sabato 13 settembre 2014

Salmo 44(43)

Riprendiamo, dopo la pausa estiva, con la pubblicazione delle brevi presentazioni dei Salmi. Buona ripresa del lavoro, dello studio, della vita quotidiana a tutti!

Questo Salmo è la prima lamentazione comunitaria del Salterio, è l’esempio tipico di supplica collettiva di un popolo oppresso dal nemico. Dal Salmo sale l’antico e costante respiro di dolore degli Ebrei, perseguitati attraverso tutti i secoli, ma è anche la preghiera degli oppressi di tutti i tempi.
Punto di riferimento della preghiera e della speranza di liberazione è il passato, che in sé contiene le gesta salvifiche di Dio. Esso introduce nell’amaro presente, che si presenta umiliante e inspiegabile soprattutto sulla base della pietra di paragone del passato glorioso. Si apre poi un futuro di speranza, animato dalla certezza che Dio non può restare in eterno silenzioso e prima o poi interverrà.
Gli attori del Salmo sono sempre tre: è Dio, interpellato con il tradizionale “perché?”, è il noi collettivo dell’intera nazione sofferente, sono essi, i nemici, che in questo carme sono citati in modo meno forte del consueto, mettendo l’accento sull’intervento di Dio, intervento che qui sembra ritenuto debole e lontano. In una preghiera inserita nell’alone della storia della salvezza e dell’alleanza, è facile usare nei confronti di Dio parole che a noi sembrano ardite: “svegliati”, “alzati”, “non rigettarci sempre”.
Il simbolo principale in questo Salmo 44 (43) è quello militare, legato all’ideologia della guerra santa. Questo modo di concepire la signoria di Dio sulla storia, nella rilettura cristiana è da purificare da tutti i suoi aspetti teocratici e nazionalistici. Lo stesso salmo non invoca la vendetta sui nemici, la sua speranza si concentra sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. In questo spirito il salmo è vicino a un canto di fiducia e come tale può pienamente entrare nel repertorio delle invocazioni della Chiesa, pellegrinante nell’amarezza, nell’oscurità e nell’attesa.

Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
i nostri padri ci hanno raccontato
l'opera che hai compiuto ai loro giorni,
nei tempi antichi.
Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
per far loro posto, hai distrutto i popoli.
Poiché non con la spada conquistarono la terra,
né fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra
e la luce del tuo volto,
perché tu li amavi.

Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna,
e più non esci con le nostre schiere…

Tutto questo ci è accaduto
e non ti avevamo dimenticato,
non avevamo tradito la tua alleanza.
Non si era volto indietro il nostro cuore,
i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli
e ci hai avvolti di ombre tenebrose.

Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio
e teso le mani verso un dio straniero,
forse che Dio non lo avrebbe scoperto,
lui che conosce i segreti del cuore?
Per te ogni giorno siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello.

Svègliati, perché dormi, Signore?
Dèstati, non ci respingere per sempre.
Perché nascondi il tuo volto,
dimentichi la nostra miseria e oppressione?
Poiché siamo prostrati nella polvere,
il nostro corpo è steso a terra.

Sorgi, vieni in nostro aiuto;
salvaci per la tua misericordia.



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