«Tu sei un uomo spezzato, io sono un uomo
spezzato e tutte le persone che conosciamo direttamente o di riflesso sono
persone spezzate. Forse l’inizio più semplice sarebbe dire che il nostro essere
spezzati rivela
qualcosa su chi siamo. Le nostre sofferenze e i nostri dolori non sono
semplicemente noiose interruzioni nella nostra vita: ci toccano, piuttosto,
nella nostra unicità e nella nostra più intima individualità. L’essere spezzati è un’esperienza
del tutto personale e nella società in cui tu ed io viviamo è generalmente una
esperienza intima: è lo spezzarsi del cuore, è la sofferenza del cuore
spezzato» (H.J.M. NOUWEN, Sentirsi amati).
Ho fatto un po’ di fatica questa settimana a leggere e a
restare sul libro di Nouwen. Bello rivendicare il nostro “essere scelti” da Dio
e il nostro “essere benedetti”: com’è subito evidente che siamo gli Amati a
partire da queste due realtà. Ma.. rivendicare il nostro “essere spezzati”,
questo no, questo non mi risulta per nulla facile. Tutti facciamo l’esperienza
di essere “spezzati”, cioè di essere feriti nel profondo dalla nostra fragilità
o dal male che ci circonda, ma tutti facciamo anche l’esperienza di cercare di
fuggire dalla sofferenza o di cercare di nasconderla a noi stessi e agli altri.
E’ vero, poi, ed è forse questo che rende ancora più
grande il nostro dolore, che ogni volta che soffriamo, ogni volta che succede
qualcosa che ci “spezza” interiormente, subito lo leggiamo come una conferma
del nostro essere persone inadatte, indegne, sbagliate… Il mondo spesso spinge
la nostra vita sotto il segno di questa “maledizione”: se la persona che ami ti
ha lasciata, probabilmente tu hai qualcosa di sbagliato; se non trovi lavoro,
sei tu una persona inadatta; se non sei ricca, tu non vali niente..
Eppure, se lascio che la mia vita sia davvero sotto il
segno della benedizione, consapevole che Dio mi ha amata e voluta così come
sono, allora anche l’essere spezzata può essere posto sotto questa benedizione:
non è più un segno del mio essere sbagliata, ma è un passaggio, un’opportunità
che rivela davvero chi sono io, che magari riesce anche a farmi tirar fuori
potenzialità, risorse impensate.
“Entrare
in questa realtà e metterla sotto la benedizione, non rende necessariamente il
nostro dolore meno acuto. In effetti, spesso ci rende più consapevoli di quanto
siano profonde le nostre ferite e di come sia irreale aspettarsi che
svaniscano.”
Porre sotto la
benedizione il nostro essere spezzati, vuol dire provare ad avvicinarci al
nostro dolore, aver imparato a chiamarlo per nome, non averne più paura. E’
riconoscere che ci sono ferite che rimarranno nella nostra vita come parti
indelebili, segni della nostra individualità, ma che “abbracciate
alla luce di Colui che ci chiama Amati, può rendere l’"essere
spezzati" splendente come un diamante”.
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