"FIGLI DEL RE" - SCOPRIRSI FIGLI E FRATELLI
(Bologna, Convitto MSL
– 29/30 settembre 2012)
L’insegnamento
e la testimonianza di Caterina da Siena
Cenni
biografici
Vergine e dottore
della Chiesa, patrona d'Italia e d'Europa
29 aprile
Siena, 25 marzo 1347 - Roma, 29 aprile 1380
Patronato: Italia,
Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99) - Etimologia: Caterina = donna pura, dal
greco
Emblema: Anello,
Giglio
Martirologio Romano: Festa di Santa Caterina
da Siena, vergine e dottore della Chiesa, che, preso l’abito delle Suore della
Penitenza di San Domenico, si sforzò di conoscere Dio in se stessa e se stessa
in Dio e di rendersi conforme a Cristo crocifisso; lottò con forza e senza
sosta per la pace, per il ritorno del Romano Pontefice nell’Urbe e per il ripristino
dell’unità della Chiesa, lasciando pure celebri scritti della sua straordinaria
dottrina spirituale.
Lo si dice oggi come una scoperta: "Se è
in crisi la giustizia, è in crisi lo Stato". Ma lo diceva già nel Trecento
una ragazza: "Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di
grazia senza la santa giustizia". Eccola, Caterina da Siena. Ultima dei 25
figli (con una gemella morta quasi subito) del rispettato tintore Jacopo
Benincasa e di sua moglie Lapa Piacenti, figlia di un poeta. Caterina non va a
scuola, non ha maestri. Accasarla bene e presto, ecco il pensiero dei suoi, che
secondo l’uso avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei
dice di no, sempre, anche davanti alle rappresaglie. E la spunta. Del resto
chiede solo una stanzetta che sarà la sua
“cella” di terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero).
“cella” di terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero).
La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di
dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. E tutti
amabilmente pilotati da lei. Li chiameranno “Caterinati”. Lei impara
faticosamente a leggere, e più tardi anche a scrivere, ma la maggior parte dei
suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a cuoiai e generali, a
donne di casa e a regine. Anche ai "prigioni di Siena", cioè ai
detenuti, che da lei non sentono una parola di biasimo per il male commesso.
No, Caterina è quella della gioia e della fiducia: accosta le loro sofferenze a
quelle di Gesù innocente e li vuole come lui: "Vedete come è dolcemente
armato questo cavaliero!". Nel vitalissimo e drammatico Trecento, tra
guerra e peste, l’Italia e Siena possono contare su Caterina, come ci contano i
colpiti da tutte le sventure, e i condannati a morte: ad esempio, quel
perugino, Nicolò di Tuldo, selvaggiamente disperato, che lei trasforma prima
del supplizio: "Egli giunse come uno agnello mansueto, e vedendomi,
cominciò a ridere; e volse ch’io gli facessi il segno della croce".
Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini
per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al
Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Parla chiaro ai vertici
della Chiesa. A Pietro, cardinale di Ostia, scrive: "Vi dissi che
desideravo vedervi uomo virile e non timoroso (...) e fate vedere al Santo
Padre più la perdizione dell’anime che quella delle città; perocché Dio chiede
l’anime più che le città". C’è pure chi la cerca per ammazzarla, a
Firenze, trovandola con un gruppo di amici. E lei precipitosamente si presenta:
"Caterina sono io! Uccidi me, e lascia in pace loro!". Porge il
collo, e quello va via sconfitto. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa
Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo
scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata
nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona
d’Italia con Francesco d’Assisi. E nel 1970 avrà da Paolo VI il titolo di
dottore della Chiesa.
La festa delle stigmate di S. Caterina è, per
il solo ordine domenicano, il 1° aprile.
Preghiera di Caterina alla SS.ma Trinità
Spirito
Santo, vieni nel cor mio,
per la
tua potenza trailo a te, Dio,
e a me
concedi carità con timore.
Guardami,
o Cristo, da ogni mal pensiero,
riscaldami
del tuo dolcissimo amore,
sì
ch’ogni peso mi pari leggero.
Santo
mio Padre e dolce mio Signore,
aiutami
sempre in ogni mio mestiero.
Cristo
amore, Cristo amore.
(Rocca D’Orcia, 1377)
Antologia
di testi del Dialogo
N. 134
Tu dicesti, Padre eterno, che per l'amore che
tu hai a le tue creature che hanno in loro ragione, che con l'orazione dei
servi tuoi, e col molto loro sostenere fatiche senza colpa, faresti
misericordia al mondo e riformaresti la santa Chiesa tua, e così ci daresti
refrigerio. (§ 15, 194ss.; (§ 129, 2250ss.; Oraz XII 165ss.) Perciò non
indugiare a vollere l'occhio della tua misericordia, ma risponde, poiché vuogli
rispondere prima che noi chiamiamo, con la voce della tua misericordia.
Apre la porta della tua inestimabile carità,
la quale ci donasti per la porta del Verbo. (Jn 10, 7) Sì, so io che tu apri
prima che noi bussiamo, poiché con l'affetto e amore che tu hai dato ai servi
tuoi, bussano e chiamano a te, cercando l'onore tuo e salvezza de l'anime.
Donalo' dunque il pane della vita, cioè il frutto del sangue de l'unigenito tuo
Figlio, il quale t'adimandano per gloria e loda del nome tuo e per salvezza de
l'anime. Poiché più gloria e loda pare che torni a te a salvare tante creature
che a lassarle ostinate e permanere nella durezza loro. A te, Padre eterno,
ogni cosa è possibile; poniamo che tu ci creasti senza noi, ma salvare senza
noi questo non vuogli fare. Ma pregoti che sforzi le volontà loro e dispongali
a volere quello che essi non vogliono. Questo t'adimando per la tua infinita
misericordia. Tu ci creasti di non nulla, Perciò, ora che noi siamo, facci
misericordia e rifà i vaselli che tu hai creati e formati a la imagine e
similitudine tua, e riformali a grazia (OrazXXVI) nella misericordia e nel
sangue del tuo Figlio (141v). -
N. 135
Allora il sommo ed eterno Padre con benignità
ineffabile volgeva l'occhio della sua clemenza inverso di lei, quasi volendo
mostrare che in tutte le cose la Provvidenza sua non manca mai a l'uomo, purché
egli la voglia ricevere, manifestandolo con uno dolce lagnarsi dell'uomo in
questo modo, dicendo: - O carissima figlia mia, sì come in più luoghi Io ti ho
detto, Io voglio fare misericordia al mondo e in ogni necessità provedere la
mia creatura che ha in sé ragione. Ma lo ignorante uomo piglia in morte quello
che Io do in vita, e così si fa crudele a se medesimo. (OrazVIII16ss.) Io
sempre proveggo, e fo a sapere a te che ciò ch'Io ho dato a l'uomo è somma
Provvidenza. Così con Provvidenza lo creai, e quando raguardai in me medesimo,
inamora'mi della bellezza della mia creatura. Piacquemi di crearla a la imagine
e similitudine mia con molta Provvidenza, così providi di darle la memoria
perché ritenesse i benefici miei, facendole participare della potenza di me
Padre eterno; dieile l'intelletto affinché nella sapienza de l'unigenito mio
Figlio ella intendesse e conoscesse la volontà di me Padre eterno, donatore
delle grazie a lei con tanto fuoco d'amore; dieile la volontà ad amare,
participando la clemenza dello Spirito santo, affinché potesse amare quello che
l'intelletto vidde e cognobbe. (§ 51 Questo fece la dolce mia Provvidenza, solo
perché ella fusse capace ad intendere e a gustare me, e a godere della mia
bontà nella eterna mia visione. (…)
Dico «con prudenza», poiché con l'esca della
vostra umanità e l'amo della mia divinità Io presi il demonio, il quale non
poté conoscere la mia Verità. La quale Verità, Verbo incarnato, venne a
consumare e distruggere la sua bugia con la quale aveva ingannato l'uomo.
Sì che Io usai grande prudenza e Provvidenza.
Pensa, carissima figlia, che maggiore non la poteva usare che darvi il Verbo de
l'unigenito mio Figlio. A lui posi la grande obbedienzia per trare il veleno
che per la disobbedienzia era caduto ne l'umana generazione, così egli, come
inamorato e vero obbediente, corse a l'obbrobriosa morte della santissima
croce, e con la morte vi dié vita, non in virtù de l'umanità ma in virtù della
mia Deità. La quale per mia Provvidenza, per soddisfare a la colpa che era
fatta contro me, Bene infinito - la quale richiedeva soddisfazione infinita,
cioè che la natura umana che aveva offeso, che era finita, fusse unita con cosa
infinita affinché infinitamente soddisfacesse a me infinito, e a la natura
umana, ai passati, ai presenti e ai futuri; e tanto quanto offendesse l'uomo,
trovasse perfetta soddisfazione, volendo ritornare a me nella vita sua - unii
la natura divina con la natura vostra umana, per la quale unione avete ricevuta
soddisfazione perfetta. Questo ha fatto la mia Provvidenza, che con l'opera
finita - ché finita fu la pena della croce nel Verbo - avete (142v) ricevuto
frutto infinito in virtù della Deità, come detto è. (§ 75, 1228ss.) Questa
infinita ed eterna Provvidenza di me Dio, Padre vostro, Trinità eterna,
providde di rivestire l'uomo il quale, avendo perduto il vestimento della
innocenzia e dinudato d'ogni virtù, periva di fame e moriva di freddo in questa
vita della peregrinazione. Sottoposta era a ogni miseria, serrata era la porta
del cielo e perduta n'aveva ogni speranza. La quale speranza, se l'avesse
potuta pigliare, gli sarebbe stato uno refrigerio in questa vita; non l'aveva e
però stava in grande afflizione. Ma Io, somma Provvidenza, providi a questa
necessità. Così, non costretto da le vostre giustizie né virtù, ma da la mia
bontà, vi diei il vestimento per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo
unigenito mio Figlio. Il quale, spogliando sé della vita, rivestì voi di
innocenzia e di grazia; (Ga 3, 27) la quale innocenzia e grazia ricevete nel
santo battesimo in virtù del sangue, lavando la macchia del peccato originale
nel quale sete concepiti, contraendolo dal padre e da la madre vostra.
N. 112
Raguarda, carissima figlia, in quanta
eccellenza sta l'anima ricevendo come debba ricevere questo pane della vita,
cibo degli angeli. Ricevendo questo sacramento sta in me e Io in lei sì come il
pescie sta nel mare e il mare nel pescie, così Io sto ne l'anima e l'anima in
me, mare pacifico. In essa anima rimane la grazia, perché avendo ricevuto
questo pane della vita in grazia, rimane la grazia; consumato quello accidente
del pane, Io vi lasso la impronta della grazia mia, sì come il suggello che si
pone sopra la cera calda: partendosi e levando il suggello vi rimane la
impronta d'esso suggello. Così la virtù di questo sacramento vi rimane ne
l'anima, cioè che vi rimane il caldo della divina mia carità, clemenza di
Spirito santo. Rimanvi il lume della sapienza de l'unigenito mio Figlio,
illuminato l'occhio dell'intelletto in essa sapienza. Rimane forte,
participando della fortezza mia e potenza, facendola forte e potente contro la
propria passione sua sensitiva, contro i demoni e contro il mondo.
Sì che vedi che le rimane la impronta, levato
che il suggello s'è; cioè che, (104v) consumata quella materia, cioè gli
accidenti del pane, questo vero Sole si ritorna alla ruota sua - non che fusse
staccato, come detto ti ho, ma unito insieme con me - ma l'abisso della mia
carità, per vostra salvezza e per darvi cibo in questa vita dove sete peregrini
e viandanti, affinché aviate refrigerio e non perdiate la memoria del beneficio
del sangue, (1Co 11, 24-25; (§ 27, 113ss.; (§ 30, 362ss.) ve l'ha dato in cibo
per mia dispensazione e Provvidenza divina, sovenendo ai vostri bisogni,
dandovelo in cibo questa mia dolce Verità, come detto ti ho.
Sì che mira quanto siete tenuti e obligati a
me a rendarmi amore, poi che Io tanto v'amo, e perché Io sono somma ed eterna
bontà, degno d'essere amato da voi.
Santa
Caterina da Siena secondo S.S. Benedetto XVI
Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi vorrei parlarvi di una donna che ha
avuto un ruolo eminente nella storia della Chiesa. Si tratta di santa Caterina
da Siena. Il secolo in cui visse - il quattordicesimo - fu un’epoca travagliata
per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa.
Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di
benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i
cuori provocando conversione e rinnovamento. Caterina è una di queste e ancor
oggi ella ci parla e ci sospinge a camminare con coraggio verso la santità per
essere in modo sempre più pieno discepoli del Signore.
Nata a Siena, nel 1347, in una famiglia molto
numerosa, morì a Roma, nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di
san Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle
Mantellate. Rimanendo in famiglia, confermò il voto di verginità fatto
privatamente quando era ancora un’adolescente, si dedicò alla preghiera, alla
penitenza, alle opere di carità, soprattutto a beneficio degli ammalati.
Quando la fama della sua santità si diffuse,
fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di
ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del
popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in
quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed
efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma
interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo
motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa:
il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base
del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che
assicurano la giustizia e la concordia.
Caterina soffrì tanto, come molti Santi.
Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel
1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la
convocò a Firenze per interrogarla. Le misero accanto un frate dotto ed umile,
Raimondo da Capua, futuro Maestro Generale dell’Ordine. Divenuto suo confessore
e anche suo “figlio spirituale”, scrisse una prima biografia completa della
Santa. Fu canonizzata nel 1461.
La dottrina di Caterina, che apprese a leggere
con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo
della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro
della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle
Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di
Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si
aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio
IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII.
In una visione che mai più si cancellò dal
cuore e dalla mente di Caterina, la Madonna la presentò a Gesù che le donò uno
splendido anello, dicendole: “Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella
fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le
tue nozze eterne” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n.
115, Siena 1998). Quell’anello rimase visibile solo a lei. In questo episodio
straordinario cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina e di ogni
autentica spiritualità: il cristocentrismo. Cristo è per lei come lo sposo, con
cui vi è un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà; è il bene amato
sopra ogni altro bene.
Questa unione profonda con il Signore è
illustrata da un altro episodio della vita di questa insigne mistica: lo
scambio del cuore. Secondo Raimondo da Capua, che trasmette le confidenze
ricevute da Caterina, il Signore Gesù le apparve con in mano un cuore umano
rosso splendente, le aprì il petto, ve lo introdusse e disse: “Carissima
figliola, come l’altro giorno presi il tuo cuore che tu mi offrivi, ecco che
ora ti do il mio, e d’ora innanzi starà al posto che occupava il tuo” (ibid.).
Caterina ha vissuto veramente le parole di san Paolo, “… non vivo io, ma Cristo
vive in me” (Gal 2,20).
Come la santa senese, ogni credente sente il
bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il
prossimo come Cristo stesso ama. E noi tutti possiamo lasciarci trasformare il
cuore ed imparare ad amare come Cristo, in una familiarità con Lui nutrita
dalla preghiera, dalla meditazione sulla Parola di Dio e dai Sacramenti,
soprattutto ricevendo frequentemente e con devozione la santa Comunione. Anche
Caterina appartiene a quella schiera di santi eucaristici con cui ho voluto
concludere la mia Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (cfr n. 94).
Cari fratelli e sorelle, l’Eucaristia è uno straordinario dono di amore che Dio
ci rinnova continuamente per nutrire il nostro cammino di fede, rinvigorire la
nostra speranza, infiammare la nostra carità, per renderci sempre più simili a
Lui.
Attorno ad una personalità così forte e
autentica si andò costituendo una vera e propria famiglia spirituale. Si
trattava di persone affascinate dall’autorevolezza morale di questa giovane
donna di elevatissimo livello di vita, e talvolta impressionate anche dai
fenomeni mistici cui assistevano, come le frequenti estasi. Molti si misero al
suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati
spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali
da lei attingevano il nutrimento dello spirito.
Anche oggi la Chiesa riceve un grande
beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate
e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede
della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate.
“Figlio vi dico e vi chiamo - scrive Caterina rivolgendosi ad uno dei suoi
figli spirituali, il certosino Giovanni Sabatini -, in quanto io vi partorisco
per continue orazioni e desiderio nel cospetto di Dio, così come una madre
partorisce il figlio” (Epistolario, Lettera n. 141: A don Giovanni de’
Sabbatini). Al frate domenicano Bartolomeo de Dominici era solita indirizzarsi
con queste parole: “Dilettissimo e carissimo fratello e figliolo in Cristo
dolce Gesù”.
Un altro tratto della spiritualità di Caterina
è legato al dono delle lacrime. Esse esprimono una sensibilità squisita e
profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il
dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto
e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di
Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo
Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha
parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate
memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo
crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel
sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 21: Ad uno il cui nome si
tace).
Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur
consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una
grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la
Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato
sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”,
ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore
profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo
io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa,
la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da
Siena, Legenda maior, n. 363).
Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la
scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel
Dialogo della Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive
Cristo come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre
scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi
attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di
santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore,
l’unione dolce e affettuosa con Dio.
Cari fratelli e sorelle, impariamo da santa
Caterina ad amare con coraggio, in modo intenso e sincero, Cristo e la Chiesa.
Facciamo nostre perciò le parole di santa Caterina che leggiamo nel Dialogo
della Divina Provvidenza, a conclusione del capitolo che parla di Cristo-ponte:
“Per misericordia ci hai lavati nel Sangue, per misericordia volesti conversare
con le creature. O Pazzo d’amore! Non ti bastò incarnarti, ma volesti anche
morire! (...) O misericordia! Il cuore mi si affoga nel pensare a te: ché
dovunque io mi volga a pensare, non trovo che misericordia” (cap. 30, pp.
79-80). Grazie.
UDIENZA GENERALE, Aula Paolo VI,
Mercoledì, 24 novembre 2010
[1] La Santa, che pure
aveva imparato prodigiosamente a leggere e a scrivere (Legenda B.
Raimondo I, ii - Lett.272, ed. Tommaseo), non scrisse, ma dettò questo libro
nell'ottobre del 1378, compiuto il suo 31° anno, a meno di due anni dalla morte
(secondo G. Cavallini la data di composizione è da collocarsi entro un arco di
tempo più ampio, ossia dal dicembre 1377 all'autunno 1378; cfr. Il Dialogo,
di G.Cavallini, ed. Cateriniane, Roma 1968, pp.24-26). (...) Lo straordinario è
che Caterina dettava soltanto quando, in forza del rapimento, i sui sensi
sembravano come morti. Durante il tempo dell'estasi, i suoi occhi non vedevano,
i suoi orecchi non udivano, le sue narici non sentivano l'odore, né il gusto il
sapore, ed il suo tatto non percepiva nessun oggetto. (...) Il notaio senese
Cristofano di Gano Guidini ci informa che erano in tre ad alternarsi nel lavoro
dello scrivere, quando la Santa dettava: Barduccio Canigiani, Stefano
Maconi e Neri di Landoccio.
Nell'intenzione della santa, il Libro è come il suo testamento
spirituale. (..)
(..) Tutta l'opera si regge e si articola
intorno a poche idee forza, quali verità e misericordia, conoscimento e carità,
perfezione e umiltà, libera volontà e obbedienza, morte e vita eterna, felicità
e provvidenza». (P.Tito S.Centi, O.P. - 1992)
Quella dottrina di ascesi spirituale, che
nelle opere classiche è svolta astrattamente, oppure sotto un angolo visuale
troppo ristretto e personale, viene in questo Libro come rifusa, e
proiettata sul mondo tormentato di allora, quale farmaco potente. (...) ..in
Caterina gli elementi speculativi vengono tolti dalla loro lucidezza siderale e
tuffati nella grande fiumana della vita, fatta di lotte, di lacrime, di spasimi
e di tormenti. Anche le immagini che preferisce, riflettono il concreto
dinamismo della sua vita. (...) Sono pagine di fuoco, che riflettono su tutte
le gerarchie e classi sociali dei suoi tempi: di tutti i tempi. (...) Caterina
affonda con coraggio virile questo mistico coltello della verità di Dio nel
corpo dolente della società cristiana, per estirparne le fibre infette, le
ulcere mortali, i germi di un male che min2acciava di distruggere l'opera del
Salvatore. Ma quanto spasimo, quanta pietà, quanta tenerezza per il povero
paziente! (..)
Il Libro non si presenta come un trattato scolastico di perfezione spirituale; manca di rigore nel disegno generale e nel processo logico; però nella enunciazione del pensiero è quasi sempre teologicamente inappuntabile. (..)
Il Libro non si presenta come un trattato scolastico di perfezione spirituale; manca di rigore nel disegno generale e nel processo logico; però nella enunciazione del pensiero è quasi sempre teologicamente inappuntabile. (..)
Il Libro è una risposta
divinamente luminosa alle quattro domande della Santa. Essa le riassume poi
brevemente e chiaramente nel capitolo 166, che ci dà il filo del pensiero
riassumendo le quattro risposte di Dio, che vengono chiamate, le quattro grandi
misericordie. (Misericordia a Caterina: cap.2-16; al mondo: cap.17-109; alla
Chiesa: cap.110-134; per un caso particolare: cap.135-153; Trattato
dell'obbedienza: cap.154-165). (..)
1 commento:
"Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi serve fedeli al vostro Creatore, e perseveranti, che giammai non volgiate il capo addietro per neuna cosa che sia, per prosperità pigliandone troppa letizia, nè per avversità pigliandone impazienza e amaritudine. Ma io voglio, e vi prego, che neuna cosa sia che vi tolga e impedisca il santo desiderio. E acciò che il santo desiderio cresca in voi e non scemi, voglio che apriate l'occhio dell'intelletto a cognoscere l'amore ineffabile che Dio v'ha.." (S. Caterina da Siena, lett. n°40)
Posta un commento