domenica 14 dicembre 2014

Papa Francesco ai giovani



 “ Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”  (Isaia 40,11)

Papa Francesco, come il Buon Pastore, segue e accompagna con amore e tenerezza tutti gli uomini e le donne del nostro tempo. Rivolge a tutti parole di verità e di speranza.
Un’attenzione particolare la riserva ai giovani e in ogni occasione esprime loro  fiducia e incoraggiamento.   

Papa Francesco ai giovani dell’Abruzzo e del Molise

Piazzale del Santuario di Castelpetroso
Sabato, 5 luglio 2014

“Aspirate alla felicità, abbiatene il coraggio, il coraggio di uscire da voi stessi, di giocare in pienezza il vostro futuro insieme a Gesù”.

Cari giovani, buon pomeriggio!

Vi ringrazio per la vostra numerosa e gioiosa presenza. Ringrazio mons. Pietro Santoro per il suo servizio alla pastorale giovanile; e grazie a te, Sara, che ti sei fatta portavoce delle speranze e delle preoccupazioni dei giovani di Abruzzo e Molise.

L’entusiasmo e il clima di festa che sapete creare sono contagiosi. L’entusiasmo è contagioso. Ma voi sapete da dove viene questa parola: entusiasmo? Viene dal greco e vuol dire “avere qualcosa di Dio dentro” o “essere dentro Dio”. L’entusiasmo, quando è sano, dimostra questo: che uno ha dentro qualcosa di Dio e lo esprime gioiosamente.  Siete aperti – con questo entusiasmo - alla speranza e desiderosi di pienezza, desiderosi di dare significato al vostro futuro, alla vostra intera vita, di intravedere il cammino adatto per ciascuno di voi e scegliere la via che vi porti serenità e realizzazione umana. Cammino adatto, scegliere la via… cosa significa questo? Non stare fermi – un giovane non può stare fermo! – e camminare. Ciò indica andare verso qualcosa; perché uno può muoversi e non essere uno che cammina, ma un “errante”, che gira, gira, gira per la vita… Ma la vita non è fatta per “girarla”, è fatta per “camminarla”, e questa è la vostra sfida!

Da un lato, siete alla ricerca di ciò che veramente conta, che rimane stabile nel tempo ed è definitivo, siete alla ricerca di risposte che illuminino la vostra mente e scaldino il vostro cuore non soltanto per lo spazio di un mattino o per un breve tratto di strada, ma per sempre. La luce nel cuore per sempre, la luce nella mente per sempre, il cuore riscaldato per sempre, definitivo. Dall’altro lato, provate il forte timore di sbagliare - è vero, chi cammina può sbagliare –, provate la paura di coinvolgervi troppo nelle cose - l’avete sentita, tante volte -, la tentazione di lasciare sempre aperta una piccola via di fuga, che all’occorrenza possa aprire sempre nuovi scenari e possibilità. Io vado in questa direzione, scelgo questa direzione, ma lascio aperta questa porta: se non mi piace, torno e me ne vado. Questa provvisorietà non fa bene; non fa bene perché ti fa venire la mente buia e il cuore freddo.

La società contemporanea e i suoi prevalenti modelli culturali – per esempio, la “cultura del provvisorio” – non offrono un clima favorevole alla formazione di scelte di vita stabili con legami solidi, costruiti su una roccia d’amore, di responsabilità piuttosto che sulla sabbia dell’emozione del momento. L’aspirazione all’autonomia individuale è spinta fino al punto da mettere sempre tutto in discussione e da spezzare con relativa facilità scelte importanti e lungamente ponderate, percorsi di vita liberamente intrapresi con impegno e dedizione. Questo alimenta la superficialità nell’assunzione delle responsabilità, poiché nel profondo dell’animo esse rischiano di venir considerate come qualcosa di cui ci si possa comunque liberare. Oggi scelgo questo, domani scelgo quell’altro… come va il vento vado io; o quando finisce il mio entusiasmo, la mia voglia, incomincio un’altra strada… E così si fa questo “girare” la vita, proprio del labirinto. Ma il cammino non è il labirinto! Quando voi vi trovate a girare in un labirinto, che prendo di qua, prendo di qua, prendo di qua… fermatevi! Cercate il filo per uscire dal labirinto; cercate il filo: non si può bruciare la vita girando.

Tuttavia, cari giovani, il cuore dell’essere umano aspira a cose grandi, a valori importanti, ad amicizie profonde, a legami che si irrobustiscono nelle prove della vita anziché spezzarsi. L’essere umano aspira ad amare e ad essere amato. Questa è la nostra aspirazione più profonda: amare e essere amato; e questo, definitivamente. La cultura del provvisorio non esalta la nostra libertà, ma ci priva del nostro vero destino, delle mete più vere ed autentiche. E’ una vita a pezzi. E’ triste arrivare a una certa età, guardare il cammino che abbiamo fatto e trovare che è stato fatto a pezzi diversi, senza unità, senza definitività: tutto provvisorio… Non lasciatevi rubare il desiderio di costruire nella vostra vita cose grandi e solide! E’ questo che vi porta avanti. Non accontentatevi di piccole mete! Aspirate alla felicità, abbiatene il coraggio, il coraggio di uscire da voi stessi, di giocare in pienezza il vostro futuro insieme a Gesù.

A chiusura di questa parte di discorso del Papa, facciamo nostro un pensiero su Maria di don Tonino Bello:

Santa Maria, donna coraggiosa, alcuni anni fa in una celebre omelia pronunciata a Zapopan nel Messico, Giovanni Paolo II ha scolpito il monumento più bello che il magistero della Chiesa abbia mai elevato alla tua umana fierezza, quando disse che tu ti presenti come modello «per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale, né sono vittime della alienazione».
Dunque, tu non ti sei rassegnata a subire l'esistenza. Hai combattuto. Hai affrontato gli ostacoli a viso aperto. Hai reagito di fronte alle difficoltà personali e ti sei ribellata dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo. Non sei stata, cioè, quella donna tutta casa e chiesa che certe immagini devozionali vorrebbero farci passare.
 Sei scesa sulla strada e ne hai affrontato i pericoli, con la consapevolezza che i tuoi privilegi di Madre di Dio non ti avrebbero offerto isole pedonali capaci di preservarti dal traffico violento della vita. (Da “Maria donna coraggiosa”)

martedì 18 novembre 2014

Vent'anni, tra certezze di burro e dubbi di marmo





Avere vent'anni, non è mica facile
ci vuole una vita per imparare
ci vogliono giorni passati a combattere
e lunghissime notti per recuperare

ci vuole una testa di legno, perché inciampare è più facile
ed un cuore di stagno da rimodellare
ci vogliono sogni più duri di un'incudine
perché la solitudine li può schiacciare

Al fratello che non ho
potrei spiegare mille trucchi per soffrire meno
il fratello che non ho
almeno non farebbe come me

Chissà se anche mio padre mi vedeva così
perso in inutili battaglie con nemici invisibili
e se capiva e non poteva dirmi
"vivile almeno tu, queste angosce magiche che non tornano più"
ma dico:

avere vent'anni non sarà mica semplice
ci sono troppi minuti da non sprecare
ci sono certezze di burro che resistono ai secoli
e tanti dubbi di marmo da sgretolare

Al fratello che non ho
potrei spiegare mille trucchi per soffrire meno
il fratello che non ho
almeno non farebbe come me.

venerdì 31 ottobre 2014

Preghiera

Signore, tu ci chiami a seguirti, ti rivolgi a ognuno di noi, ma noi abbiamo paura.
Tu ci mandi in tutto il mondo e noi mettiamo il catenaccio alle nostre porte.
Tu ci spingi a mettere il largo e noi ancoriamo la barca in porto.
Scuoti il torpore della nostra indifferenza.
Accendi nel nostro cuore il fuoco della tua audacia.
Apri le nostre orecchie alle grida dei fratelli: donaci fame e sete di giustizia.
Spingi i nostri passi sulle strade dove l'uomo lavora e ama, soffre e spera.
Insegnaci a cercarti con pazienza, donando a tutti la tua Parola.
Amen
Dom Helder Camara

mercoledì 22 ottobre 2014


"Voi chi dite che io sia?" (Mt 16, 15)
 
Carissimi giovani e ragazze, con grande gioia mi incontro nuovamente con voi in occasione di questa Veglia di preghiera, durante la quale vogliamo metterci insieme in ascolto di Cristo, che sentiamo presente tra noi. E' Lui che ci parla.
"Voi chi dite che io sia?". Gesù pone questa domanda ai suoi discepoli, nei pressi di Cesarea di Filippo. Risponde Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16). A sua volta il Maestro gli rivolge le sorprendenti parole: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16, 17).
Qual è il significato di questo dialogo? Perché Gesù vuole sentire ciò che gli uomini pensano di Lui? Perché vuol sapere che cosa pensano di Lui i suoi discepoli?
Gesù vuole che i discepoli si rendano conto di ciò che è nascosto nelle loro menti e nei loro cuori e che esprimano la loro convinzione. Allo stesso tempo, tuttavia, egli sa che il giudizio che manifesteranno non sarà soltanto loro, perché vi si rivelerà ciò che Dio ha versato nei loro cuori con la grazia della fede.
Questo evento nei pressi di Cesarea di Filippo ci introduce in un certo senso nel "laboratorio della fede". Vi si svela il mistero dell'inizio e della maturazione della fede. Prima c'è la grazia della rivelazione: un intimo, un inesprimibile concedersi di Dio all'uomo. Segue poi la chiamata a dare una risposta. Infine, c'è la risposta dell'uomo, una risposta che d'ora in poi dovrà dare senso e forma a tutta la sua vita.
Ecco che cosa è la fede! E' la risposta dell'uomo ragionevole e libero alla parola del Dio vivente. Le domande che Cristo pone, le risposte che vengono date dagli Apostoli, e infine da Simon Pietro, costituiscono quasi una verifica della maturità della fede di coloro che sono più vicini a Cristo.
2. Il colloquio presso Cesarea di Filippo ebbe luogo nel periodo prepasquale, cioè prima della passione e della resurrezione di Cristo. Bisognerebbe richiamare ancora un altro evento, durante il quale Cristo, ormai risorto, verificò la maturità della fede dei suoi Apostoli. Si tratta dell'incontro con Tommaso apostolo. Era l'unico assente quando, dopo la resurrezione, Cristo venne per la prima volta nel Cenacolo. Quando gli altri discepoli gli dissero di aver visto il Signore, egli non volle credere. Diceva: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò" (Gv 20, 25). Dopo otto giorni i discepoli si trovarono nuovamente radunati e Tommaso era con loro. Venne Gesù attraverso la porta chiusa, salutò gli Apostoli con le parole: "Pace a voi!" (Gv 20, 26) e subito dopo si rivolse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!" (Gv 20, 27). E allora Tommaso rispose: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20, 28).
Anche il Cenacolo di Gerusalemme fu per gli Apostoli una sorta di "laboratorio della fede". Tuttavia quanto lì avvenne con Tommaso va, in un certo senso, oltre quello che successe nei pressi di Cesarea di Filippo. Nel Cenacolo ci troviamo di fronte ad una dialettica della fede e dell'incredulità più radicale e, allo stesso tempo, di fronte ad una ancor più profonda confessione della verità su Cristo. Non era davvero facile credere che fosse nuovamente vivo Colui che avevano deposto nel sepolcro tre giorni prima.
Il Maestro divino aveva più volte preannunciato che sarebbe risuscitato dai morti e più volte aveva dato le prove di essere il Signore della vita. E tuttavia l'esperienza della sua morte era stata così forte, che tutti avevano bisogno di un incontro diretto con Lui, per credere nella sua resurrezione: gli Apostoli nel Cenacolo, i discepoli sulla via per Emmaus, le pie donne accanto al sepolcro... Ne aveva bisogno anche Tommaso. Ma quando la sua incredulità si incontrò con l'esperienza diretta della presenza di Cristo, l'Apostolo dubbioso pronunciò quelle parole in cui si esprime il nucleo più intimo della fede: Se è così, se Tu davvero sei vivo pur essendo stato ucciso, vuol dire che sei "il mio Signore e il mio Dio".
Con la vicenda di Tommaso, il "laboratorio della fede" si è arricchito di un nuovo elemento. La Rivelazione divina, la domanda di Cristo e la risposta dell'uomo si sono completate nell'incontro personale del discepolo col Cristo vivente, con il Risorto. Quell'incontro divenne l'inizio di una nuova relazione tra l'uomo e Cristo, una relazione in cui l'uomo riconosce esistenzialmente che Cristo è Signore e Dio; non soltanto Signore e Dio del mondo e dell'umanità, ma Signore e Dio di questa mia concreta esistenza umana. Un giorno san Paolo scriverà: "Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (Rm 10, 8-9).
3. Nelle Letture dell'odierna Liturgia troviamo descritti gli elementi di cui si compone quel "laboratorio della fede", dal quale gli Apostoli uscirono come uomini pienamente consapevoli della verità che Dio aveva rivelato in Gesù Cristo, verità che avrebbe modellato la loro vita personale e quella della Chiesa nel corso della storia. L'odierno incontro romano, carissimi giovani, è anch'esso una sorta di "laboratorio della fede" per voi, discepoli di oggi, per i confessori di Cristo alla soglia del terzo millennio.
Ognuno di voi può ritrovare in se stesso la dialettica di domande e risposte che abbiamo sopra rilevato. Ognuno può vagliare le proprie difficoltà a credere e sperimentare anche la tentazione dell'incredulità. Al tempo stesso, però, può anche sperimentare una graduale maturazione nella consapevolezza e nella convinzione della propria adesione di fede. Sempre, infatti, in questo mirabile laboratorio dello spirito umano, il laboratorio appunto della fede, s'incontrano tra loro Dio e l'uomo. Sempre il Cristo risorto entra nel cenacolo della nostra vita e permette a ciascuno di sperimentare la sua presenza e di confessare: Tu, o Cristo, sei "il mio Signore e il mio Dio".
Cristo disse a Tommaso: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 29). Ogni essere umano ha dentro di sé qualcosa dell'apostolo Tommaso. E' tentato dall'incredulità e pone le domande di fondo: E' vero che c'è Dio? E' vero che il mondo è stato creato da Lui? E' vero che il Figlio di Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto? La risposta si impone insieme con l'esperienza che la persona fa della Sua presenza. Occorre aprire gli occhi e il cuore alla luce dello Spirito Santo. Allora parleranno a ciascuno le ferite aperte di Cristo risorto: "Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno".
4. Carissimi amici, anche oggi credere in Gesù, seguire Gesù sulle orme di Pietro, di Tommaso, dei primi apostoli e testimoni, comporta una presa di posizione per Lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino, per seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4). Non per caso, carissimi giovani, ho voluto che durante l'Anno Santo fossero ricordati presso il Colosseo i testimoni della fede del ventesimo secolo.
Forse a voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì! Una fedeltà da vivere nelle situazioni di ogni giorno: penso ai fidanzati ed alla difficoltà di vivere, entro il mondo di oggi, la purezza nell'attesa del matrimonio. Penso alle giovani coppie e alle prove a cui è esposto il loro impegno di reciproca fedeltà. Penso ai rapporti tra amici e alla tentazione della slealtà che può insinuarsi tra loro.
Penso anche a chi ha intrapreso un cammino di speciale consacrazione ed alla fatica che deve a volte affrontare per perseverare nella dedizione a Dio e ai fratelli. Penso ancora a chi vuol vivere rapporti di solidarietà e di amore in un mondo dove sembra valere soltanto la logica del profitto e dell'interesse personale o di gruppo.
Penso altresì a chi opera per la pace e vede nascere e svilupparsi in varie parti del mondo nuovi focolai di guerra; penso a chi opera per la libertà dell'uomo e lo vede ancora schiavo di se stesso e degli altri; penso a chi lotta per far amare e rispettare la vita umana e deve assistere a frequenti attentati contro di essa, contro il rispetto ad essa dovuto.
5. Cari giovani, è difficile credere in un mondo così? Nel Duemila è difficile credere? Sì! E' difficile. Non è il caso di nasconderlo. E' difficile, ma con l'aiuto della grazia è possibile, come Gesù spiegò a Pietro: "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).
Questa sera vi consegnerò il Vangelo. E' il dono che il Papa vi lascia in questa veglia indimenticabile. La parola contenuta in esso è la parola di Gesù. Se l'ascolterete nel silenzio, nella preghiera, facendovi aiutare a comprenderla per la vostra vita dal consiglio saggio dei vostri sacerdoti ed educatori, allora incontrerete Cristo e lo seguirete, impegnando giorno dopo giorno la vita per Lui!
In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.
Carissimi giovani, in questi nobili compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie, ci sono le vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti di voi che nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di credere in Lui. Nella lotta contro il peccato non siete soli: tanti come voi lottano e con la grazia del Signore vincono!
6. Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr Is 21,11-12) in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.
Cari giovani del secolo che inizia, dicendo «sì» a Cristo, voi dite «sì» ad ogni vostro più nobile ideale. Io prego perché Egli regni nei vostri cuori e nell'umanità del nuovo secolo e millennio. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione.
Maria Santissima, la Vergine che ha detto «sì» a Dio durante tutta la sua vita, i Santi Apostoli Pietro e Paolo e tutti i Santi e le Sante che hanno segnato attraverso i secoli il cammino della Chiesa, vi conservino sempre in questo santo proposito!
A tutti ed a ciascuno offro con affetto la mia Benedizione.
Alla fine del suo discorso ai giovani, Giovanni Paolo II ha così proseguito:
Voglio concludere questo mio discorso, questo mio messaggio, dicendovi che ho aspettato tanto di potervi incontrare, vedere, prima nella notte e poi nel giorno. Vi ringrazio per questo dialogo, scandito con grida ed applausi. Grazie per questo dialogo. In virtù della vostra iniziativa, della vostra intelligenza, non è stato un monologo, è stato un vero dialogo.
Al termine della celebrazione il Papa ha salutato i giovani con queste parole:
C’è un proverbio polacco che dice: "Kto z kim przestaje, takim si? staje". Vuol dire: se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane. Così ritorno ringiovanito. E saluto ancora una volta tutti voi, specialmente quelli che sono più indietro, in ombra, e non vedono niente. Ma se non hanno potuto vedere, certamente hanno potuto sentire questo "chiasso". Questo "chiasso" ha colpito Roma e Roma non lo dimenticherà mai!

(XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ - Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000)
© Copyright 2000 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 8 ottobre 2014

"...io vigilo sulla mia parola per realizzarla"




Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Che cosa vedi, Geremia?". Risposi: "Vedo un ramo di mandorlo (shaqed)". Il Signore soggiunse: "Hai visto bene, poiché io vigilo (shaqad) sulla mia parola per realizzarla".
(Ger 1, 11-12)

Grazie Signore, che in questi anni hai vigilato su di me senza stancarti… Ho accolto la tua parola che sempre è stata ed è per me un fuoco che arde e tu mi hai ripagato con una fedeltà tollerante, paziente e piena di misericordia. Continua a vigilare su di me.. perché io diventi in modo più deciso, tua parola viva che illumina, riscalda e dà vita…

(Bologna 8 ottobre 1989 – 8 ottobre 2014: 25 anni di tenace vigilanza di Dio)

sabato 4 ottobre 2014

Che io possa avere la forza di cambiare le cose 
che posso cambiare, che io possa avere la pazienza
di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa 
avere soprattutto l'intelligenza di saperle distinguere. 
Tommaso Moro

Salmo 47 (46)

Questo Salmo è una specie di inno nazionale del popolo ebraico, in cui si celebra Jahweh come re d’Israele e del mondo.
Forse il Salmo 47 (46) è stato composto per un evento dell’epoca monarchica, unendo storia ed escatologia perché “il regno di Dio è in mezzo a voi” come dirà Gesù.
La liturgia cattolica usa questo Salmo nella celebrazione dell’ascensione di Cristo.
Il Salmo usa una simbologia musicale quando dice “applaudite… acclamate”, con riferimento all’applauso ritmico e al grido di gioia per la vittoria.
E’ una scena colma di suono, di voci, di felicità, che ha al centro Dio come re. L’accenno ai popoli circostanti sottolinea la signoria di Dio che farà convergere a Sion processioni di popoli da ogni angolo della terra.
Il Salmo 47 (46) è una pagina di fede, di entusiasmo, di speranza, che ci richiama le parole di Gesù: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).
Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio con voci di gioia;
perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
re grande su tutta la terra.
Egli ci ha assoggettati i popoli,
ha messo le nazioni sotto i nostri piedi.
La nostra eredità ha scelto per noi,
vanto di Giacobbe suo prediletto.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni;
cantate inni al nostro re, cantate inni;
perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sui popoli,
Dio siede sul suo trono santo.
I capi dei popoli si sono raccolti
con il popolo del Dio di Abramo,
perché di Dio sono i potenti della terra:
egli è l'Altissimo.

mercoledì 1 ottobre 2014

Per sempre!



C’è un istante che è rimasto ‘piantato’ per sempre nella tua vita? Un’immagine, una frase, una canzone, un’esperienza che ti ha fatto bene, che ti ha fatto fare un passo in avanti, superare una fatica, aprire una prospettiva, accogliere una persona con una sensibilità o un orizzonte molto diversi dai tuoi…?
Perché non condividi questo tuo istante nel blog? 

Scrivi a: giovani@domenicaneimeldine.it oppure commenta il post che ti ha ispirato!



Mio padre che mi spinge a mangiare
e guai se non finisco
mio padre che vuol farmi guidare
mi frena con il fischio
il bambino più grande mi mena
davanti a tutti gli altri
lui che passa per caso mi salva
e mi condanna per sempre
mio padre di spalle sul piatto
si mangia la vita
e poi sulla pista da ballo
fa un valzer dentro il suo nuovo vestito

Per sempre
solo per sempre
cosa sarà mai portarvi dentro solo tutto il tempo
per sempre
solo per sempre
c'è un istante che rimane lì piantato eternamente

E lei che non si lascia afferrare
si piega indietro e ride
e lei che dice quanto mi ama
e io che mi fido
e lei che mi toccava per prima
la sua mano bambina
vuole che le giuri qualcosa
le si gonfia una vena
e lei che era troppo più forte
sicura di tutto
e prima di andarsene mi dà il profilo
con un movimento perfetto

Per sempre
solo per sempre
cosa sarà mai portarvi dentro solo tutto il tempo
per sempre
solo per sempre
c'è un istante che rimane lì piantato eternamente
per sempre
solo per sempre

Mia madre che prepara la cena
cantando sanremo
carezza la testa a mio padre
gli dice vedrai che ce la faremo

Per sempre
solo per sempre
cosa sarà mai portarvi dentro solo tutto il tempo
per sempre
solo per sempre
c'è un istante che rimane lì piantato eternamente
per sempre
solo per sempre

lunedì 29 settembre 2014

Salmo 46 (45)

Per il suo splendore letterario e per la sua limpidità teologica, il Salmo 46 (45) ha sollecitato l’attenzione di molti studiosi che in quest’ode trionfale hanno cercato di identificare non solo lo spirito di fede nel Protettore divino ma anche l’intreccio tra storia ed escatologia, tra presenza di Dio in Gerusalemme e presenza cosmica, tra vittoria presente e vittoria definitiva.
Alcuni versetti sono come un’antifona che si ripete e rivela l’uso liturgico del Salmo.
I simboli di guerra e il riferimento alla “città di Dio – Gerusalemme” richiamano alla stabilità della fede che difende dalle tempeste della storia. L’intervento divino che “spezza” le armi, vuole infrangere le tentazioni che pongono fiducia nella potenza e nella violenza. Il contenuto del Salmo però va al di là di una dimensione storica terrena.
C’è un riferimento al giudizio divino, c’è anche il simbolo dell’acqua nel suo significato bivalente di distruzione caotica e di benessere e di pace.

Dio è per noi rifugio e forza,
aiuto sempre vicino nelle angosce.
Perciò non temiamo se trema la terra,
se crollano i monti nel fondo del mare.
Fremano, si gonfino le sue acque,
tremino i monti per i suoi flutti.
Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio,
la santa dimora dell'Altissimo.

Dio sta in essa: non potrà vacillare;
la soccorrerà Dio, prima del mattino.
Fremettero le genti, i regni si scossero;
egli tuonò, si sgretolò la terra.
Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro rifugio è il Dio di Giacobbe.
Venite, vedete le opere del Signore,
egli ha fatto portenti sulla terra.
Farà cessare le guerre sino ai confini della terra,
romperà gli archi e spezzerà le lance,
brucerà con il fuoco gli scudi.
Fermatevi e sappiate che io sono Dio,
eccelso tra le genti, eccelso sulla terra.
Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro rifugio è il Dio di Giacobbe.

sabato 20 settembre 2014

Salmo 45 (44)

Il Salmo 45 (44) può essere considerato un “cantico dei cantici” in miniatura, è l’unico esempio di lirica profana nel Salterio: non è una preghiera ma un canto di lode per un giovane re in occasione del suo matrimonio con la principessa di Tiro (v. 13). E’ un canto profano che contiene un’atmosfera di compostezza e di spiritualità. Tale composizione conclude il rituale solenne della benedizione nuziale. Il Salmo è stato rielaborato in chiave spirituale probabilmente già al suo ingresso nella collezione dei Salmi, riletto tradizionalmente dal giudaismo e dal cristianesimo in chiave messianica ed ecclesiale. Nella tradizione liturgica cristiana il Salmo 45 (44) si trasformerà in un carme dedicato a Maria, Madre del Messia.
Il poema si presenta come un dittico che raffigura i due personaggi principali, il re e la regina; è un quadro contenuto da una cornice in cui appare lo scriba-cantore e la benedizione di Dio.
Il Salmo è percorso da un’atmosfera di gioia e di bellezza, nella sua connessione biblica tra interiorità e corporeità e nel suo riferimento allo splendore divino.
Gli ultimi due versetti contengono una reinterpretazione del testo in senso universale, un senso più teologico che politico.

Effonde il mio cuore liete parole,
io canto al re il mio poema.
La mia lingua è stilo di scriba veloce.
Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo,
sulle tue labbra è diffusa la grazia,
ti ha benedetto Dio per sempre.
Cingi, prode, la spada al tuo fianco,
nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte,
avanza per la verità, la mitezza e la giustizia.
La tua destra ti mostri prodigi:
le tue frecce acute
colpiscono al cuore i nemici del re;
sotto di te cadono i popoli.
Il tuo trono, Dio, dura per sempre;
è scettro giusto lo scettro del tuo regno.
Ami la giustizia e l'empietà detesti:
Dio, il tuo Dio ti ha consacrato
con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali.
Le tue vesti son tutte mirra, àloe e cassia,
dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre.
Figlie di re stanno tra le tue predilette;
alla tua destra la regina in ori di Ofir.

Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
al re piacerà la tua bellezza.
Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui.
Da Tiro vengono portando doni,
i più ricchi del popolo cercano il tuo volto.
La figlia del re è tutta splendore,
gemme e tessuto d'oro è il suo vestito.
È presentata al re in preziosi ricami;
con lei le vergini compagne a te sono condotte;
guidate in gioia ed esultanza
entrano insieme nel palazzo del re.
Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai capi di tutta la terra.
Farò ricordare il tuo nome
per tutte le generazioni,
e i popoli ti loderanno in eterno, per sempre.



sabato 13 settembre 2014

Salmo 44(43)

Riprendiamo, dopo la pausa estiva, con la pubblicazione delle brevi presentazioni dei Salmi. Buona ripresa del lavoro, dello studio, della vita quotidiana a tutti!

Questo Salmo è la prima lamentazione comunitaria del Salterio, è l’esempio tipico di supplica collettiva di un popolo oppresso dal nemico. Dal Salmo sale l’antico e costante respiro di dolore degli Ebrei, perseguitati attraverso tutti i secoli, ma è anche la preghiera degli oppressi di tutti i tempi.
Punto di riferimento della preghiera e della speranza di liberazione è il passato, che in sé contiene le gesta salvifiche di Dio. Esso introduce nell’amaro presente, che si presenta umiliante e inspiegabile soprattutto sulla base della pietra di paragone del passato glorioso. Si apre poi un futuro di speranza, animato dalla certezza che Dio non può restare in eterno silenzioso e prima o poi interverrà.
Gli attori del Salmo sono sempre tre: è Dio, interpellato con il tradizionale “perché?”, è il noi collettivo dell’intera nazione sofferente, sono essi, i nemici, che in questo carme sono citati in modo meno forte del consueto, mettendo l’accento sull’intervento di Dio, intervento che qui sembra ritenuto debole e lontano. In una preghiera inserita nell’alone della storia della salvezza e dell’alleanza, è facile usare nei confronti di Dio parole che a noi sembrano ardite: “svegliati”, “alzati”, “non rigettarci sempre”.
Il simbolo principale in questo Salmo 44 (43) è quello militare, legato all’ideologia della guerra santa. Questo modo di concepire la signoria di Dio sulla storia, nella rilettura cristiana è da purificare da tutti i suoi aspetti teocratici e nazionalistici. Lo stesso salmo non invoca la vendetta sui nemici, la sua speranza si concentra sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. In questo spirito il salmo è vicino a un canto di fiducia e come tale può pienamente entrare nel repertorio delle invocazioni della Chiesa, pellegrinante nell’amarezza, nell’oscurità e nell’attesa.

Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
i nostri padri ci hanno raccontato
l'opera che hai compiuto ai loro giorni,
nei tempi antichi.
Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
per far loro posto, hai distrutto i popoli.
Poiché non con la spada conquistarono la terra,
né fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra
e la luce del tuo volto,
perché tu li amavi.

Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna,
e più non esci con le nostre schiere…

Tutto questo ci è accaduto
e non ti avevamo dimenticato,
non avevamo tradito la tua alleanza.
Non si era volto indietro il nostro cuore,
i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli
e ci hai avvolti di ombre tenebrose.

Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio
e teso le mani verso un dio straniero,
forse che Dio non lo avrebbe scoperto,
lui che conosce i segreti del cuore?
Per te ogni giorno siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello.

Svègliati, perché dormi, Signore?
Dèstati, non ci respingere per sempre.
Perché nascondi il tuo volto,
dimentichi la nostra miseria e oppressione?
Poiché siamo prostrati nella polvere,
il nostro corpo è steso a terra.

Sorgi, vieni in nostro aiuto;
salvaci per la tua misericordia.



mercoledì 10 settembre 2014

Beautiful (di Francesca Battistelli)





Non so come sia.. mi hai guardato
E hai visto la persona che avrei potuto essere
Risvegliare il cuore
Rompere il buio
Improvvisamente la Tua grazia

Come la luce del sole che brucia a mezzanotte
Rendere la mia vita qualcosa di così
Bello, bello
Mi hai raggiunto con la tua misericordia per salvarmi
Ho tutto quello che mi serve
Tu sei così
Bello, bello

Ora c'è una gioia dentro che non riesco a contenere
Ma anche i giorni perfetti possono finire nella pioggia
E anche se piove a dirotto
Ti vedo attraverso le nuvole
Splendere sul mio viso

Sono come un nulla..
Ma io ho appena iniziato a cambiare
per la Tua grazia

martedì 2 settembre 2014

Everything I Need (Kutless)




When every step is so hard to take
And all of my hope is fading away
When life is a mountain that I can not climb
You carry me, Jesus carry me.

You Are strength in my weakness
You are the refuge I seek
You are everything in me time of need
You are everything, You are everything I need

When every moment is more than I can take
And all of my strength is slipping away
When every breath gets harder me
You carry me, Jesus carry me

You Are strength in my weakness
You are the refuge I seek
You are everything in me time of need
You are everything, You are everything I need

I need You
You are everything I need
I love everything about You

You Are strength in my weakness
You are the refuge I seek
You are everything in me time of need
You are everything, You are everything I need

(Grazie a chi ci fornirà una buona traduzione!)

sabato 2 agosto 2014

Salmo 42-43 (41-42)

Per vari motivi di carattere letterario viene riconosciuta nei Salmi 42-43 un’unica e omogenea composizione. Uno di questi motivi è la ripetizione dell’identica antifona a metà e alla fine del Salmo 43 e alla fine del 44: “Perché ti rattristi, anima mia?...”, che risulta un raro esempio biblico di dialogo interiore e di introspezione psicologica.
Il Salmo 42-43 si apre all’improvviso con una comparazione, costruita su un’immagine e su un paesaggio di grande poesia: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così la mia anima anela a te o Dio”. Queste parole esprimono un desiderio vitale. Nel grido di dolore della cerva assetata il Salmista sembra riflettere la sua tragedia di esule, di isolato, di “scomunicato” da quella fonte di vita che è il tempio, forse nella circostanza della deportazione in Babilonia.
Il simbolo dell’acqua ricorre più volte nel Salmo 42-43: è segno di vita (nell’aspetto dissetante), segno di morte (acqua oceanica distruttrice) e infine ancora segno di fecondità con riferimento a Dio.
Il rito romano latino ha lungamente usato il solo Salmo 43 come preghiera d’introduzione alla liturgia eucaristica, a motivo della tensione che il salmo offre verso la celebrazione liturgica. Nella ripetizione dell’antifona-ritornello “Perché ti rattristi, anima mia?...”, nel Salmo si percepisce un crescendo che va dal ricordo del “santo monte” alla dimora di Dio, dall’altare a Dio stesso.
(42)
Come la cerva anela ai corsi d'acqua,
così l'anima mia anela a te, o Dio.
L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
quando verrò e vedrò il volto di Dio?
Le lacrime sono mio pane giorno e notte,
mentre mi dicono sempre: "Dov'è il tuo Dio?".
Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge:
attraverso la folla avanzavo tra i primi
fino alla casa di Dio,
in mezzo ai canti di gioia
di una moltitudine in festa.
Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
In me si abbatte l'anima mia;
perciò di te mi ricordo
dal paese del Giordano e dell'Ermon, dal monte Misar.
Un abisso chiama l'abisso al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.

Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

(43)
Manda la tua verità e la tua luce;
siano esse a guidarmi,
mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore.
Verrò all'altare di Dio,
al Dio della mia gioia, del mio giubilo.
A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio.
Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

martedì 29 luglio 2014

«Mi vergogno e vi chiedo perdono»


Naomi Levari è regista e produttrice teatrale e cinematografica. Diremmo che è israeliana se lei non preferisse dire che vive in Israele. Tre giorni fa, di fronte alla tragedia di Gaza, si mette davanti alla videocamera del computer e parla. Poi posta il tutto su Facebook e Youtube. Abbiamo tradotto il suo messaggio che è intraducibile senza il corpo che lo pronuncia, il suo respiro, le sue pause. Come Naomi, anche noi non possiamo – in ultima istanza – far niente per questa tragedia. Possiamo solo esserci col nostro corpo e col nostro respiro. Il video fa vedere che questo – che sembra niente – non è niente: è la sola cosa che può salvare noi e il mondo.
14 luglio 2014
Cara gente di Gaza,
Qualsiasi cosa stia per dire sembrerà priva di senso di fronte a ciò che state attraversando. Però al momento è l’unico strumento che ho – le mie parole. Mi chiamo Naomi Levari e vivo in Israele. Mi vergogno e vi chiedo perdono. Mi preoccupo per voi, piango per voi e soffro per le vostre perdite.
Questi sono giorni bui e so che questo non può consolarvi in alcun modo. Ma qualcuno di noi sta facendo tutto quello che può – che non è molto – per mettere fine a tutto questo: dimostrazioni, momenti pubblici, e nei nostri cuori stiamo chiedendo che le nostre preghiere siano ascoltate nel cielo al di sopra delle nostre anime. A voi non è più rimasta alcuna parola.
E io spero che tutto questo cambi presto. Mi appello ai governanti di Israele perché si comportino come persone responsabili, come leader, e che pongano immediatamente fine a questo spargimento di sangue. Ricordo al popolo di Israele che questo non è un videogame, che non ci sono vincitori e vinti, punteggi e classifiche: ci sono solo sconfitti. La gente continua a essere uccisa, le case ad essere distrutte, i sogni ad essere seppelliti. La società israeliana sta perdendo la sua tolleranza e sta diventando una banda di delinquenti.
L’unica cosa che possiamo fare è – ancora una volta – chiedervi perdono e usare tutti gli strumenti che abbiamo per fermare tutto questo. State al sicuro.

articolo tratto da bergmopost

sabato 26 luglio 2014

Salmo 41 (40)

Anche questo Salmo è diventato celebre nella riflessione cristiana, perché il v. 10 viene citato da Gesù a proposito del tradimento di Giuda: “Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno” (Gv 13,18).
Come in altri Salmi, il tema centrale del Salmo 41 (40) riguarda un malato grave che, consapevole della verità del dogma della retribuzione, si sente colpevole, ma anche ingiustamente colpito dai sarcasmi e dalla crudeltà di nemici e di amici traditori. La violazione dell’amicizia e dei rapporti di ospitalità è uno dei massimi delitti per l’Oriente.
Il Salmo inizia con una beatitudine-benedizione di tono diverso dal resto dell’intera composizione, la quale però ha anche una tonalità di ringraziamento, ed è comunque una lezione di umiltà e di fedeltà a Dio, di fiducia in Lui.
Il v. 14 è ritenuto la prima delle tradizionali dossologie finali (Amen, Alleluia) che chiudono i cinque libri in cui è stato diviso il Salterio da parte della tradizione giudaica, con riferimento ai cinque libri del Pentateuco.
Le dossologie successive si trovano in:
Sal 72,18-19 - Sal 89,53 - Sal 106,48 - Sal 150.

Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.
Io ho detto: "Pietà di me, Signore;
risanami, contro di te ho peccato".
I nemici mi augurano il male:
"Quando morirà e perirà il suo nome?".
Chi viene a visitarmi dice il falso,
il suo cuore accumula malizia
e uscito fuori sparla.
Contro di me sussurrano insieme i miei nemici,
contro di me pensano il male:
"Un morbo maligno su di lui si è abbattuto,
da dove si è steso non potrà rialzarsi".
Anche l'amico in cui confidavo,
anche lui, che mangiava il mio pane,
alza contro di me il suo calcagno.
Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami,
che io li possa ripagare.
Da questo saprò che tu mi ami
se non trionfa su di me il mio nemico;
per la mia integrità tu mi sostieni,
mi fai stare alla tua presenza per sempre.
Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele,
da sempre e per sempre. Amen, amen.


giovedì 24 luglio 2014

Conclusione



Continuiamo la pubblicazione dell’intervento di p. Timothy Radcliffe (12).

Bene, mi avvio alla conclusione dopo un’ultima riflessione. Imparare ad amare è un compito difficile. Non sappiamo dove ci porterà. La nostra vita ne sarà stravolta. Capiterà che ci faremo male. Sarebbe più facile avere cuori di pietra che cuori di carne, però allora saremmo morti! Se siamo morti non possiamo parlare del Dio della vita. Però come trovare il coraggio di vivere passando per questa morte e resurrezione? In ogni eucarestia ricordiamo che Gesù ha sparso il suo sangue per il perdono dei peccati. Questo non significa che doveva placare un Dio furioso. Né significa solamente che se sbagliamo possiamo andare a confessare i nostri peccati ed essere perdonati. Significa molto di più. Significa che, in ogni nostra battaglia per essere persone che amano e sono vive, Dio è con noi. La grazia di Dio è con noi nei momenti di caduta e di confusione, per metterci di nuovo in piedi. Nello stesso modo in cui con la domenica di Pasqua Dio ha convertito il venerdì santo in un giorno di benedizione, possiamo stare sicuri che tutti i nostri tentativi di amare daranno frutto. E perciò non abbiamo nulla da temere! Possiamo addentrarci in questa avventura, con fiducia e coraggio.


Concludiamo qui la pubblicazione di questo testo di p. T. Radcliffe: testo affascinante, su cui vale la pena ritornare, fermarsi e riflettere. Testo che ci invita ad avvicinarci all’Eucaristia con uno sguardo diverso, con una consapevolezza diversa, a partire anche dalla nostra umanità, dalla nostra corporeità. Buona riflessione ancora!
“In ogni nostra battaglia per essere persone che amano e sono vive, Dio è con noi!”