domenica 21 giugno 2015

Papa Francesco all'Agesci: "Costruite ponti!"


La nostra amica Giulia Campani tra gli scouts in udienza dal Papa Francesco

Cari amici dell’AGESCI, buongiorno!

Vi ringrazio di essere venuti così numerosi da tutte le regioni d’Italia a formare questa festosa presenza in Piazza San Pietro. Saluto il Capo Scout e la Capo Guida, l’Assistente Ecclesiastico Generale, i lupetti e le coccinelle, gli esploratori e le guide, i rover e le scolte, con le comunità-capi e i sacerdoti assistenti.

Vi dirò una cosa - ma non vantatevi! -: voi siete una parte preziosa della Chiesa in Italia. Grazie! Forse i più piccoli tra voi non se ne rendono bene conto, ma i più grandi spero di sì! In particolare, voi offrite un contributo importante alle famiglie per la loro missione educativa verso i fanciulli, i ragazzi e i giovani. I genitori ve li affidano perché sono convinti della bontà e saggezza del metodo scout, basato sui grandi valori umani, sul contatto con la natura, sulla religiosità e la fede in Dio; un metodo che educa alla libertà nella responsabilità. Questa fiducia delle famiglie non va delusa! E anche quella della Chiesa: vi auguro di sentirvi sempre parte della grande Comunità cristiana.

L’anno scorso, in agosto, vi ho telefonato quando eravate radunati nella pineta di San Rossore. Vi ricordate? Avevate fatto una grande route nazionale, come dite voi. E avete fatto la “Carta del coraggio”. Questa “Carta” esprime le vostre convinzioni e aspirazioni, e contiene una forte domanda di educazione e di ascolto rivolta alle vostre comunità capi, alle parrocchie e alla Chiesa nel suo insieme. Questa domanda investe anche l’ambito della spiritualità e della fede, che sono fondamentali per la crescita equilibrata e completa della persona umana.

Quando una volta qualcuno chiese al vostro fondatore, Lord Baden Powell, “che cosa c’entra la religione [con lo scoutismo]?”, egli rispose che «la religione non ha bisogno di “entrarci”, perché è già dentro! Non c’è un lato religioso del Movimento scout e un lato non… L’insieme di esso è basato sulla religione, cioè sulla presa di coscienza di Dio e sul suo Servizio» (Discorso ad una conferenza di Commissari scout/guide, 2 luglio 1926, in L’educazione non finisce mai, Roma 1997, p. 43). E questo l’ha detto nell’anno ’26.

Nel panorama delle associazioni scout a livello mondiale, l’AGESCI è tra quelle che investono di più nel campo della spiritualità e dell’educazione alla fede. Ma c’è ancora tanto da lavorare, perché tutte le comunità-capi ne comprendano l’importanza e ne traggano le conseguenze.

So che fate dei momenti formativi per i capi sull’accostamento alla Bibbia, anche con metodi nuovi, mettendo al centro la narrazione della vita vissuta a confronto con il Messaggio del Vangelo. Mi congratulo con voi per queste buone iniziative, e mi auguro che non si tratti di momenti sporadici, ma che si inseriscano in un progetto di formazione continua e capillare, che penetri fino in fondo nel tessuto associativo, rendendolo permeabile al Vangelo e facilitando il cambiamento di vita.

C’è una cosa che mi sta particolarmente a cuore per quanto riguarda le associazioni cattoliche, e vorrei parlarne anche a voi. Associazioni come la vostra sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito Santo suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori. Sono certo che l’AGESCI può apportare nella Chiesa un nuovo fervore evangelizzatore e una nuova capacità di dialogo con la società. Mi raccomando: capacità di dialogo! Fare ponti, fare ponti in questa società dove c’è l’abitudine di fare muri. Voi fate ponti, per favore! E col dialogo, fate ponti. Ma questo può avvenire solo a una condizione: che i singoli gruppi non perdano il contatto con laparrocchi adel luogo, dove hanno la loro sede, ma che in molti casi non frequentano, perché, pur svolgendo là il loro servizio, provengono da altre zone. Siete chiamati a trovare il modo di integrarvi nella pastorale della Chiesa particolare, stabilendo rapporti di stima e collaborazione ad ogni livello, con i vostri vescovi, con i parroci e gli altri sacerdoti, con gli educatori e i membri delle altre associazioni ecclesiali presenti in parrocchia e nello stesso territorio, e non accontentarvi di una presenza “decorativa” alla domenica o nelle grandi circostanze.

Ci sono, nell’AGESCI, molti gruppi che già sono pienamente integrati nella loro realtà diocesana e parrocchiale, che sanno fare tesoro dell’offerta formativa proposta dalla comunità parrocchiale ai ragazzi, ai giovanissimi, ai giovani, agli adulti, frequentando, insieme con gli altri loro coetanei, i gruppi di catechesi e formazione cristiana. Fanno questo senza rinunciare a ciò che è specifico nell’educazione scout. E il risultato è una personalità più ricca, e più completa. Se voi siete d’accordo ? Allora andiamo avanti così!

Vi ringrazio tutti: lupetti e coccinelle, esploratori e guide, rover e scolte, comunità capi e sacerdoti assistenti. Vi accompagno con la mia preghiera, ma chiedo anche a voi di pregare per me.

Buon cammino!
13 giugno 2015















lunedì 15 giugno 2015

Papa Francesco ai giovani: imparate a piangere e amare






Non temete di piangere, non trasformatevi in giovani da museo, imparate ad amare, lasciatevi sorprendere da Dio, imparate l’umiltà dai poveri. Sono queste le esortazioni rivolte da Papa Francesco agli oltre 30 mila giovani durante l’incontro nel campo sportivo dell’Università di Santo Tomas a Manila. Prima di rispondere alle domande di alcuni ragazzi, il Santo Padre ha chiesto di pregare per Chrystel, la giovane di 27 anni morta a causa del crollo di un’impalcatura al termine della Messa a Tacloban.
La realtà è superiore all’idea, ai fogli di carta già disposti sul leggio. Volgendo lo sguardo verso i giovani, Papa Francesco sostituisce il testo preparato per l’incontro con parole pronunciate a braccio, in spagnolo, e precedute da un toccante abbraccio. Quello con una bimba scoppiata a piangere che, dopo aver raccontato la sua esperienza di vita per strada, rivolge piangendo questa domanda al Papa: perché i bambini soffrono?

Imparare a piangere

“Quando il cuore è pronto ad interrogare se stesso e a piangere – ha risposto il Santo Padre dopo aver sottolineato che “le donne sono capaci di porre domande che gli uomini non sono capaci di capire” – saremo in grado di comprendere qualcosa. “La compassione ‘mondana’ - ha aggiunto - non serve a nulla”. Si deve imparare a piangere, “nel mondo di oggi manca la capacità di piangere”:
“Loran los marginados, lloran aquellos…
Piangono gli emarginati, gli esclusi, coloro che vengono scartati ma quelli che hanno una vita senza particolari necessità – ha osservato il Papa - non sanno piangere”. “Alcune realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi lavati dalle lacrime”:
“Los invito a que cada uno se pregunte …
“Così – ha detto - invito ciascuno di voi a chiedersi: ho imparato a piangere? Ho imparato a piangere quando vedo un bambino che è affamato, un bambino drogato, un bambino che non ha casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino sfruttato dalla società?”.
Gesù – ha ricordato il Papa – pianse in diversi momenti della sua vita e soprattutto nel suo cuore:
“Si vos no aprendes a llorar no sos un buen cristiano …
Se non imparate come si piange – ha affermato - non potrete essere buoni cristiani”.

Imparare ad amare

Un giovane ha poi chiesto al Pontefice come ascoltare la voce di Dio al tempo di Internet. Il Papa ha risposto sottolineando che “corriamo il rischio di vivere accumulando informazioni”, di trasformarci in “giovani da museo”.
“No necesitamos jóvenes museos sino jóvenes sabios.…
Non abbiamo bisogno di giovani museo – ha detto - ma di giovani saggi”. La vera sfida è “imparare ad amare”:
“Y este es el desafío que la vida te pone a vos hoy …
E’ questa la grande sfida della vita, imparare ad amare. Non solo accumulare informazioni, senza sapere cosa farne. E’ solo attraverso l’amore che questa informazione diventa feconda”. Per questo il Vangelo ci propone un cammino usando tre linguaggi: quelli della mente, del cuore e delle mani. Per essere saggi – ha detto - usate questi tre linguaggi: “pensate, sentite ad agite”.

Lasciarsi sorprendere da Dio

“Lasciamoci sorprendere da Dio – ha poi affermato il Papa – e rifiutiamo la psicologia del computer che ci fa pensare di sapere tutto”. “Sul computer si trovano tutte le risposte sullo schermo ma nessuna sorpresa”.
Dio invece “si manifesta attraverso la sorpresa”:
“¡Déjate sorprender por Dios! No le tengas miedo a las sorpresas...
Lasciatevi sorprendere da Dio. E non temete le sorprese, ha aggiunto il Papa ricordando l’esempio di San Francesco che “morì con le tasche vuote, ma con un cuore stracolmo”.

Imparare a mendicare

Il Pontefice ha esortato infine i giovani ad imparare a ricevere l’umiltà dai poveri:
“Aprender a mendigar de aquellos…
Imparare a mendicare da coloro ai quali date. Non è facile da comprendere. Imparare a mendicare. Imparare a ricevere dall’umiltà di coloro che aiutiamo. Imparare ad essere evangelizzati dai poveri”.
Papa Francesco si è rivolto ai giovani incontrati nell’Università Santo Tomas parlando a braccio in spagnolo. Nel discorso non letto, in inglese, il Santo Padre ricorda ai giovani filippini tre priorità per dare un significativo contributo alla vita del Paese: preservare l’integrità morale, avere cura dell’ambiente, assistere i poveri. Dal Santo Padre anche l’incoraggiamento a rinnovare la società e a costruire un mondo migliore, ad essere testimoni gioiosi “dell’amore di Dio”.

Sfida all’integrità morale

Il primo ambito in cui i giovani possono offrire il loro contributo - sottolinea il Pontefice - è “la sfida all’integrità morale”, accogliendo l’invito “ad essere coraggiosi, a dare “testimonianza profetica della propria fede”: “Non fuggite questa sfida! Una delle più grandi sfide che i giovani hanno di fronte è quella di imparare ad amare… Non abbiate paura di amare! Ma, anche amando, preservate la vostra integrità morale”.

Cura dell’ambiente

Un secondo ambito nel quale i giovani filippini sono chiamati a dare il loro contributo – osserva il Papa - consiste “nell’avere cura dell’ambiente”: “Siete chiamati a prendervi cura del creato, non solo come cittadini responsabili, ma anche come seguaci di Cristo! …Come amministratori della creazione siamo chiamati a fare della Terra un bellissimo giardino per la famiglia umana”.

Cura dei poveri

Un altro ambito nel quale i giovani possono offrire un prezioso contributo – conclude il Santo Padre - “è la cura per i poveri”. C’è sempre qualcuno che si trova “nella necessità, materiale, psicologica, spirituale”: “Ma a tutti voi, specialmente a quelli che possono fare di più io chiedo: per favore fate di più! Per favore, date di più! Quando offrite qualcosa del vostro tempo, dei vostri talenti e delle vostre risorse alle tante persone bisognose che vivono ai margini, voi fate la differenza”.

19.01.2015



domenica 7 giugno 2015

Questo è il mio corpo dato per voi



Questo è il corpo che io ho, ed è ciò che io sono, diventando più anziano, più pingue, perdendo i capelli, evidentemente mortale. Devo trovarmi a mio agio con il corpo degli altri, i belli e i brutti, i malati e i sani, i vecchi e i giovani, maschi e femmine. San Domenico fondò l’Ordine per salvare gli uomini dalla tragedia di una religione dualista, che condannava come cattivo questo mondo creato. Centrale alla nostra tradizione fin dall’inizio, è l’apprezzamento della corporeità. E’ qui che Dio viene ad incontrarci e a redimerci, divenendo un essere umano di carne e sangue come noi. Il sacramento centrale della nostra fede è la partecipazione al suo corpo; la nostra speranza finale è la risurrezione del corpo. Il voto di castità non è un rifugio dalla nostra esistenza corporale. Se Dio è divenuto carne e sangue, anche noi possiamo osare di fare lo stesso. Scopriamo ciò che significa per noi essere corporali in quel crescendo della vita di Gesù, quando ci offre il suo corpo: “Questo è il mio corpo, dato per voi”. Qui vediamo che il corpo non è solo un cumulo di carne, un fascio di muscoli, sangue e grasso. L’Eucarestia ci mostra la vocazione dei nostri corpi umani: divenire dono reciproco, la possibilità di comunione. Qui il corpo è visto nella sua profonda identità, non come un cumulo di carne, ma come un segno sacramentale di presenza… Il predicatore porta la Parola alla sua espressione non già mediante le parole, ma per mezzo di tutto ciò che noi siamo. La compassione di Dio cerca di divenire carne e sangue in noi, nella nostra tenerezza, perfino nel nostro volto. Nell’Antico Testamento, spesso troviamo la preghiera che il volto di Dio possa risplendere su di noi. Questa preghiera ha trovato una risposta definitiva nella forma di un volto umano, il volto di Cristo. Egli sofferma il suo sguardo sul giovane ricco, lo ama e gli chiede di seguirlo; sofferma il suo sguardo su Pietro, nell’atrio, dopo il suo tradimento; sofferma il suo sguardo su Maria Maddalena nel giardino e la chiama per nome. Come predicatori, in carne e sangue, possiamo dare corpo a quel compassionevole sguardo di Dio. La nostra corporeità non è esclusa dalla nostra vocazione. “L’uomo che è sia predicatore che fratello può imparare, soffrendo e probabilmente attraverso tanti diseguali progressi, ciò che significa essere un volto di Dio, precisamente nell’avere un volto umano, un volto che può sorridere, ridere, piangere e sembrare annoiato... E’ nell’intera nostra unicità e individualità, eternamente valida e desiderata da Dio, che noi siamo pure la rivelazione, la manifestazione, l’espressione di Colui che è l’Unico Verbo scaturito da tutta l’eternità dal silenzio di Dio”. La vera purezza di cuore non consiste nell’essere liberi dalla contaminazione di questo mondo. E’ più nell’essere pienamente presenti in ciò che facciamo e siamo, con un volto e un corpo che esprime noi stessi, al di là dell’inganno e della doppiezza. I puri di cuore non si nascondono dietro i loro volti, con fare guardingo. I loro volti sono trasparenti, non mascherati, con la nudità e la vulnerabilità di Cristo. Essi possiedono la sua libertà e spontaneità. “Solo chi ha un cuore puro, può sorridere in una libertà che crea libertà negli altri”. È strano che non ci venga bene parlare di questo, perché il cristianesimo è la più corporale delle religioni. Crediamo che è stato Dio a creare questi corpi e a dire che erano cosa molto buona. Dio si è fatto corpo fra di noi, essere umano come noi. Gesù ci ha dato il sacramento del suo corpo e ha promesso la resurrezione dei nostri corpi. Sicché dovremmo sentirci a casa nella nostra natura corporale, appassionata...  Dio si è incarnato in Gesù Cristo, ma forse noi stiamo ancora imparando ad incarnarci nei nostri stessi corpi. Dobbiamo scendere dalle nuvole! Il corpo non è solo una cosa che possiedo, sono io, è il mio essere come dono ricevuto dai miei genitori e dai loro prima di loro e, in ultima istanza, da Dio. Per questo quando Gesù dice «Questo è il mio corpo, offerto per voi» non sta disponendo di qualcosa che gli appartiene, sta passando agli altri il dono che lui è. Il suo essere è un dono del Padre che Egli sta trasmettendo. Avvicinarci al mistero dell’amore significa anche amare, persone concrete, alcune con amicizia, altre con profondo affetto (…). Nell’Ultima Cena Gesù prende il pane e lo dà ai discepoli dicendo: «questo è il mio corpo offerto per voi». Egli consegna se stesso. Invece di prendere il controllo su di loro, si consegna ai discepoli perché facciano di lui quello che vogliono. E noi sappiamo quello che ne faranno. È l’immensa vulnerabilità dell’amore vero. 
Timothy Radcliffe, domenicano