dalla nostra efficienza, dal nostro fare così ambizioso da dimenticare che è d'inverno che la primavera si sveglia ed è d'autunno che la terra ritrova la forza perduta.
E così, proprio verso la fine del viaggio, i tempi si rallentano e i sensi del profondo si affinano. Si colgono i particolari, si fa attenzione. Come fosse tutto calcolato, per portarsi del viaggio solo l’Essenza. Strana cosa è il tempo. Straordinaria è la vita, la sua ciclicità completa. Un gran sapiente l’Autore di tanta bellezza e tenerezza.

“Signore Tu sei stato per noi rifugio
di generazione in generazione. […]
Ai tuoi occhi mille anni
sono come il giorno di ieri che è passato
come un turno di veglia nella notte […]
Insegnaci a contare i nostri giorni
e giungeremo alla sapienza del cuore”

                                                                                                                                                                                                                                                                  Sal 89

lunedì 24 giugno 2013

Scelti

Come possiamo prendere contatto con la realtà del nostro "essere scelti", quando siamo circondati dal ri­fiuto? [continua]

Ho appena detto che questo implica una vera lotta spirituale. C'è qualche norma di comportamento in questa lotta? Vorrei tentare di precisare.

In primo luogo, devi continuare a smascherare il mondo e vederlo com'è: una realtà che manipola, che opprime, affamata di potere e alla fine distruttiva. Il mondo ti dice molte bugie su quello che sei, e tu devi semplicemente essere abbastanza realistico da ricor­darlo a te stesso. Ogni volta che ti senti urtato, offeso o rifiutato, devi osare dirti questo: «Questi sentimen­ti, per quanto forti siano, non mi dicono la verità su me stesso. La verità, anche se non posso afferrarla bene adesso, è che io sono il figlio scelto di Dio, prezio­so agli occhi di Dio, chiamato Amato da tutta l'eter­nità e tenuto al sicuro in un infinito abbraccio».

Secondariamente, devi continuare a cercare perso­ne e luoghi dove la tua verità è detta, e dove ti si ri­corda la tua più profonda identità, cioè l'essere scel­to. Sì, devi preoccuparti di scegliere coscientemente il nostro "essere scelti" e non permettere che le nostre emozioni, sentimenti o passioni ci spingano a rifiuta­re noi stessi. Le sinagoghe, le chiese, le molte comu­nità di fede, i diversi gruppi di sostegno che ci aiuta­no a dedicarci agli altri, la famiglia, gli amici, gli inse­gnanti, gli studenti: ognuna di queste realtà può di­ventare un richiamo alla nostra verità. Il limitato, a volte incerto, amore di coloro con i quali condividia­mo la nostra umanità, può spesso indicarci la verità di ciò che siamo: esseri preziosi agli occhi di Dio. Questa verità non è semplicemente una verità interio­re che emerge dal nostro intimo. Ma è anche la verità che ci è stata rivelata da Colui che ci ha scelto. Questo è il motivo per cui dobbiamo continuare ad ascol­tare i molti uomini e donne che nella storia, attraverso le loro vite e le loro parole, ci riportano a questa verità.

In terzo luogo, devi celebrare il tuo "essere scelto" costantemente. Questo significa dire "grazie" a Dio per avere scelto te, e dire "grazie" a tutti coloro che ti ricordano che sei scelto. La gratitudine è il modo più fecondo per approfondire la tua consapevolezza che non sei un "incidente", ma una scelta divina. È im­portante rendersi conto di quanto spesso abbiamo avuto delle possibilità di essere grati e non le abbia­mo usate. Quando qualcuno è gentile con noi, quan­do una situazione si mette bene, quando un proble­ma è risolto, quando un rapporto è ristabilito, quan­do una ferita è guarita, ci sono ragioni molto concrete per rendere grazie: sii grato con le parole, con i fiori, con una lettera, una cartolina, con una telefonata o con un semplice gesto d'affetto. Nondimeno proprio la stessa situazione può offrirci l'occasione per essere critici, scettici, anche cinici, perché quando qualcuno è gentile con noi, possiamo interrogarci sui suoi mo­tivi; quando una situazione si mette bene, poteva sempre andare ancora meglio; quando un problema è risolto spesso altri emergono al suo posto; quando un rapporto è ristabilito, rimane sempre la domanda: «per quanto tempo?»; anche quando una ferita è gua­rita, può esserci ancora qualche dolore... Dove esiste motivo di gratitudine, si può anche trovare motivo di amarezza. È qui che noi siamo confrontati con la libertà di decisione. Possiamo decidere di essere grati o amari. Possiamo decidere di riconoscere il nostro "essere scelti", oppure possiamo decidere di concentrarci sul lato oscuro. Se persistiamo nel guardare il lato oscuro, alla fine finiremo nell'oscurità. 

Ogni giorno vedo succedere questo nella nostra comunità. Coloro che vi appartengono, uomini e donne con in­fermità mentali, hanno molte ragioni per essere ama­ri. Molti di loro sperimentano una profonda solitudine, il rifiuto da parte di certi membri della propria famiglia o di taluni amici, l'inappagato desiderio di avere un compagno nella vita, e la continua frustra­zione di avere sempre bisogno di assistenza. Eppure, per lo più, essi scelgono di non restare nell'amarezza, ma di essere grati per i tanti piccoli doni che ricevo­no nelle loro vite – un invito a pranzo, qualche gior­no di evasione o il festeggiamento del compleanno e, soprattutto, la loro vita giornaliera nella comunità in­sieme a persone che offrono loro amicizia e sostegno. Essi scelgono la gratitudine al posto dell'amarezza e diventano una fonte di speranza e ispirazione per tut­ti i loro assistenti che, sebbene non siano malati men­tali, devono fare la stessa scelta. Se continuiamo a pretendere la luce, diventeremo gradualmente sem­pre più radiosi. Quello che tanto mi affascina è che ogni volta che decidiamo di essere grati, sarà più faci­le vedere nuove cose per esserlo ancora. La gratitudi­ne genera gratitudine, proprio come l'amore genera amore.

Spero che queste tre norme per entrare in sintonia con il tuo "essere scelto" possano aiutarti nella vita di tutti i giorni. Per me, esse costituiscono le discipline spirituali per la mia vita di persona scelta. Non è faci­le praticarle, specialmente durante i momenti di crisi. Prima di conoscerle, mi ritrovavo a lagnarmi, a rimu­ginare su qualche rifiuto e tramare il modo di pren­dermi la rivincita, ma da quando mi tengo strette al cuore queste discipline, mi sento capace di andare ol­tre le mie ombre, verso la luce della mia verità.

Prima di concludere questi pensieri sull' "essere scelto", voglio inculcarti l'importanza di questa verità per le nostre relazioni con gli altri. Quando noi esi­giamo e pretendiamo di continuo la verità dell'essere scelti, scopriamo presto dentro di noi un profondo desiderio di rivelare agli altri il loro "essere scelti". Invece di far sentire che siamo migliori, più preziosi o più apprezzati degli altri, la coscienza di essere scelti apre i nostri occhi alla realtà che anche gli altri sono scelti. Questa è la grande gioia dell'essere scelti: la scoperta che anche gli altri sono stati scelti. Nella ca­sa di Dio ci sono molte mansioni. C'è un posto per tutti – un posto unico, speciale. Una volta che credia­mo profondamente di essere preziosi agli occhi di Dio, diventiamo capaci di riconoscere la preziosità degli altri e il loro posto unico nel cuore di Dio. Que­sto mi fa pensare a Helen, una delle handicappate della nostra comunità. Quando venne a Daybreak, qualche anno fa, mi sentii piuttosto distante da lei e anche un po' intimorito. Lei viveva in un piccolo mondo tutto suo, emetteva solo dei suoni inarticolati e non riusciva a stabilire alcun contatto personale.
Ma appena la conoscemmo meglio e avemmo fiducia che anche lei aveva un dono unico da offrire, usci gradualmente dal suo isolamento, cominciò a sorri­derci e a diventare una grande sorgente di gioia per l'intera comunità.

Capisco adesso che dovevo essere in contatto con la mia bontà per scoprire la bontà unica di Helen. Per tutto il tempo che i miei dubbi personali e le mie paure mi hanno guidato, non potevo creare lo spazio nel quale Helen potesse rivelarmi la sua bellezza. Ma solo dopo aver rivendicato di essere scelto, potevo stare con Helen come con una persona che aveva molto, veramente molto da offrirmi. È impossibile competere per l'amore di Dio. L'amore di Dio è un amore che include tutti — ognuno nella sua unicità. Soltanto quando abbiamo rivendicato il nostro posto nell'amore di Dio, possiamo sperimentare questo ab­braccio totale, questo amore che non fa confronti, e sentirci al sicuro, non solo con Dio, ma anche con tutti i nostri fratelli e sorelle.
Tu ed io sappiamo come tutto questo rispecchia fe­delmente la nostra vita. Noi siamo amici da molti anni. All'inizio, tra noi, c'erano dei confronti, qualche gelosia, e della competizione. Ma invecchiando e di­ventando più sicuri nella nostra unicità, se non tutta, la maggior parte di questa rivalità è svanita, e siamo diventati più capaci di affermare e far emergere cia­scuno i doni dell'altro. Mi sento bene con te perché so che tu stai bene con me per ciò che sono e non solo per ciò che posso fare per te. Tu ti senti bene quando vengo a farti visita perché sai che ammiro la tua gentilezza, la tua bontà e i tuoi molti doni – non perché mi sono utili, ma semplicemente perché ven­gono da te. La profonda amicizia fa emergere il no­stro "essere scelti" reciproco e la mutua affermazione di essere preziosi agli occhi di Dio. La mia e la tua vi­ta hanno, ognuna a modo proprio, le stesse caratteri­stiche. Nessuno ha vissuto la tua vita o la mia vita prima, e nessuno le vivrà mai dopo. Le nostre vite so­no tasselli unici nel mosaico dell'esistenza – sono sen­za prezzo e insostituibili.


Essere coloro che sono scelti è la base per essere gli Amati. Rivendicare questa verità è una lotta che dura tutta la vita, ma è anche una gioia che dura tutta la vita. Più pienamente la rivendichiamo e più facilmen­te scopriremo un altro aspetto dell'essere Amati: il nostro "essere benedetti". Ora, lascia che ti parli di questo.

domenica 23 giugno 2013

Tempo di verifica

Disarmante, questa domanda di Gesù, e allo stesso tempo rassicurante. Della serie: "Sorpresa, oggi verifica, allora chi dite che io sia?".
Come le verifiche, questa domanda non è una mannaia, ma un punto d'arrivo per un nuovo punto di partenza. Il silenzio della preghiera è grembo in cui il tempo si ricuce, dove la verità si fa come tangibile, la senti attorno e addosso a te, come pelle, come fasci di sensazioni che ti attraversano. Qui Gesù pone questa domanda, che subito ti lascia basito, da qui dipenderà tutto: fede, scelte, vita...

Non si tratta di trovare l'esatta definizione di Cristo (Daniele 7,13-14), ma lo spazio che occupa in me, nei miei pensieri, nei miei gesti, nella mia giornata. Quanto pensiero, quanto tempo, quanto cuore mi prende. In un primo momento scaturisce un balbettio confuso, ma poi Gesù è lì, accanto a me, non mi impone risposte, ma mi conduce con delicatezza a cercare dentro di me.

Zampilla come acqua di fonte, fresca e forte. Dio è passione: passione d'amore, che sacrifica se stessa, che nessuna tomba, nessuna regola, nessun modello possono imprigionare. Che allora ciascuno prenda la propria croce, che ognuno percorra la propria strada, abbia il coraggio di intraprenderla sulla via tracciata dal Vangelo, collaboratori della missione di Cristo. Qualunque siano le nostre incombenze, fatiche, preoccupazioni, sofferenze, una cosa è certa: ognuno di noi può scegliere di collaborare alla costruzione del Regno di Dio, di votare se stesso ad un'umanità che cammina in letizia e creatività e vivere il Vangelo, oppure scegliere altro, vivere l'ingiustizia, assumendosene poi le conseguenze.


Misteri del dolore – PRIMO, L’AGONIA DI GESU’ AL GETSEMANI

E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice
non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”..
Mt 26,42

Il Getsemani, o Monte degli ulivi, è uno dei luoghi più venerabili della cristianità. Certo, gli alberi non risalgono al tempo di Gesù; durante l’assedio di Gerusalemme, Tito fece abbattere tutti gli alberi nei vasti dintorni della città. Il Monte degli ulivi, tuttavia, è lo stesso di allora. Chi lì si trattiene, si trova davanti ad un culmine drammatico del mistero del nostro Redentore: qui Gesù ha sperimentato l’ultima solitudine, tutta la tribolazione dell’essere uomo. Qui l’abisso del peccato e di tutto il male gli è penetrato nel più profondo dell’anima. Qui è stato toccato dallo sconvolgimento della morte imminente. Qui il traditore lo ha baciato. Qui tutti i discepoli lo hanno lasciato. Qui Egli ha lottato anche per me.
Dopo la rituale recita in comune dei Salmi, Gesù prega da solo come durante tante notti in precedenza. Lascia, tuttavia, vicino a sé il gruppo dei tre – noto da altri contesti e in particolare dal racconto della trasfigurazione – Pietro, Giacomo e Giovanni. Così questi, anche se ripetutamente sopraffatti dal sonno, diventano testimoni della sua lotta notturna. Marco ci racconta che Gesù cominciò a “sentire paura e angoscia”. Il Signore dice ai discepoli: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate!”.
L’appello alla vigilanza è già stato un tema di fondo nell’annuncio a Gerusalemme e adesso appare con un’urgenza molto immediata. Ma pur riferendosi proprio a quell’ora, tale appello rimanda in anticipo alla storia futura della cristianità. La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole per il potere del male. Questa sonnolenza è un intorpidimento dell’anima, che non si lascia scuotere dal potere del male nel mondo, da tutta l’ingiustizia e da tutta la sofferenza che devastano la terra.

E’ un’insensibilità che preferisce non percepire tutto ciò; si tranquillizza col pensiero che tutto, in fondo, non è poi tanto grave, per poter così continuare nell’autocompiacimento della propria esistenza soddisfatta.

Ma questa insensibilità delle anime, questa mancanza di vigilanza sia per la vicinanza di Dio che per la potenza incombente del male, conferisce al maligno un potere nel mondo.
Di fronte ai discepoli assonnati e non disposti ad allarmarsi, il Signore dice di se stesso: “La mia anima è triste fino alla morte”. E’ questa una parola del Salmo 43,5.

Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 3
pag. 169-173



Una grande solitudine circonda Gesù nel Getsemani, spesso questa solitudine si ripete intorno al Tabernacolo.
                                                      P. Giocondo Lorgna


Signore, insegnami ad attraversare le mie angosce confidando il Te.

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Prego la “decina” del Rosario:
Padre nostro…
Ave Maria…
Gloria al Padre…