mercoledì 31 luglio 2013

Fare della nostra vita un dono

Il percorso verso la vita spirituale che ci propone Nouwen non si ferma all’essere spezzati di due settimane fa. Per vivere da “figli amati”, siamo passati attraverso il prendere coscienza di essere innanzitutto scelti da sempre, non per i nostri meriti ma per un Amore infinito che ci sostiene; il nostro essere scelti, poi, è evidente, nelle mille quotidiane benedizioni che ci avvolgono e ci donano la forza per passare attraverso l’essere spezzati della vita di ogni giorno. Ma l’essere spezzati non dice ancora in pienezza tutto di noi: è come il pane…

Non spezziamo un pezzo di pane per lasciarlo lì… spezziamo il pane quando lo vogliamo dare, quando qualcuno ne ha bisogno, quando vogliamo condividere con altri ciò che abbiamo.
L’essere spezzati “nella nostra vita trova il suo pieno significato quando riusciamo a farlo sfociare nell’essere dati”. Ne facciamo tutti l’esperienza: la nostra vita ha un senso, trova una pienezza di gioia quando diventa importante per qualcun altro, quando possiamo essere dono per qualcun altro. 

Come abbiamo bisogno delle benedizioni degli altri, di sentire le cose buone che gli altri sanno dire su di noi per confermarci nel nostro essere gli Amati, così abbiamo bisogno di fare della nostra vita un dono. Gesù in Mt 14,13-21 ci da questa immagine del pane: davanti ad una folla affamata  invita i suoi discepoli a farsi dono, “Date voi stessi a loro da mangiare”!

Trovo sia molto bella la distinzione che fa Nouwen tra talenti e doni: possiamo anche essere sprovvisti di talenti particolari da offrire agli altri ( non so suonare, non so cantare, non so disegnare, non so cucinare, ecc..) ma tutti, proprio tutti abbiamo dei doni che possiamo invece condividere!
C’è chi ha un bel sorriso da donare agli altri, chi ha abbracci avvolgenti, chi ha un pizzico di pazienza in più, chi è capace di uno sguardo gioioso, chi ha un cuore compassionevole, chi ha del tempo…


Siamo scelti, benedetti, spezzati per essere dati, per fare di tutta la nostra vita un dono per gli altri fino al dono estremo della morte.

lunedì 29 luglio 2013

Signore che dobbiamo dire?

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
(Lc 11, 1-13)




Anche Gesù prega.. E chissà i suoi discepoli: come l’avranno scrutato per capire come faceva, cosa diceva.. Finché qualcuno ha il coraggio di chiedergli: “Insegna anche a noi! Come dobbiamo fare? Cosa dobbiamo dire?”. E Gesù con semplicità inizia affermando che la preghiera è una relazione: “Padre”. Non è un trattato teologico o un libro: è un incontro, un incontro d’amore tra un genitore e il figlio. Un legame profondo, che non smette mai di darsi. E come in ogni relazione ci si scambia benedizioni, si offre il perdono, si sostiene, si aiuta. La preghiera è relazione, ma è anche domanda, risposta, ricerca, scoperta, insistenza, apertura. Sono tutti aspetti di cui facciamo esperienza nella nostra vita di ogni giorno, eppure come siamo impacciati a volte a parlare di preghiera, quasi come se dovessimo sostenere un esame, quasi come fosse un mistero… Forse perché troppo spesso la riduciamo a formule, a schemi; forse perché troppo spesso la releghiamo a tempi ben precisi o luoghi prestabiliti.. O forse perché troppo spesso ne facciamo un obbligo morale, dove il nostro cuore non ha più respiro.. Signore, insegnaci a fare di ogni aspetto della nostra vita una “preghiera”, un incontro d’amore con Te presente in ciascuno di noi e in ogni cosa: Signore, insegnaci a vivere da innamorati!

venerdì 19 luglio 2013

Misteri del dolore – QUINTO, LA MORTE DI GESU’


Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani
consegno il mio spirito”. Detto questo spirò.
Lc 23,46


O popolo mio, che male ti ho fatto?
Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Io ti guidai dalla terra d’Egitto:
e tu hai preparato la croce al tuo Salvatore.

Io ti guidai quarant’anni nel deserto,
ti sfamai con la manna,
ti portai in una terra buona
e tu hai preparato la croce al tuo Salvatore.

Io ti piantai come una splendida vigna:
e tu mi sei venuta aspra e amara;
hai calmato la mia sete con aceto,
hai piantato una lancia nel fianco al tuo Salvatore.

Io per te colpii l’Egitto nei suoi primogeniti:
e tu mi hai colpito con flagelli
e mandato a morte.

Io apersi davanti a te il mare:
e tu con una lancia mi hai aperto il fianco.


Con la morte di Gesù, il velo del Tempio si squarcia in due – così raccontano i Vangeli – da cima a fondo. Probabilmente s’intende, dei due veli del tempio, quello interno, quel velo cioè che impedisce alla gente l’accesso al Santo dei Santi. Una sola volta all’anno il sommo sacerdote può passare attraverso il velo, comparire al cospetto dell’Altissimo e pronunciare il santo nome di Lui.
Adesso, nel momento della morte di Gesù, questo velo si squarcia da cima a fondo.
Con ciò si allude a due cose: da una parte, diventa evidente che l’epoca del vecchio Tempio e dei suoi sacrifici è finita; al posto dei simboli e dei riti, che rimandavano al futuro, subentra ora la realtà stessa, il Gesù crocifisso che riconcilia tutti noi col Padre. Ma al contempo, lo squarciarsi del velo del Tempio significa che ora è aperto l’accesso a Dio.
Ora Dio stesso ha tolto il velo, nel Crocifisso si è manifestato come Colui che ama fino alla morte. L’accesso a Dio è libero.

Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 3
pag. 141-143

Io ti feci strada con la nube luminosa:
e tu mi hai condotto davanti a Pilato.

Io ti dissetai dalla roccia con acqua di salvezza:
e tu mi hai dissetato con fiele e aceto.

Io per te distrussi i re dei Cananei:
e tu con una canna mi hai colpito il capo.

Io ti posi nelle mani lo scettro dei re:
e tu mi hai posto sul capo la corona di spine.

Io ti innalzai con grande potenza:
e tu mi hai sospeso al legno della croce.

Liturgia del Venerdì santo

La morte di Gesù si ripete misticamente nel Sacrificio della Messa, e noi partecipandovi, ne riceviamo tutti i benefici.
P. Giocondo Lorgna


Signore, insegnami ad attraversare la vita assieme a te, verso il Padre.


Prego la “decina” del Rosario:
Padre nostro…
Ave Maria…
Gloria al Padre…

giovedì 18 luglio 2013

Splendore della bontà

“La bellezza non ha prezzo. È lo splendore della bontà. Il bello è il bene nel vero e il vero nel bene. È la bontà vista dall’intelletto e la verità colta nell’affetto. La bellezza è un’intuizione, un colpo d’occhio accarezzato dal piacere. Il bello è la bontà che chiama a sé chi è semplice e risplende in chi è semplice, cioè senza piega (sine plica). Il complicato (cum plica) si perde nelle proprie pieghe e non sente nulla. Solo il semplice sente tutto come spiegato (esplicato), perché si sente implicato, in ogni piega: per lui è come se fosse aperto, nudo, puro, limpido, mondo, semplice – appunto” (G. Barzaghi, La fuga)

mercoledì 17 luglio 2013

Diventare Diamanti

«Tu sei un uomo spezzato, io sono un uomo spezzato e tutte le persone che conosciamo direttamente o di riflesso sono persone spezzate. Forse l’inizio più semplice sarebbe dire che il nostro essere spezzati rivela qualcosa su chi siamo. Le nostre sofferenze e i nostri dolori non sono semplicemente noiose interruzioni nella nostra vita: ci toccano, piuttosto, nella nostra unicità e nella nostra più intima individualità. L’essere spezzati è un’esperienza del tutto personale e nella società in cui tu ed io viviamo è generalmente una esperienza intima: è lo spezzarsi del cuore, è la sofferenza del cuore spezzato» (H.J.M. NOUWEN, Sentirsi amati).

Ho fatto un po’ di fatica questa settimana a leggere e a restare sul libro di Nouwen. Bello rivendicare il nostro “essere scelti” da Dio e il nostro “essere benedetti”: com’è subito evidente che siamo gli Amati a partire da queste due realtà. Ma.. rivendicare il nostro “essere spezzati”, questo no, questo non mi risulta per nulla facile. Tutti facciamo l’esperienza di essere “spezzati”, cioè di essere feriti nel profondo dalla nostra fragilità o dal male che ci circonda, ma tutti facciamo anche l’esperienza di cercare di fuggire dalla sofferenza o di cercare di nasconderla a noi stessi e agli altri.
E’ vero, poi, ed è forse questo che rende ancora più grande il nostro dolore, che ogni volta che soffriamo, ogni volta che succede qualcosa che ci “spezza” interiormente, subito lo leggiamo come una conferma del nostro essere persone inadatte, indegne, sbagliate… Il mondo spesso spinge la nostra vita sotto il segno di questa “maledizione”: se la persona che ami ti ha lasciata, probabilmente tu hai qualcosa di sbagliato; se non trovi lavoro, sei tu una persona inadatta; se non sei ricca, tu non vali niente..
Eppure, se lascio che la mia vita sia davvero sotto il segno della benedizione, consapevole che Dio mi ha amata e voluta così come sono, allora anche l’essere spezzata può essere posto sotto questa benedizione: non è più un segno del mio essere sbagliata, ma è un passaggio, un’opportunità che rivela davvero chi sono io, che magari riesce anche a farmi tirar fuori potenzialità, risorse impensate.
Entrare in questa realtà e metterla sotto la benedizione, non rende necessariamente il nostro dolore meno acuto. In effetti, spesso ci rende più consapevoli di quanto siano profonde le nostre ferite e di come sia irreale aspettarsi che svaniscano.”

Porre sotto la benedizione il nostro essere spezzati, vuol dire provare ad avvicinarci al nostro dolore, aver imparato a chiamarlo per nome, non averne più paura. E’ riconoscere che ci sono ferite che rimarranno nella nostra vita come parti indelebili, segni della nostra individualità, ma che “abbracciate alla luce di Colui che ci chiama Amati, può rendere l’"es­sere spezzati" splendente come un diamante”.

sabato 13 luglio 2013

Chinarsi sulla vita

Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Parola del Signore


   

Oggi ho incontrato molti buoni samaritani lungo la mia strada. Erano giovani uomini, dalla barba un po’ incolta e dai muscoli forti; erano uomini anziani con il volto e le mani bruciate dal sole e da anni di lavoro; erano donne segnate dal tempo e dagli affanni, mogli, mamme, sorelle, nonne, vedove. Li ho incontrati lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico, che dal luogo del tempio, della preghiera, della festa, della pienezza di vita, di incontri, di relazioni, scende a Gerico, la normalità, la quotidianità, la solitudine. Li incontrati lungo quella strada, dove a volte ci aspettano appuntamenti dolorosi,improvvisi, ferite che sembrano lasciarci morti sul ciglio della strada. Li ho visti chinarsi sul volto di una donna straziata dalla morte, li ho visti accarezzare con delicatezza i suoi capelli, abbracciare con forza il suo corpo, quasi a volerlo curare, fasciare con il loro amore. Li ho visti chinarsi ad uno ad uno sulle sue lacrime, per versarvi l’olio della consolazione, per raccogliere un po’ di quel dolore e portarselo via. Ho incontrato tanti buoni samaritani, oggi, capaci di farsi carico di una vita spezzata, capaci di rendere visibile, tangibile l’amore verso Dio amando con forza e tenerezza e semplicità chi in quel momento aveva bisogno di com-passione. “Va’ e anche tu fa’ così!”. Abbiamo salutato e affidato a Dio un marito, un papà, un fratello oggi e ci siamo stretti attorno a sua moglie e alle sue bambine: il Signore non faccia mancare samaritani e samaritane sulla strada delle nostre belle e a volte difficili vite!