domenica 7 giugno 2015

Questo è il mio corpo dato per voi



Questo è il corpo che io ho, ed è ciò che io sono, diventando più anziano, più pingue, perdendo i capelli, evidentemente mortale. Devo trovarmi a mio agio con il corpo degli altri, i belli e i brutti, i malati e i sani, i vecchi e i giovani, maschi e femmine. San Domenico fondò l’Ordine per salvare gli uomini dalla tragedia di una religione dualista, che condannava come cattivo questo mondo creato. Centrale alla nostra tradizione fin dall’inizio, è l’apprezzamento della corporeità. E’ qui che Dio viene ad incontrarci e a redimerci, divenendo un essere umano di carne e sangue come noi. Il sacramento centrale della nostra fede è la partecipazione al suo corpo; la nostra speranza finale è la risurrezione del corpo. Il voto di castità non è un rifugio dalla nostra esistenza corporale. Se Dio è divenuto carne e sangue, anche noi possiamo osare di fare lo stesso. Scopriamo ciò che significa per noi essere corporali in quel crescendo della vita di Gesù, quando ci offre il suo corpo: “Questo è il mio corpo, dato per voi”. Qui vediamo che il corpo non è solo un cumulo di carne, un fascio di muscoli, sangue e grasso. L’Eucarestia ci mostra la vocazione dei nostri corpi umani: divenire dono reciproco, la possibilità di comunione. Qui il corpo è visto nella sua profonda identità, non come un cumulo di carne, ma come un segno sacramentale di presenza… Il predicatore porta la Parola alla sua espressione non già mediante le parole, ma per mezzo di tutto ciò che noi siamo. La compassione di Dio cerca di divenire carne e sangue in noi, nella nostra tenerezza, perfino nel nostro volto. Nell’Antico Testamento, spesso troviamo la preghiera che il volto di Dio possa risplendere su di noi. Questa preghiera ha trovato una risposta definitiva nella forma di un volto umano, il volto di Cristo. Egli sofferma il suo sguardo sul giovane ricco, lo ama e gli chiede di seguirlo; sofferma il suo sguardo su Pietro, nell’atrio, dopo il suo tradimento; sofferma il suo sguardo su Maria Maddalena nel giardino e la chiama per nome. Come predicatori, in carne e sangue, possiamo dare corpo a quel compassionevole sguardo di Dio. La nostra corporeità non è esclusa dalla nostra vocazione. “L’uomo che è sia predicatore che fratello può imparare, soffrendo e probabilmente attraverso tanti diseguali progressi, ciò che significa essere un volto di Dio, precisamente nell’avere un volto umano, un volto che può sorridere, ridere, piangere e sembrare annoiato... E’ nell’intera nostra unicità e individualità, eternamente valida e desiderata da Dio, che noi siamo pure la rivelazione, la manifestazione, l’espressione di Colui che è l’Unico Verbo scaturito da tutta l’eternità dal silenzio di Dio”. La vera purezza di cuore non consiste nell’essere liberi dalla contaminazione di questo mondo. E’ più nell’essere pienamente presenti in ciò che facciamo e siamo, con un volto e un corpo che esprime noi stessi, al di là dell’inganno e della doppiezza. I puri di cuore non si nascondono dietro i loro volti, con fare guardingo. I loro volti sono trasparenti, non mascherati, con la nudità e la vulnerabilità di Cristo. Essi possiedono la sua libertà e spontaneità. “Solo chi ha un cuore puro, può sorridere in una libertà che crea libertà negli altri”. È strano che non ci venga bene parlare di questo, perché il cristianesimo è la più corporale delle religioni. Crediamo che è stato Dio a creare questi corpi e a dire che erano cosa molto buona. Dio si è fatto corpo fra di noi, essere umano come noi. Gesù ci ha dato il sacramento del suo corpo e ha promesso la resurrezione dei nostri corpi. Sicché dovremmo sentirci a casa nella nostra natura corporale, appassionata...  Dio si è incarnato in Gesù Cristo, ma forse noi stiamo ancora imparando ad incarnarci nei nostri stessi corpi. Dobbiamo scendere dalle nuvole! Il corpo non è solo una cosa che possiedo, sono io, è il mio essere come dono ricevuto dai miei genitori e dai loro prima di loro e, in ultima istanza, da Dio. Per questo quando Gesù dice «Questo è il mio corpo, offerto per voi» non sta disponendo di qualcosa che gli appartiene, sta passando agli altri il dono che lui è. Il suo essere è un dono del Padre che Egli sta trasmettendo. Avvicinarci al mistero dell’amore significa anche amare, persone concrete, alcune con amicizia, altre con profondo affetto (…). Nell’Ultima Cena Gesù prende il pane e lo dà ai discepoli dicendo: «questo è il mio corpo offerto per voi». Egli consegna se stesso. Invece di prendere il controllo su di loro, si consegna ai discepoli perché facciano di lui quello che vogliono. E noi sappiamo quello che ne faranno. È l’immensa vulnerabilità dell’amore vero. 
Timothy Radcliffe, domenicano

Nessun commento: