giovedì 4 ottobre 2012

Figli del Re, materiale per la riflessione a cura di Sr Lorenza Arduin


"FIGLI DEL RE" - SCOPRIRSI FIGLI E FRATELLI

(Bologna, Convitto MSL – 29/30 settembre 2012)

L’insegnamento e la testimonianza di Caterina da Siena

Cenni biografici
Vergine e dottore della Chiesa, patrona d'Italia e d'Europa
29 aprile
Siena, 25 marzo 1347 - Roma, 29 aprile 1380
Patronato: Italia, Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99) - Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco
Emblema: Anello, Giglio
Martirologio Romano: Festa di Santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, che, preso l’abito delle Suore della Penitenza di San Domenico, si sforzò di conoscere Dio in se stessa e se stessa in Dio e di rendersi conforme a Cristo crocifisso; lottò con forza e senza sosta per la pace, per il ritorno del Romano Pontefice nell’Urbe e per il ripristino dell’unità della Chiesa, lasciando pure celebri scritti della sua straordinaria dottrina spirituale.
Lo si dice oggi come una scoperta: "Se è in crisi la giustizia, è in crisi lo Stato". Ma lo diceva già nel Trecento una ragazza: "Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia". Eccola, Caterina da Siena. Ultima dei 25 figli (con una gemella morta quasi subito) del rispettato tintore Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piacenti, figlia di un poeta. Caterina non va a scuola, non ha maestri. Accasarla bene e presto, ecco il pensiero dei suoi, che secondo l’uso avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre, anche davanti alle rappresaglie. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua
“cella” di terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero).
La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. E tutti amabilmente pilotati da lei. Li chiameranno “Caterinati”. Lei impara faticosamente a leggere, e più tardi anche a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a cuoiai e generali, a donne di casa e a regine. Anche ai "prigioni di Siena", cioè ai detenuti, che da lei non sentono una parola di biasimo per il male commesso. No, Caterina è quella della gioia e della fiducia: accosta le loro sofferenze a quelle di Gesù innocente e li vuole come lui: "Vedete come è dolcemente armato questo cavaliero!". Nel vitalissimo e drammatico Trecento, tra guerra e peste, l’Italia e Siena possono contare su Caterina, come ci contano i colpiti da tutte le sventure, e i condannati a morte: ad esempio, quel perugino, Nicolò di Tuldo, selvaggiamente disperato, che lei trasforma prima del supplizio: "Egli giunse come uno agnello mansueto, e vedendomi, cominciò a ridere; e volse ch’io gli facessi il segno della croce".
Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Parla chiaro ai vertici della Chiesa. A Pietro, cardinale di Ostia, scrive: "Vi dissi che desideravo vedervi uomo virile e non timoroso (...) e fate vedere al Santo Padre più la perdizione dell’anime che quella delle città; perocché Dio chiede l’anime più che le città". C’è pure chi la cerca per ammazzarla, a Firenze, trovandola con un gruppo di amici. E lei precipitosamente si presenta: "Caterina sono io! Uccidi me, e lascia in pace loro!". Porge il collo, e quello va via sconfitto. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona d’Italia con Francesco d’Assisi. E nel 1970 avrà da Paolo VI il titolo di dottore della Chiesa.
La festa delle stigmate di S. Caterina è, per il solo ordine domenicano, il 1° aprile.

Preghiera di Caterina alla SS.ma Trinità

Spirito Santo, vieni nel cor mio,
per la tua potenza trailo a te, Dio,
e a me concedi carità con timore.

Guardami, o Cristo, da ogni mal pensiero,
riscaldami del tuo dolcissimo amore,
sì ch’ogni peso mi pari leggero.

Santo mio Padre e dolce mio Signore,
aiutami sempre in ogni mio mestiero.

Cristo amore, Cristo amore.

(Rocca D’Orcia, 1377)

Dialogo della Divina Provvidenza[1]
Antologia di testi del Dialogo

N. 134

Tu dicesti, Padre eterno, che per l'amore che tu hai a le tue creature che hanno in loro ragione, che con l'orazione dei servi tuoi, e col molto loro sostenere fatiche senza colpa, faresti misericordia al mondo e riformaresti la santa Chiesa tua, e così ci daresti refrigerio. (§ 15, 194ss.; (§ 129, 2250ss.; Oraz XII 165ss.) Perciò non indugiare a vollere l'occhio della tua misericordia, ma risponde, poiché vuogli rispondere prima che noi chiamiamo, con la voce della tua misericordia.
Apre la porta della tua inestimabile carità, la quale ci donasti per la porta del Verbo. (Jn 10, 7) Sì, so io che tu apri prima che noi bussiamo, poiché con l'affetto e amore che tu hai dato ai servi tuoi, bussano e chiamano a te, cercando l'onore tuo e salvezza de l'anime. Donalo' dunque il pane della vita, cioè il frutto del sangue de l'unigenito tuo Figlio, il quale t'adimandano per gloria e loda del nome tuo e per salvezza de l'anime. Poiché più gloria e loda pare che torni a te a salvare tante creature che a lassarle ostinate e permanere nella durezza loro. A te, Padre eterno, ogni cosa è possibile; poniamo che tu ci creasti senza noi, ma salvare senza noi questo non vuogli fare. Ma pregoti che sforzi le volontà loro e dispongali a volere quello che essi non vogliono. Questo t'adimando per la tua infinita misericordia. Tu ci creasti di non nulla, Perciò, ora che noi siamo, facci misericordia e rifà i vaselli che tu hai creati e formati a la imagine e similitudine tua, e riformali a grazia (OrazXXVI) nella misericordia e nel sangue del tuo Figlio (141v). -

N. 135
Allora il sommo ed eterno Padre con benignità ineffabile volgeva l'occhio della sua clemenza inverso di lei, quasi volendo mostrare che in tutte le cose la Provvidenza sua non manca mai a l'uomo, purché egli la voglia ricevere, manifestandolo con uno dolce lagnarsi dell'uomo in questo modo, dicendo: - O carissima figlia mia, sì come in più luoghi Io ti ho detto, Io voglio fare misericordia al mondo e in ogni necessità provedere la mia creatura che ha in sé ragione. Ma lo ignorante uomo piglia in morte quello che Io do in vita, e così si fa crudele a se medesimo. (OrazVIII16ss.) Io sempre proveggo, e fo a sapere a te che ciò ch'Io ho dato a l'uomo è somma Provvidenza. Così con Provvidenza lo creai, e quando raguardai in me medesimo, inamora'mi della bellezza della mia creatura. Piacquemi di crearla a la imagine e similitudine mia con molta Provvidenza, così providi di darle la memoria perché ritenesse i benefici miei, facendole participare della potenza di me Padre eterno; dieile l'intelletto affinché nella sapienza de l'unigenito mio Figlio ella intendesse e conoscesse la volontà di me Padre eterno, donatore delle grazie a lei con tanto fuoco d'amore; dieile la volontà ad amare, participando la clemenza dello Spirito santo, affinché potesse amare quello che l'intelletto vidde e cognobbe. (§ 51 Questo fece la dolce mia Provvidenza, solo perché ella fusse capace ad intendere e a gustare me, e a godere della mia bontà nella eterna mia visione. (…)
Dico «con prudenza», poiché con l'esca della vostra umanità e l'amo della mia divinità Io presi il demonio, il quale non poté conoscere la mia Verità. La quale Verità, Verbo incarnato, venne a consumare e distruggere la sua bugia con la quale aveva ingannato l'uomo.
Sì che Io usai grande prudenza e Provvidenza. Pensa, carissima figlia, che maggiore non la poteva usare che darvi il Verbo de l'unigenito mio Figlio. A lui posi la grande obbedienzia per trare il veleno che per la disobbedienzia era caduto ne l'umana generazione, così egli, come inamorato e vero obbediente, corse a l'obbrobriosa morte della santissima croce, e con la morte vi dié vita, non in virtù de l'umanità ma in virtù della mia Deità. La quale per mia Provvidenza, per soddisfare a la colpa che era fatta contro me, Bene infinito - la quale richiedeva soddisfazione infinita, cioè che la natura umana che aveva offeso, che era finita, fusse unita con cosa infinita affinché infinitamente soddisfacesse a me infinito, e a la natura umana, ai passati, ai presenti e ai futuri; e tanto quanto offendesse l'uomo, trovasse perfetta soddisfazione, volendo ritornare a me nella vita sua - unii la natura divina con la natura vostra umana, per la quale unione avete ricevuta soddisfazione perfetta. Questo ha fatto la mia Provvidenza, che con l'opera finita - ché finita fu la pena della croce nel Verbo - avete (142v) ricevuto frutto infinito in virtù della Deità, come detto è. (§ 75, 1228ss.) Questa infinita ed eterna Provvidenza di me Dio, Padre vostro, Trinità eterna, providde di rivestire l'uomo il quale, avendo perduto il vestimento della innocenzia e dinudato d'ogni virtù, periva di fame e moriva di freddo in questa vita della peregrinazione. Sottoposta era a ogni miseria, serrata era la porta del cielo e perduta n'aveva ogni speranza. La quale speranza, se l'avesse potuta pigliare, gli sarebbe stato uno refrigerio in questa vita; non l'aveva e però stava in grande afflizione. Ma Io, somma Provvidenza, providi a questa necessità. Così, non costretto da le vostre giustizie né virtù, ma da la mia bontà, vi diei il vestimento per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo unigenito mio Figlio. Il quale, spogliando sé della vita, rivestì voi di innocenzia e di grazia; (Ga 3, 27) la quale innocenzia e grazia ricevete nel santo battesimo in virtù del sangue, lavando la macchia del peccato originale nel quale sete concepiti, contraendolo dal padre e da la madre vostra.

N. 112
Raguarda, carissima figlia, in quanta eccellenza sta l'anima ricevendo come debba ricevere questo pane della vita, cibo degli angeli. Ricevendo questo sacramento sta in me e Io in lei sì come il pescie sta nel mare e il mare nel pescie, così Io sto ne l'anima e l'anima in me, mare pacifico. In essa anima rimane la grazia, perché avendo ricevuto questo pane della vita in grazia, rimane la grazia; consumato quello accidente del pane, Io vi lasso la impronta della grazia mia, sì come il suggello che si pone sopra la cera calda: partendosi e levando il suggello vi rimane la impronta d'esso suggello. Così la virtù di questo sacramento vi rimane ne l'anima, cioè che vi rimane il caldo della divina mia carità, clemenza di Spirito santo. Rimanvi il lume della sapienza de l'unigenito mio Figlio, illuminato l'occhio dell'intelletto in essa sapienza. Rimane forte, participando della fortezza mia e potenza, facendola forte e potente contro la propria passione sua sensitiva, contro i demoni e contro il mondo.
Sì che vedi che le rimane la impronta, levato che il suggello s'è; cioè che, (104v) consumata quella materia, cioè gli accidenti del pane, questo vero Sole si ritorna alla ruota sua - non che fusse staccato, come detto ti ho, ma unito insieme con me - ma l'abisso della mia carità, per vostra salvezza e per darvi cibo in questa vita dove sete peregrini e viandanti, affinché aviate refrigerio e non perdiate la memoria del beneficio del sangue, (1Co 11, 24-25; (§ 27, 113ss.; (§ 30, 362ss.) ve l'ha dato in cibo per mia dispensazione e Provvidenza divina, sovenendo ai vostri bisogni, dandovelo in cibo questa mia dolce Verità, come detto ti ho.
Sì che mira quanto siete tenuti e obligati a me a rendarmi amore, poi che Io tanto v'amo, e perché Io sono somma ed eterna bontà, degno d'essere amato da voi.

Santa Caterina da Siena secondo S.S. Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle,

quest’oggi vorrei parlarvi di una donna che ha avuto un ruolo eminente nella storia della Chiesa. Si tratta di santa Caterina da Siena. Il secolo in cui visse - il quattordicesimo - fu un’epoca travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento. Caterina è una di queste e ancor oggi ella ci parla e ci sospinge a camminare con coraggio verso la santità per essere in modo sempre più pieno discepoli del Signore.
Nata a Siena, nel 1347, in una famiglia molto numerosa, morì a Roma, nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di san Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate. Rimanendo in famiglia, confermò il voto di verginità fatto privatamente quando era ancora un’adolescente, si dedicò alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, soprattutto a beneficio degli ammalati.
Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia.
Caterina soffrì tanto, come molti Santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla. Le misero accanto un frate dotto ed umile, Raimondo da Capua, futuro Maestro Generale dell’Ordine. Divenuto suo confessore e anche suo “figlio spirituale”, scrisse una prima biografia completa della Santa. Fu canonizzata nel 1461.
La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII.
In una visione che mai più si cancellò dal cuore e dalla mente di Caterina, la Madonna la presentò a Gesù che le donò uno splendido anello, dicendole: “Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le tue nozze eterne” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 115, Siena 1998). Quell’anello rimase visibile solo a lei. In questo episodio straordinario cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina e di ogni autentica spiritualità: il cristocentrismo. Cristo è per lei come lo sposo, con cui vi è un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà; è il bene amato sopra ogni altro bene.
Questa unione profonda con il Signore è illustrata da un altro episodio della vita di questa insigne mistica: lo scambio del cuore. Secondo Raimondo da Capua, che trasmette le confidenze ricevute da Caterina, il Signore Gesù le apparve con in mano un cuore umano rosso splendente, le aprì il petto, ve lo introdusse e disse: “Carissima figliola, come l’altro giorno presi il tuo cuore che tu mi offrivi, ecco che ora ti do il mio, e d’ora innanzi starà al posto che occupava il tuo” (ibid.). Caterina ha vissuto veramente le parole di san Paolo, “… non vivo io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Come la santa senese, ogni credente sente il bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama. E noi tutti possiamo lasciarci trasformare il cuore ed imparare ad amare come Cristo, in una familiarità con Lui nutrita dalla preghiera, dalla meditazione sulla Parola di Dio e dai Sacramenti, soprattutto ricevendo frequentemente e con devozione la santa Comunione. Anche Caterina appartiene a quella schiera di santi eucaristici con cui ho voluto concludere la mia Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (cfr n. 94). Cari fratelli e sorelle, l’Eucaristia è uno straordinario dono di amore che Dio ci rinnova continuamente per nutrire il nostro cammino di fede, rinvigorire la nostra speranza, infiammare la nostra carità, per renderci sempre più simili a Lui.
Attorno ad una personalità così forte e autentica si andò costituendo una vera e propria famiglia spirituale. Si trattava di persone affascinate dall’autorevolezza morale di questa giovane donna di elevatissimo livello di vita, e talvolta impressionate anche dai fenomeni mistici cui assistevano, come le frequenti estasi. Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito.
Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. “Figlio vi dico e vi chiamo - scrive Caterina rivolgendosi ad uno dei suoi figli spirituali, il certosino Giovanni Sabatini -, in quanto io vi partorisco per continue orazioni e desiderio nel cospetto di Dio, così come una madre partorisce il figlio” (Epistolario, Lettera n. 141: A don Giovanni de’ Sabbatini). Al frate domenicano Bartolomeo de Dominici era solita indirizzarsi con queste parole: “Dilettissimo e carissimo fratello e figliolo in Cristo dolce Gesù”.
Un altro tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. Esse esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 21: Ad uno il cui nome si tace).
Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363).
Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive Cristo come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio.
Cari fratelli e sorelle, impariamo da santa Caterina ad amare con coraggio, in modo intenso e sincero, Cristo e la Chiesa. Facciamo nostre perciò le parole di santa Caterina che leggiamo nel Dialogo della Divina Provvidenza, a conclusione del capitolo che parla di Cristo-ponte: “Per misericordia ci hai lavati nel Sangue, per misericordia volesti conversare con le creature. O Pazzo d’amore! Non ti bastò incarnarti, ma volesti anche morire! (...) O misericordia! Il cuore mi si affoga nel pensare a te: ché dovunque io mi volga a pensare, non trovo che misericordia” (cap. 30, pp. 79-80). Grazie.

UDIENZA GENERALE, Aula Paolo VI, Mercoledì, 24 novembre 2010




[1] La Santa, che pure aveva imparato prodigiosamente a leggere e a scrivere (Legenda B. Raimondo I, ii - Lett.272, ed. Tommaseo), non scrisse, ma dettò questo libro nell'ottobre del 1378, compiuto il suo 31° anno, a meno di due anni dalla morte (secondo G. Cavallini la data di composizione è da collocarsi entro un arco di tempo più ampio, ossia dal dicembre 1377 all'autunno 1378; cfr. Il Dialogo, di G.Cavallini, ed. Cateriniane, Roma 1968, pp.24-26). (...) Lo straordinario è che Caterina dettava soltanto quando, in forza del rapimento, i sui sensi sembravano come morti. Durante il tempo dell'estasi, i suoi occhi non vedevano, i suoi orecchi non udivano, le sue narici non sentivano l'odore, né il gusto il sapore, ed il suo tatto non percepiva nessun oggetto. (...) Il notaio senese Cristofano di Gano Guidini ci informa che erano in tre ad alternarsi nel lavoro dello scrivere, quando la Santa dettava: Barduccio Canigiani, Stefano Maconi e Neri di Landoccio. Nell'intenzione della santa, il Libro è come il suo testamento spirituale. (..)   
(..) Tutta l'opera si regge e si articola intorno a poche idee forza, quali verità e misericordia, conoscimento e carità, perfezione e umiltà, libera volontà e obbedienza, morte e vita eterna, felicità e provvidenza». (P.Tito S.Centi, O.P. - 1992)
Quella dottrina di ascesi spirituale, che nelle opere classiche è svolta astrattamente, oppure sotto un angolo visuale troppo ristretto e personale, viene in questo Libro come rifusa, e proiettata sul mondo tormentato di allora, quale farmaco potente. (...) ..in Caterina gli elementi speculativi vengono tolti dalla loro lucidezza siderale e tuffati nella grande fiumana della vita, fatta di lotte, di lacrime, di spasimi e di tormenti. Anche le immagini che preferisce, riflettono il concreto dinamismo della sua vita. (...) Sono pagine di fuoco, che riflettono su tutte le gerarchie e classi sociali dei suoi tempi: di tutti i tempi. (...) Caterina affonda con coraggio virile questo mistico coltello della verità di Dio nel corpo dolente della società cristiana, per estirparne le fibre infette, le ulcere mortali, i germi di un male che min2acciava di distruggere l'opera del Salvatore. Ma quanto spasimo, quanta pietà, quanta tenerezza per il povero paziente! (..)
   Il Libro non si presenta come un trattato scolastico di perfezione spirituale; manca di rigore nel disegno generale e nel processo logico; però nella enunciazione del pensiero è quasi sempre teologicamente inappuntabile. (..)
   Il Libro è una risposta divinamente luminosa alle quattro domande della Santa. Essa le riassume poi brevemente e chiaramente nel capitolo 166, che ci dà il filo del pensiero riassumendo le quattro risposte di Dio, che vengono chiamate, le quattro grandi misericordie. (Misericordia a Caterina: cap.2-16; al mondo: cap.17-109; alla Chiesa: cap.110-134; per un caso particolare: cap.135-153; Trattato dell'obbedienza: cap.154-165). (..)

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi serve fedeli al vostro Creatore, e perseveranti, che giammai non volgiate il capo addietro per neuna cosa che sia, per prosperità pigliandone troppa letizia, nè per avversità pigliandone impazienza e amaritudine. Ma io voglio, e vi prego, che neuna cosa sia che vi tolga e impedisca il santo desiderio. E acciò che il santo desiderio cresca in voi e non scemi, voglio che apriate l'occhio dell'intelletto a cognoscere l'amore ineffabile che Dio v'ha.." (S. Caterina da Siena, lett. n°40)