venerdì 30 novembre 2012

SABATO - Con Maria "Madre del bell’amore"

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Maria è la madre di Gesù e la sua prima discepola. Splendente di gloria per aver accolto e fatto fiorire nella vita di ogni giorno l’amore fedele di Dio, Maria ci tiene per mano e ci aiuta a generare anche noi Gesù per la salvezza del mondo! Ogni persona che si riconosca nella grande tradizione domenicana, ama teneramente Maria, tutto spera da lei e la invoca con il suo rosario, ricordando che il miglior modo per renderle onore consiste nell'imitarla e nel conformarsi sempre più a Gesù suo figlio.

giovedì 29 novembre 2012

GIOVEDI’ - Con Giocondo "apostolo dell’Eucaristia"

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Giocondo Lorgna sentiva fortemente l’Eucaristia come dono originalissimo di Gesù per restare in mezzo a noi nel segno del pane spezzato, della vita donata per amore.

La celebrazione dell’Eucaristia è il vero punto di partenza e il traguardo di ogni dinamica spirituale e apostolica della Chiesa (fons et culmen). La contemplazione del mistero eucaristico riscalda il cuore del discepolo e lo dispone più facilmente all’ascolto della Parola del Maestro e alla sua sequela.
Come Giocondo proviamo a prendere maggior coscienza della grandezza di questo dono e diventiamone apostoli e apostole!

lunedì 26 novembre 2012

MARTEDI’ - Con Domenico "uomo della Parola"

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La fede, ricordava San Paolo, “viene dall’ascolto” di Dio attraverso l’annuncio di chi lo ha incontrato.
Domenico che fu un grande annunciatore del Verbo di Dio, Padre di una grande famiglia di predicatori e predicatrici della Parola di verità, ci insegna che occorre essere assidui ascoltatori di Dio per annunciarlo efficacemente al prossimo (parlava con Dio e di Dio).
Con la lettura contemplativa della Sacra Scrittura – che egli definiva “libro della carità” – Domenico si metteva in atteggiamento di amoroso ascolto di Dio e con la predicazione, ne divenne il suo umile ministro.
Anche noi proviamo ad essere assidui ascoltatori di Dio mediante la lettura contemplativa della sua Parola perché possiamo accoglierlo nella nostra vita e annunciarlo umilmente anche ad altri.

Prossimamente seguiranno alcune proposte semplici di approccio alla Lectio.

SPIRITUAL-MENTE E CUORE, IN COSA CONSISTE?

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Quello che vogliamo presentare è un percorso di spiritualità, preghiera e accompagnamento pensato per giovani, e non solo, che comincerà in occasione dell’Avvento 2012.
È un itinerario calato nella spiritualità domenicano-imeldina e si propone di essere uno strumento di accompagnamento\approfondimento nella fede e nella preghiera.

Che cosa distingue questa spiritualità domenicano-imeldina? Pensiamo di poter identificare 4 momenti importanti:

Quest’ itinerario è stato allora così pensato:
1. il Martedì giorno dedicato a San Domenico, vir evangelicus et apostolicus , Uomo della Parola. Per questa giornata vorremmo proporre una semplice traccia\riflessione\preghiera per la Lectio Divina, così da avvicinare quanti più a questa modalità di preghiera, che parte dall’incontro diretto e dalla meditazione sulla Parola.
2. il Giovedì, giorno che ricorda l’istituzione dell’Eucaristia, saranno proposti pensieri, riflessioni, estratti dagli scritti di Padre Giocondo, il fondatore della spiritualità imeldina, voluta da lui eucaristica, o dai testi del Magistero, o sulla figura della Beata Imelda.
3. il Sabato, giorno che ricorda il nostro amore a Maria e il suo patrocinio sull’Ordine domenicano; saranno proposte meditazioni per il rosario, brevi spunti di riflessione sulla nostra Mamma del cielo.
4. Domenica, giorno del Signore e della comunità “virtuale”. Siamo chiamati ad essere noi protagonisti di questa giornata proponendo una sintesi di quello che più ci ha colpito della settimana o una riflessione sulla liturgia domenicale.

Questa modesta proposta sarà più piacevole e ricca se vi si parteciperà attivamente, ogni contributo sarà accolto con gioia! Non resta quindi che commentare i post o contattarci personalmente per un approfondimento agli indirizzi giovani@domenicaneimeldine.it o domenicaneimeldine@gmail.com .

RIFLESSIONE BIBLICA SULL'INCONTRO GIOVANI 24\25 NOVEMBRE (A CURA DI SR. LORENZA ARDUIN)

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GUARDA CON GLI OCCHI DI UN ALTRO E SCOPRI
COSA VUOL DIRE ESSERE FRATELLI

 

Negli incontri promossi dai Giovani Domenicani Imeldini e proposti ad altri giovani, si è scelto di inserirsi nelle riflessioni contestuali all’Anno della Fede servendosi di alcuni film o cartoni più o meno conosciuti e di personaggi che riconosciamo come testimoni della fede.

In questo week end il filo conduttore della nostra riflessione comunitaria lo vogliamo riconoscere nel film di animazione “Koda fratello orso”.(1)
In esso ci è proposta una storia in cui la ricerca di una piena umanità passa attraverso un percorso di spogliazione dell’umanità stessa per assumerne il vero senso e il vero compimento: il dono di sé per amore.

Questo cammino di maturazione attraverso la spogliazione compiuto dal giovane Kenai per prendersi cura del piccolo orso Koda è cristianamente molto significativo e trova la sua massima espressione in Gesù e nel mistero della sua Incarnazione.

La Scrittura, e in modo particolarmente efficace la lettera di Paolo ai Filippesi(2), ci ricorda che:

(Cristo Gesù) pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso(3) assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.

 

Gesù è il Verbo del Padre, il suo Figlio unigenito, della stessa natura e dignità divina del Padre, incarnatosi per far sì che nello Spirito Santo l’umanità fosse resa partecipe della natura divina.(4)

Inoltre Gesù, in forza della sua originaria uguaglianza con Dio, avrebbe potuto rivendicare un’esistenza umana gloriosa. Ha scelto, invece, di condividere la condizione umana restando, nella umiliazione della morte, fedele a Dio.

Il dinamismo della kenosis e cioè dello svuotamento-abbassamento del Verbo di Dio ha due movimenti: il prendere la forma umana e il morire sulla croce nell’obbedienza amorosa alla volontà del Padre.

Fin qui è impressionante la somiglianza tra la vicenda di kenai (notiamo anche se un po’ forzatamente… l’assonanza tra il termine kenosis e il nome Kenai) che diventa adulto nel dare tutto se stesso per amore e quella di Gesù incarnato, morto e risorto!

La vicenda di Kenai bellissima e commovente.. ha il suo esito nel vivere nella pelle dei suoi nuovi fratelli orsi per prendersi cura del piccolo Koda: il totem dell’orso dell’amore è stato attuato!

Gesù, il Figlio di Dio si è messo nella nostra pelle… “ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”.(5)

Gesù ha vissuto il suo “totem dell’amore” sia mettendosi nella nostra pelle perché potessimo conoscere l'amore di Dio,(6) ma soprattutto morendo per noi!

Solo così ha potuto far nascere una nuova famiglia di fratelli e sorelle, la famiglia di Dio. In Cristo siamo “una sola famiglia,…comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell'unica lode della Trinità santissima (…)”. (7)

Ancora Paolo ce lo ricorda: in Cristo Gesù noi che un tempo eravamo i lontani siamo diventati i vicini grazie al sangue di Cristo (Ef 2, 11).

E ancora: “(…) avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!". Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.” (Rm 8,15)

Fratelli perché figli nel Figlio. Gesù figlio unigenito, figlio per natura, noi figli e fratelli per grazia, gratuitamente generati grazie alla sua morte e risurrezione.

Come umani tendiamo a vivere insieme: è un’esigenza della nostra natura quella della vita sociale. Attraverso il rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli, l'uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla propria vocazione di uomo. (8)[Cf ibid., 25].

Ma l’essere fratelli in Cristo, cioè nella fede in Gesù, ci pone in una relazione totalmente nuova perché ci pone in una relazione totalmente nuova con Dio che non è solo il nostro Creatore ma diventa anche il nostro Padre. Questa nuova relazione è la Chiesa.

La Chiesa è la comunione di Dio e degli uomini: unita al Figlio unico diventato “il primogenito di molti fratelli” (Rm 8,29), essa è in comunione con un solo e medesimo Padre, in un solo e medesimo Spirito Santo mediante il quale siamo un cuor solo e un'anima sola” (At 4,32 ).(9)

Essendo fratelli di Cristo, perché figli nel Figlio, possiamo accogliere la sua vita in noi, trasformarci progressivamente in lui e diventare capaci di vivere come lui ha vissuto: (10) guardare con i suoi occhi, donarci con il suo stesso cuore fino a dare la vita come Lui.

Vivendo nella “nuova pelle” di battezzati, come figli adottivi abbiamo in eredità tutto quanto ci è necessario per vivere come Gesù la vita dello Spirito: la Parola e i sacramenti, soprattutto il sacramento della trasformazione, l’Eucaristia e il materno accompagnamento di Maria, la  madre a cui siamo stati affidati!(11) Abbiamo il sostegno dell’esempio e dell’intercessione dei santi…!

In questa comunione reale con Gesù, vivendo la sua stessa vita, potremo davvero guardare con gli occhi uno dell’altro perché possiamo imparare a guardare con i suoi occhi e concretamente aiutarci nel viaggio verso "la montagna dove le luci toccano la terra" quando Dio sarà tutto in tutti!(12)

Sr Lorenza Arduin
(Villa Imelda, 24 novembre 2012)

 

 

(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Koda,_fratello_orso

(2) Filippesi 2, 4 ss.

(3)IS , 12: Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.

(4) cf. Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 2.

(5) Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22.

(6) Così nella Scrittura leggiamo: “In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui” (1Gv 4,9). “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

(7) Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 50.

(8) Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1879.

(9) CCC 2790.

(10) Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma dandogli la capacità di seguire l'esempio di Cristo. Lo rende capace di agire rettamente e di compiere il bene. Nell'unione con il suo Salvatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, la santità. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo. CCC 1709.

(11) Gv 19, 25.

(12) 1Cor 15, 28.

MATERIALE PER LA RIFLESSIONE DELL'INCONTRO DEL 24\25 NOVEMBRE (A CURA DI SR. LUISA CARRARO)

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Pierre Claverie,
una vita donata,
per Dio e l'Algeria

Le presenti pagine vorrebbero offrire una prima rilettura di questa eccezionale vita e presentare alcuni dei maggiori aspetti del suo pensiero, facendo il più possibile riferimento a citazioni di scritti o lettere che egli ha lasciato (la maggior parte delle citazioni sono tratte da “Lettres et messages d'Algérie”, Karthala, 1996; e da "La vie spirituelle", n.721, ott. 97).

fr. Jean-Jacques Pérennès, OP
in Ricordo di Pierre Claverie, a cura di Enrico Ferri, CUEN, 2000, pp.19-39

Pierre Claverie, figlio dell'Algeria coloniale
Pierre Claverie è un figlio del Mediterraneo. Nacque a Bab el Oued nel maggio del 1938, in una famiglia di "pieds-noirs" stabilitasi in Algeria. I suoi vivevano ad Algeri ed avevano due figli: Pierre e Anne-Marie, sua sorella. Costituivano una famiglia molto unita, felice, che Pierre ricordò così il giorno dell'ordinazione episcopale: "Sono testimone di un amore di più di quarant'anni che unisce due esseri, i miei genitori, così diversi e così vicini, appoggiati l'uno all'altra, crescendo insieme, così uniti, così accoglienti. Siamo cresciuti nella fiducia di quest'amore che vigila con cura e perseveranza sulla felicità dell'altro, siamo cresciuti in questa straordinaria libertà che apriva sempre davanti a noi le porte della vita, ci spingeva ad entrarci con pazienza, con perseveranza, e ci accompagnava con una presenza affettuosa, esigente. Sì, l'amore esiste, è possibile, e io ho avuto la grazia di incontrarlo. E' la mia forza crederci adesso". Egli ne trarrà la capacità di guardare la vita con fiducia. Pierre manterrà dei legami molto stretti con i suoi, ritiratisi a Toulon dal 1962. Scriveva ogni domenica ai genitori una lettera intitolata "Buongiorno famiglia !", nella quale descriveva in dettaglio l'atmosfera della sua settimana. Era stato sempre una persona allegra, ottimista, stupendamente predisposta alle relazioni umane.
Secondo tratto notevole riguardo alla giovinezza di Pierre: era veramente figlio dell'Algeria coloniale, con tutto quanto ciò può significare. Ecco cosa scrive al riguardo: "Ho vissuto la mia infanzia ad Algeri, in un quartiere popolare di questa città mediterranea cosmopolita. A differenza di altri europei nati in campagna o in città piccole, non ebbi mai amici arabi; né alla scuola del quartiere, dove essi erano totalmente assenti, né al liceo, dove erano in pochi e la guerra d'Algeria cominciava a creare un clima esplosivo. Non eravamo razzisti, solo indifferenti, ignoravamo la maggior parte degli abitanti di questo paese. Essi facevano parte del paesaggio delle nostre gite fuori, della scenografia dei nostri incontri e delle nostre vite. Non furono mai compagni" ("La vie spirituelle", p.723).
Durante questa giovinezza algerina, Pierre incontra l'Ordine domenicano, tramite il gruppo scout del quale fa parte, la "Saint-Do". Rimarrà fedele fino alla morte a questi amici di gioventù ed era quasi l'unico che poteva parlare loro della nuova Algeria, del dialogo islamico-cristiano, del senso che c'era, per un cristiano, nel restare in questo paese della loro infanzia. In quest'ambiente cattolico assai tradizionale, Pierre percepisce il richiamo a un dono più profondo di sé, attraverso una vita religiosa o sacerdotale. Ne parla con suo padre, il quale gli consiglia di aspettare un paio d'anni prima di prendere una decisione e lo manda a Grenoble, affinché "viva la sua vita" e cominci gli studi di matematica-fisica-chimica. Pierre parlerà in seguito del suo progetto di vita religiosa come di un modo di "darsi fino in fondo". Si può indovinare quanta maturazione questo significava per lui, anzi, quanta scissione. Scriverà più tardi: "Forse perché ignoravo l'altro o negavo la sua esistenza, un giorno mi apparve improvvisamente davanti. Ha fatto esplodere il mio universo chiuso, che si è decomposto nella violenza - ma poteva andare diversamente? - ed ha affermato la propria esistenza. L'emergenza dell'altro, il riconoscimento dell'altro, l'aggiustamento all'altro sono diventati, per me, ossessioni. Sta probabilmente qui l'origine della mia vocazione religiosa. Mi sono chiesto perché, durante tutta la mia infanzia, essendo cristiano - non più di certi altri -, frequentando le chiese - come certi altri -, ascoltando dei discorsi sull'amore del prossimo, mai ho sentito dire che l'Arabo fosse il mio prossimo. Forse me l'avevano detto, ma non l'avevo sentito" (Humanité plurielle). Siamo dunque nel 1956-1957. Pierre lascia la sua Algeria natale per iniziare gli studi universitari in Francia. E' da lì che si apre una seconda dimensione che segnerà la sua esistenza: la vita domenicana.

"Dare la propria vita fino in fondo": la scelta della vita domenicana (1958-1965)
Una lettera ai genitori, del 1958, ci parla della sua decisione: "Se ho scelto il sacerdozio, scrive, è per darmi fino in fondo a qualcosa".
Quindi nel dicembre del 1958, Pierre entra nel noviziato di Lille, dove lo vediamo insieme allegro e serio. Le sue lettere ci raccontano le mille e una storielle del noviziato, dove a volte lo chiamano "sole in conserva", ma dove si dimostra anche veramente un uomo di preghiera. Ad Orano, ormai vescovo, qualunque fosse l'ora in cui, la sera prima, era tornato dai suoi giri, lo si poteva trovare ogni mattina in preghiera, nella cappella, in una concentrazione straordinaria. Quasi ricostruisse là le sue energie interiori, come testimonierà il suo vicario generale. Proprio alla porta di questa cappella decorata d'artigianato algerino, crollerà, lacerato dalla bomba che gli costerà la vita. Pierre è morto nello stesso luogo dove attingeva la sua forza di vivere, sul luogo della sua preghiera.
I suoi studi di filosofia e teologia si svolgono senza problemi. Pierre viene ordinato sacerdote il 4 luglio 1965 e già progetta di tornare in Algeria. Tempo dopo, reinterpretando le scelte della propria vita, vede in quella di tornare in Algeria l'esplicito desiderio di una scoperta dell'altro, quell'altro che aveva ignorato durante la sua infanzia coloniale: "...Ho dunque chiesto, dopo l'Indipendenza, di poter tornare in Algeria, per scoprire questo mondo nel quale ero nato, ma che avevo ignorato. Ed è qui che è iniziata la mia vera avventura personale - una rinascita. Scoprire l'altro, vivere insieme con l'altro, ascoltare l'altro, lasciarsi anche modellare dall'altro, non significa perdere la propria identità, rifiutare i propri valori, significa concepire un'umanità plurale, non esclusiva".

Imparare l'altro: gli anni ad Algeri (1967-1981)
Ad Algeri, Pierre Claverie raggiunge la piccola comunità domenicana di tre o quattro Padri, costituitasi all'indomani dell'Indipendenza, e che abita un appartamento nel centro della città. Pierre si getta subito nello studio della lingua araba e si iscrive ad un centro linguistico diretto da religiose libanesi. Impara la lingua, ma anche l'islamologia e la cultura araba. Finita questa formazione, andrà a vivere per un anno a Constantine, con Jean Scotto, grande figura della Chiesa d'Algeria.
Tornato ad Algeri, Pierre è nominato direttore del centro diocesano delle Glycines, in Algeri, nel 1972, quando Padre Henri Teissier diventa vescovo d'Orano. Il centro delle Glycines è come il cuore della diocesi d'Algeri: creato dopo l'Indipendenza, intorno alla biblioteca e all'équipe che anima l'antico Seminario Maggiore, questo centro mira ad aiutare la Chiesa a compiere la sua missione nella nuova Algeria. Dispone, a questo scopo, di vari mezzi: una scuola linguistica, dove vengono insegnati l'arabo dialettale e l'arabo classico; una biblioteca ben fornita riguardo a tutto quanto concerne il Maghreb e il mondo arabo; sessioni d'islamologia; una rassegna stampa mensile. Il tutto è gestito da un'équipe di una decina di religiosi e religiose, di varie congregazioni, della quale Pierre diventa presto animatore, un animatore efficace, ma anche molto cordiale, la cui porta era sempre aperta. Da vescovo, conserverà questa abitudine. Pierre si trovava là pienamente a suo agio: aiutando due mondi a capirsi, ad apprezzarsi, a rispettarsi. Pierre rimarrà alle Glycines fino alla sua nomina come vescovo d'Orano nel 1981. Furono veramente anni d'intenso lavoro, durante i quali Pierre elaborò e affinò in un certo modo i temi che saranno al centro del suo pensiero e del suo insegnamento in tutti gli anni successivi.
Però, per quanto fosse occupato, impiegò pure questi anni a coltivare l'amicizia, specialmente con un gran numero di amici algerini, presso i quali amava cenare la sera. Grandi dibattiti sull'evoluzione del paese, sull'Islam e il Cristianesimo, gioia di essere semplicemente insieme. Il giorno della sua ordinazione episcopale, Pierre parlò così ai numerosi amici algerini presenti alla cerimonia: "Fratelli e amici algerini, anche grazie a voi sono quello che sono. Anche voi mi avete accolto e sostenuto con la vostra amicizia. Vi devo la scoperta dell'Algeria, che era il mio paese, ma dove avevo vissuto da straniero tutta la mia gioventù. Insieme con voi, imparando l'arabo, ho soprattutto imparato a parlare e comprendere il linguaggio del cuore, quello dell'amicizia fraterna attraverso cui comunicano religioni e razze. Ancora una volta, ho la debolezza di credere che quest'amicizia sia più profonda delle nostre differenze... perché credo che questa amicizia venga da Dio e porti a Dio... Sarà certamente una follia credere ancora alla forza delle mani nude e della semplicità umana, ma al seguito di Gesù Cristo, ho la debolezza di credere che sia una forza" (era il 9 ottobre 1981!). I suoi amici musulmani gli fecero quel giorno nella cattedrale d'Algeri un'ovazione che i testimoni non dimenticheranno facilmente. Fra tutte le cose che Pierre ha costruito in Algeria, queste amicizie sono probabilmente la più solida e commovente. Hanno a che vedere con quell'"amore più forte della morte", di cui parlerà nelle sue ultime omelie. Questi suoi amici musulmani lo piangono quanto gli amici cristiani. In breve, furono gli anni del progressivo imparare l'altro, dell'aggiustamento all'altro, come dirà dopo.

Vescovo in terra d'Orano, un pastore vicino al suo popolo (1981-1996)
Pierre fu nominato vescovo ad Orano nel 1981, per succedere a Mons. Teissier, diventato vescovo coadiutore d'Algeri. Durante la cerimonia solenne d'ordinazione episcopale nella cattedrale di Algeri, Pierre trovò parole molto forti per dire quale senso assumeva ai suoi occhi: "La follia di Dio: è questa parola di San Paolo che mi viene in mente considerando la scelta che avete appena fatto, con l'aiuto dello Spirito Santo... La vostra unica scusa è quella di credere che lo Spirito possa manifestare la sua scelta tramite i giudizi umani, sempre infermi, e tramite gli eventi di una storia, sempre ambigua. Quella è la vostra scusa, ed è la mia unica forza. Ho la debolezza di credere che Dio agisca in noi con il suo Spirito, a patto che lo lasciamo fare, che lo accogliamo con cuore libero, senza contrazione e senza tensione, le mani aperte, con fiducia".
Eccolo dunque vescovo per 15 anni, durante i quali la situazione della Chiesa cattolica si indebolisce, partendo da uno stato giudicato all'inizio abbastanza sano. Nel 1981 il gregge era già ridotto a qualche centinaio di cristiani:

  • alcuni "pieds-noirs", spesso anziani, rimasti sul posto;

  • religiosi e religiose, spesso arrivati all'indomani dell'Indipendenza con la forte motivazione di partecipare alla costruzione della nuova Algeria, in settori diversi come l'insegnamento, l'impegno sociale, la formazione femminile;

  • studenti cristiani dall'Africa Nera, venuti in Algeria per proseguire i loro studi universitari;

  • poi, a seconda dei contratti industriali, gruppi di operai stranieri, filippini, egiziani, brasiliani, che lavoravano nel complesso d'idrocarburi d'Arzew, sul cantiere di una diga…

Tale era il popolo cristiano di cui Pierre era il vescovo, il legame di comunione, l'animatore. Gregge piccolo, certo, ma allegro e in fin dei conti al suo giusto posto nell'Algeria algerina, con la quale i rapporti erano chiari e cordiali. Di nuovo, aveva tutto un mondo di amici, tra i quali uno, il più vicino, era il suo "vicario generale musulmano", come diceva: un amico che vedeva ogni giorno e consultava quando voleva essere sicuro della reazione algerina di fronte a questa o quella iniziativa. E' così che seppe, in tempo, lasciare al Ministero della Cultura l'antica cattedrale e l'episcopato, diventati troppo grandi per i reali bisogni della Chiesa. In cambio, le autorità s'incaricarono del restauro di una chiesa e di un presbiterio, dove il vescovo e i permanenti della diocesi disponevano del necessario per vivere, lavorare e pregare. Quindi Pierre sviluppò, come ad Algeri dieci anni prima, numerosi legami d'amicizia, con gente d'ogni condizione, dalla donna delle pulizie ai professori dell'università. Ed è quest'intero mondo che partecipò al funerale di Pierre; una fra queste persone musulmane dichiarò pubblicamente quel giorno: "Pierre era il mio vescovo, il mio amico, mi ha insegnato ad amare l'Islam".
Pierre Claverie considerava il suo ruolo come un ministero di comunione confortando ciascuno, incoraggiando le persone nei momenti difficili, visitando i più isolati, mettendo in contatto i cristiani e la società algerina e, ovviamente, insegnando, perché questo era uno dei maggiori compiti del vescovo, compito al quale si dedicò fino in fondo. E' notevole quanto quest'uomo, capacissimo, si è mantenuto sul proprio terreno, accettando certo qualche conferenza o ritiro fuori dell'Algeria, in particolare nel Medio oriente (Egitto, Libano), o in Francia. Però, era innanzi tutto un vescovo in Algeria, poco propenso a disperdersi. Gli ultimi anni era diventato molto difficile farlo uscire dal paese: riteneva di dover rimanere al suo posto, soprattutto mentre i suoi preti e le sue religiose erano esposti a rischi.

Alcuni principali temi del pensiero di Pierre Claverie
Non si tratta in nessun modo di presentare in modo esaustivo il suo pensiero, non solo per limiti di spazio, ma anche perché un importante lavoro rimane da fare per riunire i testi dei suoi numerosi ritiri e conferenze. In assenza di un inventario più completo, possiamo accennare a tre temi che sembrano fondamentali nel suo pensiero:

L'aggiustamento all'altro
Si è detto prima quanto la riscoperta dell'altro, attraverso la figura dell'algerino musulmano, fosse stata una tappa essenziale nella vita di Pierre Claverie. Lui, figlio "pied-noir" dell'Algeria coloniale, nell'età della maturità fece una vera e propria riscoperta del proprio paese, dei suoi abitanti, della sua cultura; una specie di viaggio fra quegli "altri" che abitavano la sua stessa casa! "Una vera e propria avventura personale, una rinascita" scriverà. L'altro è diverso, e ciò si avverte particolarmente quando si è un ospite minoritario in casa degli altri, come la Chiesa d'Algeria, ospite "in casa dell'Islam", per citare un'espressione spesso usata da Henri Teissier. Qui, l'altro è innanzitutto musulmano; questa realtà fa avvertire profondamente la differenza nella percezione che ognuno ha dell'altro. Più ci si conosce, più ci si apprezza, e più questa differenza profonda, esistenziale, si fa presente, dolorosa. Come se ci fosse una fondamentale impossibilità dell'incontro vero. Qui, ovviamente, sto parlando solo degli uomini e delle donne, musulmani o cristiani, con intenzioni oneste, pacifiche. Ne consegue che l'incontro con altro è un'avventura; ci vuole tempo, pazienza, molto amore. Per esprimere questo lento lavoro, Pierre ha creato e spesso usato l'espressione "aggiustamento all'altro". Incontrare l'altro, conoscerlo per quello che, in verità, è; potere, a nostra volta, essere riconosciuti da lui, nella verità di quello che si è, senza semplificazioni, senza diminuzioni, senza volontà d'assimilazione: questa sì è un'avventura.
Nel caso dell'Algeria, diversi fattori rendono più complicato questo riconoscimento dell'altro: un passato coloniale con la Francia, con quanto significò di umiliazioni, di morti. E, oltre questa triste avventura coloniale, la complessa finzione che ognuno porta riguardo all'altro: dei cliché la cui memoria si è persa. Per l'uno, l'Occidente si limita alle Crociate e alle avventure coloniali; per l'altro, l'Islam è innanzitutto intolleranza e ferocia.
Tutto questo va affrontato interamente quando si sceglie davvero d'incontrare l'altro, in spirito di verità, senza imposture. Questo dimostra come per Pierre Claverie l'incontro con l'altro sia tutt'altro che una cosa facile: bisogna volerlo; bisogna lavorarci; per lui, è affare di una vita intera. Confesserà perfino di sentirsi qualche volta straniero malgrado tutto. Tanti ostacoli, un attentato razzista, una guerra del Golfo, possono di nuovo compromettere tutto, in questo lento e paziente lavoro d'approccio all'altro. "Non abbiamo ancora le parole per il dialogo, scrive; bisogna cominciare col vivere insieme, creare luoghi umani dove si mettano in comune le rispettive eredità culturali che fanno la grandezza di ognuno". Costruire questi luoghi di fraternità, grazie a tanti piccoli gesti quotidiani o ai grandi sogni condivisi: a questo si adoperò insieme a lui la Chiesa d'Algeria.
Redouane Rahal, amico intimo, scrive a proposito di Pierre Claverie: "Conosceva la religione musulmana dall'interno, senza mai darne una valutazione offensiva o retrograda, come facevano certi orientalisti. Sapeva mettere in evidenza i punti d'incontro. Nei suoi interventi (...) parlava con calore ed amore perché aveva fede nell'uomo". Un'altra amica, Oum el Kheir, esclama il giorno del funerale: "Amici, vi farò una confidenza: mio padre, mio fratello, il mio amico Pierre mi ha insegnato ad amare l'Islam, mi ha insegnato ad essere una musulmana amica dei cristiani d'Algeria. Ho imparato con Pierre che l'amicizia è innanzitutto la fede in Dio, è l'amore degli altri. Essere cristiani o musulmani veniva dopo...”. Bisognerebbe citare mille altre testimonianze o piccoli gesti magnifici di amici o sconosciuti che mostrano ogni giorno ai cristiani d'Algeria che la loro preoccupazione per il rispetto dell'altro è stata compresa e ha creato un clima possibile per l'incontro dell'altro.

Dialogo e ricerca della verità
Occorre capire bene come questa passione per il dialogo sia per Pierre Claverie tutt'altro che un'astuzia, un abile modo per ammansire, cancellare le differenze, o peggio ancora, riportarli a sé. Il dialogo è, fondamentalmente, un mezzo per ricercare la verità. "Nessuno possiede la verità, ciascuno la cerca; ci sono certamente delle verità obiettive, che, però ci sorpassano tutti e alle quali si può accedere solo dopo un lungo cammino, ricomponendola poco a poco, spigolando nelle altre culture, negli altri tipi d'umanità, ciò che gli altri hanno pure loro acquistato, cercato nel proprio cammino verso la verità. Io sono credente, credo che ci sia un Dio, ma non ho la presunzione di possedere questo Dio, né tramite Gesù che me lo rivela, né tramite i dogmi della mia fede. Non si possiede la verità e ho bisogno della verità degli altri". Alla luce di queste righe, si capisce meglio la sua concezione confidente ma esigente del dialogo: non si tratta solo di dialogo tra persone e religioni diverse, ma anche del dialogo delle culture e delle civiltà, di urgente attualità tra le due sponde del Mediterraneo.
"Ma, aggiunge ancora, basta guardare la mappa delle tensioni che attraversano i popoli per realizzare che le nostre religioni rimangono fermenti di divisione e di guerra piuttosto che di pace". Poi enumera le tante trappole di un dialogo mal compreso: uno scambio privo di reale reciprocità, per esempio, come accade spesso con le minoranze religiose; un dialogo di sole parole, che minimizza lo spessore esistenziale delle differenze. E Pierre menziona i pochi risultati del dialogo islamo-cristiano svoltosi nei grandi convegni ufficiali... A questo tipo di incontro, preferiva il dialogo paziente che si allaccia condividendo gioie e prove quotidiane, la vera fiducia che nasce quando ci si confronta insieme sulle stesse sfide.

Qualche anno dopo, in una conferenza a Lille, parlò delle esigenze di un vero dialogo.

-"Occorre prima il rispetto dell'altro”, il che non è sempre facile, a causa di "una storia difficile da assumere e di immagini sprezzanti dell'altro, sia dal lato musulmano sia cristiano".
-"poi, la convinzione che nessuno possiede la verità... Essendo cristiano, credo che Gesù manifesti la pienezza della verità di Dio e dell'uomo. Ma non possiedo il mistero di Gesù, che si svela alle nostre coscienze, da generazione in generazione, alla luce degli avvenimenti e dell'approfondimento delle nostre conoscenze... Così, gli altri possono avere una parte nel progressivo svelare la verità che intravediamo e verso la quale tendiamo, mentre porta lo stesso nome di Gesù Cristo, per noi cristiani". Intendiamoci, non si tratta qui di "concordismo" a buon mercato: si tratta invece di aprirsi a ciò che nella verità della vita altrui mi può aiutare a crescere nella mia stessa verità.
- terza e quarta condizione per il dialogo: guardare la storia in faccia e parlarsi in franchezza e verità. Da questo punto di vista, non c'era in Pierre la minima falsità, anche per denunciare i fanatismi ai quali la sua stessa Chiesa si era abbandonata nel passato.
Durante il forum delle comunità cristiane, ad Angers nel 1994, dirà: "La parola-chiave della mia fede è oggi il dialogo, non per tattica o opportunismo, ma perché il dialogo è costruttivo della relazione di Dio con gli uomini e degli uomini tra di loro.. Possa l'altro, possano tutti gli altri essere la passione e la ferita tramite le quale Dio potrà irrompere nelle fortezze della nostra presunzione per farà nascere una nuova e fraterna umanità" (Lettres et messages, pp.24-25).

Al seguito di Gesù
C'è in Pierre uno straordinario radicamento nella storia di Gesù, la storia della sua vita, della sua morte, la storia della sua vita donata: "Per proseguire la nostra missione di discepoli di Colui che ha dato la propria vita per noi tutti, noi abbiamo solo bisogno di ancorare in Lui la nostra speranza", scrive ne "Le lien", nel luglio 1990. "Non abbiamo altra ricchezza né altra ragione di vivere oltre Lui". Ho detto prima quanto Pierre Claverie fosse un uomo di Dio, un uomo di preghiera. Credo che col passare degli anni, e soprattutto nella tormenta degli ultimi anni, Cristo fu la sua roccia, il suo punto di riferimento fondamentale. Espresso senza sentimentalismo, con molta discrezione; piuttosto un'appartenenza fondamentale, che nulla può indebolire e dove tutto trova la sua fonte.
"In Gesù e per Lui, si realizza l'aggiustamento dell'uomo con Dio e con i suoi simili; senza questo aggiustamento, il mondo è spezzato e l'uomo diviso si fa boia per l'uomo. In Gesù si inaugura un mondo riconciliato. Egli viene a riaggiustare quanto era disfatto fisicamente, moralmente, spiritualmente. L'opera dello Spirito in Lui si manifesta quando i sordi sentono, i muti parlano, gli zoppi camminano, gli umiliati si rialzano, gli esclusi sono riconciliati. In ognuno la relazione giusta è ristabilita, nel corpo, nel cuore, con se stesso, con gli altri. Alla fonte c'è lo Spirito Santo che fa di ognuno un figlio di Dio" (Omelia a L'Arbresle, 1989). Gesù, qui, è il primo di tutti quelli che Dio chiama a questo lungo e paziente lavoro di riconciliazione, Colui che indica il cammino da seguire.
Questo cammino passa per la Croce, e Pierre ne parlava spesso: "Al seguito di Gesù, siamo inviati per essere servitori della Buona Novella della riconciliazione tra Dio e l'intera umanità. Questo ministero fa di noi dei mediatori, interamente dedicati a Dio e interamente dedicati al mondo, posti con Gesù laddove si ricongiungono la storia ed il regno di Dio. Ora questo luogo è una croce... Se siamo gli interpreti di un Dio d'amore e se questo Dio ci chiama ad essere gli apostoli di Gesù, siamo di fatto condotti, insieme a lui, sulla via della croce" (Omelia a Froidmont, 1990). Potete indovinare come la sua insistenza sulla croce nasca da una viva percezione della sfida che il mondo rivolge all'amore, alla possibilità di una riconciliazione. Nel 1995, dirà: "La passione di Gesù diventa la passione dell'apostolo. Passione per Dio e per l'umanità da strappare alle potenze di morte che la spezzano. Passione d'amore per l'opera di Dio che si compie tramite i nostri cuori, le nostre mani e le nostre intelligenze. Passione per il corpo di Cristo che è la Chiesa da costruire nell'Eucaristia e nelle incoerenze e contraddizioni della storia. Quando viene il tempo della miseria, viene anche il tempo della Passione, vissuta con Gesù, nel cuore delle fratture e delle violenze del mondo, senz'altra forza che quella di consegnare la propria vita, fino alla fine, nella fiducia nel Padre di ogni amore, affinché Egli compia la sua opera di risurrezione nella carne crocefissa. In questo momento, l'apostolo di Gesù assume e compie, con la sua perseveranza, il dono gratuito della propria vita" (Omelia a Sant'Ignazio, Parigi).
Un testo del genere evidenzia un ancoraggio radicale alla persona ed all'esperienza di Gesù, e porta naturalmente ad evocare l'ultima tappa della vita di Pierre Claverie, quella del dono della propria vita.

Verso un dono totale della propria vita
In un certo modo, furono l'aggravamento della situazione politica del paese e la maggiore fragilità dei cristiani che spinsero Pierre Claverie a rendere sempre più pubbliche le sue convinzioni. All'uscita del suo libro “Lettres et messages d'Algérie”, confesserà ad un amico: "Questo libro è una svolta nella mia vita.” Una svolta nel senso che Pierre moltiplicherà conferenze e schieramenti pubblici, accettando interviste alla radio e alla televisione. Davanti all'estremo pericolo che inghiottiva l'Algeria e tutte le cose per le quali lui e tanti altri avevano vissuto, Pierre Claverie scelse di parlare, di esprimere il fondo delle sue convinzioni, e, se ce ne fosse stato il bisogno, di "dare la propria vita", come scrisse all'indomani dell'assassinio di fra Henri Vergès e di suor Paule-Hélène (i primi religiosi cristiani assassinati).
Quando, ad esempio, gli veniva fatta la domanda: "Perché rimanete?".. "Perché non aspettare giorni migliori, perché esporsi inutilmente? Perché non conservarsi per il futuro?". A questa domanda, mille volte ripetuta, rispondeva: "Noi siamo qui a causa di questo Messia crocifisso. A causa di niente e di nessun altro! Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere... Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù, perché è lui che sta soffrendo qui, in questa violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia d'innocenti. Come Maria, come San Giovanni, noi siamo qui, sotto la croce dove Gesù muore, abbandonato dai suoi, deriso dalla folla. Non è essenziale per un cristiano essere qui, nei luoghi di sofferenza, nei luoghi di scoraggiamento, di abbandono?" (Omelia di Prouilhe, alla "Saint-Do", luglio 1996). E aggiungeva, con grande forza nella voce: "Dove sarebbe la Chiesa di Gesù Cristo, Corpo stesso di Cristo, se non fosse prima qui? Credo che muoia quando non è abbastanza vicina alla croce di Gesù. Per quanto paradossale possa sembrare, e San Paolo lo mostra bene, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità cristiana, la fecondità della Chiesa vengono da là. Da nessun'altra parte, né in nessun altro modo. Tutto, tutto il resto è solo polvere negli occhi, illusione mondana. Si sbaglia, la Chiesa, ed inganna il mondo, quando si pone come una potenza fra le altre, un'organizzazione, pure umanitaria, o come movimento evangelico da gran spettacolo. Può brillare, ma non brucia del fuoco dell'amore di Dio, "forte come la morte" dice il Cantico dei Cantici. Perché qui, si tratta d'amore e di solo amore. Una passione per la quale Gesù ci ha dato gusto e ha disegnato la via".
La seconda cosa che porterà Pierre Claverie ad esprimersi gli ultimi mesi, in modo qualche volta molto aspro, sono i vigliacchi assassinii di religiose e preti cattolici, la maggior parte dei quali aveva passato tutta la vita al servizio degli algerini. Pierre Claverie conosceva fin troppo bene la complessità delle situazioni e il prezzo di una presenza cristiana in tale situazione: "Che abominevole vigliaccheria da parte di questi uccisori dell'ombra! Che prendano me come bersaglio, questo lo capirei.. essendo vescovo, forse rappresento agli occhi di certe persone un'istituzione aborrita o pericolosa. Sono un responsabile, ho sempre pubblicamente difeso quanto mi pareva giusto, vero, che favoriva la libertà, il rispetto delle persone, specialmente i piccoli e in posizione minoritaria. Ho militato per il dialogo e l'amicizia tra genti, culture, religioni. Tutto ciò merita la morte e sono pronto ad assumerne il rischio.. Ma attaccare fra Henri o suor Paule-Hélène, io non capisco" (testo del 1994, "La vie spirituelle", p.765). Ho riflettuto molto su queste ultime parole e sul clima, molto particolare, del mio ultimo incontro con Pierre, qualche mese prima dalla sua morte. In nessun modo l'ha cercata: sono assolutamente certo su questo punto; ma sono anche convinto che a un certo punto ha percepito che ciò sarebbe potuto accadere come una probabile conseguenza delle sue convinzioni, nella tormenta assassina che portava via l'Algeria. Un po' al modo di Gesù, del quale i Vangeli ci dicono avesse "il viso risolutamente rivolto verso Gerusalemme", Pierre ha scelto di non sviare dalla propria missione, a dispetto dei consigli di prudenza dell'uno o l'altro. Ha rifiutato di scappare, non senza angoscia.
Questa scelta, che appartiene al martirio, era conforme al senso che aveva dato alla sua vita, nelle circostanze attraversate dall'Algeria. Tante volte, parlerà delle linee di frattura: "Gesù è morto lacerato tra cielo e terra, le braccia distese per radunare i figli di Dio dispersi dal peccato che li separa, li isola e li drizza gli uni contro gli altri e contro Dio stesso. Si è posto sulle linee di frattura nate da questo peccato. Squilibri e rotture nei corpi, i cuori, gli spiriti, le relazioni umane e sociali hanno trovato in Lui guarigione e riconciliazione perché li prendeva con se stesso. Colloca i suoi discepoli su queste stesse linee di frattura con la stessa missione di guarigione e riconciliazione. La Chiesa compie la sua vocazione e missione quando è presente nelle rotture che crocifiggono l'umanità nella sua carne e nella sua unità. In Algeria, siamo su una di queste linee sismiche che attraversano il mondo.. Islam-Occidente, Nord-Sud, ricchi-poveri. Siamo qui al nostro posto, perché qui si può intravedere la luce della Risurrezione e insieme a lei, la speranza di un rinnovamento del mondo" ("Rester ? Partir?", Le Lien, febbraio 1995).

DOPO L'EVENTO....

DOPO L'EVENTO

Ci stiamo prendendo proprio gusto! Anche questo secondo appuntamento bolognese della serie d'incontri "Figli del Re" si è svolto in un bel clima di amicizia arricchito dalla presenza di nuovi amici!

Insieme ci siamo sorpresi di come un cartone Disney (Koda fratello orso) ci abbia aiutato ad approfondire e a gustare alcuni aspetti della fede cristiana che magari tenevamo in modo un po' asfittico in qualche cassetto dei ricordi…

Particolarmente attuale e che ha molto da insegnarci sul dialogo interreligioso la figura di Pierre Claverie che ci ha lasciato il desiderio di vedere l'altro con più considerazione in ordine alla ricerca della verità anche su Dio.

La densità dei momenti vissuti insieme avrebbe esigito maggior tempo per sedimentare, ma abbiamo dovuto concentrare il tutto in un pomeriggio - tarda serata perché la maggior parte di noi non poteva fermarsi oltre, ma la nostra condivisione in attesa di ritrovarci vogliamo continui attraverso questo blog! Quindi... a presto!

 

Materiali per la riflessione:

giovedì 22 novembre 2012

PROMO SECONDO INCONTRO "FIGLI DEL RE"

Come già per il primo incontro, ecco qui un video di introduzione al secondo incontro del percorso " Figli del Re".

Questo week-end ci si troverà per condividere un po' di fraternità. Cosa vuol dire essere fratelli? Una domanda semplice, chi non ne ha un'idea, ma forse, in una società che va sempre più verso l'indifferenza è interessante fermarsi per condividere i desideri, le attese, le idee riguardo il sentirsi fratelli, figli di uno stesso Re, coeredi del Primogenito e di tutti gli altri.
Ancora una volta saremo accompagnati da un "fratello maggiore" nella fede.

Ti aspettiamo!
Guarda il video:

venerdì 16 novembre 2012

ALBERTO MAGNO 1206 - 1280


"Insegnami signore ad affondare le radici nel cielo e non nella terra, affinché sia trovato fedele non nel fogliame delle parole ma nei frutti di opere buone"





Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza. 
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l'oro al suo confronto è come un po' di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l'argento.
L'ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Ho gioito di tutto ciò, perché lo reca la sapienza,
ma ignoravo che ella è madre di tutto questo.
Ciò che senza astuzia ho imparato, senza invidia lo comunico,
non nascondo le sue ricchezze.
Ella è infatti un tesoro inesauribile per gli uomini;
chi lo possiede ottiene l'amicizia con Dio,
è a lui raccomandato dai frutti della sua educazione.
Egli stesso mi ha concesso la conoscenza autentica delle cose,
per comprendere la struttura del mondo e la forza dei suoi elementi,
il principio, la fine e il mezzo dei tempi,
l'alternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni,
i cicli dell'anno e la posizione degli astri,
la natura degli animali e l'istinto delle bestie selvatiche,
la forza dei venti e i ragionamenti degli uomini,
la varietà delle piante e le proprietà delle radici.
Ho conosciuto tutte le cose nascoste e quelle manifeste,
perché mi ha istruito la sapienza, artefice di tutte le cose.
Sapienza 7,7-14.17-21


L'ufficio delle Letture dei Predicatori prevede questa come prima lettura: quali parole più appropriate per la festa di San Alberto, un uomo che seppe unire in sintesi armonica il sapere scientifico, filosofico e teologico, tanto da ricevere il titolo di doctor universalis.

NOTA STORICA
Giunge a Bologna un anno dopo la morte di San Domenico e acceso dalle prediche di Giordano di Sassonia decide di diventare domenicano. 
Inizia il suo apostolato a Colonia, all'epoca importante punto d'incontro delle grandi vie di comunicazione dei popoli del nord-ovest di Europa. Da subito i suoi sforzi intellettivi si inserirono nella problematica che cercava di adattare le teorie di Aristotele e Averroè al pensiero cristiano con la speculazione di Mosé Maimonide (condannate nel 1231 da Gregorio IX, favorevole al pensiero platonico-agostiniano). Introduce il metodo di combattere con le stesse armi (filosofia aristotelica) gli errori dei suoi avversari, contribuendo alla fondazione del procedimento comprensivo che ci porta a ritenere che ogni scienza umana sperimentale, per quanto oggettiva, non può prescindere dalla comprensione della mentalità e degli argomenti dei soggetti studiati. Insegnò in diversi centri in Germania e a Parigi nel 1245 fu maestro di Tommaso d'Aquino (vedi immagine a inizio pagina).
Grazie alla collaborazione con Tommaso poté accumulare una formazione enciclopedica di tendenza aristotelica a partire dai commenti su Dionigi Pseudo Areopagita e l'Etica Nicomachea.
Negli anni cinquanta insegnò in diverse attività universitarie, fu a capo del governo della provincia teutonica e si impegnò nell'arbitrare in conflitti cittadini.
Nel 1256 davanti ad Alessandro VI difese ad Agnani, con San Bonaventura, la causa degli ordini mendicanti contro gli attacchi di Guglielmo di Sant'Amore che rappresentava gli interessi dei secolari che si sentivano minacciati nelle cattedre dottorali, non potendo conciliare studio e povertà. Nel 1260, a 67 anni, per ordine del Papa, accettò l'episcopato di Ratisbona e riordinò la diocesi. Implorò dispensa da questa carica sognando la vita di convento: l'otterrà ma a patto che predicasse la crociata nei paesi di lingua tedesca. Trascorse il resto della sua vita insegnando a Colonia. Nel 1277 difese le tesi dei S. Tommaso nelle università francesi, messe in discussione dal vescovo di Parigi, S. Tempier.

ATTUALITA'
L'esempio di S. Alberto è di notevole importanza. Pio XII nel 1941 dice di lui: "Dio, che ha reso grande il vescovo S. Alberto nel ricercare l'armonia tra la sapienza umana e la verità rivelata, perché anche noi, illuminati dal suo insegnamento, attraverso il progresso scientifico possiamo crescere nella sua conoscenza e nel suo amore".
Il suo insegnamento vede la filosofia come scienza indipendente ma "ancillare" alla teologia, aprendo così la strada al metodo scolastico; contribuisce a riconoscere nelle scienze un mezzo efficace per vanificare certe immaginazioni speculative e confuse e considera le arti liberali indispensabili allo studio della Scrittura. E' fortemente convinto che fra scienza e fede c'è distinzione ma non contraddizione, l'osservazione e la sperimentazione hanno grande importanza.
Difende strenuamente l'aristotelismo di S. Tommaso; la sua vasta cultura latina, araba, ebraica gli diedero la possibilità di conciliare la corrente mistico-agostiniana e la corrente aristotelico-tomista.
Considerato uno dei costruttori dell'Europa del suo tempo, contribuendo a salvarne l'unità politica, ricordiamo le sue azioni di mediazione sociale e di arbitraggio nei conflitti.
"Va' tu stesso da Dio; ti sarà più utile che mandare tutti santi che sono in cielo". Così si esprimeva per sottolineare che nella ricerca del bene sociale e culturale l'importanza del rapporto diretto con Dio è insostituibile.


Per chi volesse, suggeriamo le letture proposte dalla Liturgia della Parola:
Sir 6, 18-21. 33-37
Gc 3,13-18
Sal 118
Mt 25, 14-23
Buona festa a tutti, soprattutto agli studenti!




venerdì 9 novembre 2012

2° incontro "FIGLI DEL RE" (incontri mensili per giovani)



Eccoci di nuovo qui per il 2° incontro Figli del Re!

E' il secondo appuntamento per giovani alla ricerca del senso dell'esserci e del rimanere... sulla scia di persone che hanno vissuto "alla grande" sulle orme di Gesù di Nazareth.

24-25 NOVEMBRE
(ritrovo sabato ore 16, fine prevista ore 16 di domenica)

GUARDA CON GLI OCCHI DI UN ALTRO

E SCOPRI COSA VUOL DIRE ESSERE FRATELLI

presso Villa Imelda 

via Lambertini 8 
Idice di San Lazzaro di Savena, BO

INFO: 

Laura 347 2632556
Suor Lorenza 348 9899852
giovani@domenicaneimeldine.it
( è gradita conferma )

CONTRIBUTO SPESE:
* puoi dare liberamente un contributo in base alle tue possibilità
* portare da casa la biancheria da camera

PROSSIMI INCONTRI:
- capodanno assieme 29 dicembe/1 gennaio
- 26/27 gennaio: " CHE COSA CERCATE?"
sempre presso la casa Villa Imelda

TI ASPETTIAMO!