Continuiamo ad accompagnare i nostri due viaggiatori che tornano a casa piangendo la perdita del loro Signore e di tutti i loro sogni. Nouwen ci ha ricordato che celebrare l'eucaristia è innanzitutto accettare la nostra corresponsabilità per il male che ci circonda e scegliere una vita di perdono, di pace.
Durante questo viaggio, Gesù si affianca a loro e
chiede che gli raccontino quello che è successo: “C'è dello stupore,
persino dell'agitazione: «Tu solo sei così forestiero da non sapere ciò che è
accaduto!». Poi segue un lungo racconto: la storia riguardo a ciò che hanno
perduto, la storia riguardo a una notizia sconcertante di una tomba vuota. Qui
almeno c'è qualcuno ad ascoltare, qualcuno che è disponibile ad ascoltare le
parole di disillusione, di tristezza e di totale confusione. Niente sembra
aver senso.”
Lo sconosciuto ascolta e poi
inizia a parlare: parla di cose che già conoscevano, parla della storia dei
loro padri, parla del loro popolo.
“La perdita, il dolore, la colpa, la paura, i barlumi di speranza e le
molte domande senza risposta che esigevano attenzione nella loro mente
inquieta, tutto ciò è stato innalzato da questo sconosciuto e posto nel
contesto di una storia molto più ampia della loro. Ciò che era sembrato confondere
così tanto cominciava ad offrire orizzonti nuovi.. Mentre parlava loro, pian
piano cominciarono a capire che la loro piccola vita non era poi così piccola
come essi pensavano, ma parte di un grande mistero che non solo abbracciava
molte generazioni, ma che si estendeva dall'eternità all'eternità.”
Gesù accoglie le loro parole,
la loro tristezza, il loro rimpianto per la morte di un amico, ma li conduce
pian piano a prendere coscienza che tutto questo è parte di un evento più
grande, capace di portare nuova vita, relazioni diverse, gioia più profonda. E
lo fa senza mezzi termini, forse anche con durezza.
“Dopo
tutto, un continuo lamentarsi attrae di più che affrontare la realtà. «Stolti», disse, «tardi di cuore nel
credere». Queste parole vanno dirette al cuore dei
due uomini. 'Stolti' è una parola dura, una parola che ci offende e che ci
mette sulle difensive. Ma può anche sfondare una copertura fatta di paura e di
imbarazzo e condurre poi a tutta una nuova conoscenza dell'essere umani. E’ una
chiamata al risveglio, è uno strappare via le bende dagli occhi, un demolire
gli inutili dispositivi di protezione.”
Li chiama stolti per costringerli a vedere il di più
che si offre ai loro occhi: “Continuate
a fissare lo sguardo su un ostacolo e non siete disposti a considerare che
l'ostacolo è stato messo lì per mostrarvi la strada giusta. Continuate a lamentarvi
delle vostre perdite e non vi rendete conto che queste perdite ci sono per
mettervi in grado di ricevere il dono della vita.”
I due discepoli non credono che ci sia qualcosa oltre
la loro perdita, non credono che si possa fare qualcosa oltre a tornare a casa
e riprendere la vecchia vita, ma lo sconosciuto li chiama ad aver fiducia e a
superare la lentezza che li opprime.
“ Tardi nel
credere.. Questa
lentezza non è una lentezza innocente perché ci può intrappolare
nei nostri lamenti e nella nostra ristrettezza di mente e di cuore. È la
lentezza che può impedirci di scoprire il panorama in cui viviamo. E’ possibile
giungere al termine della nostra vita senza aver mai saputo chi siamo e cosa
dovremmo diventare.”
Rischiamo di pensare che il poco che vediamo,
sentiamo, viviamo ci riveli tutta la nostra esistenza, ci spieghi tutta la
vita, ma non è così: abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a scoprire cosa c’è
aldilà della nostra percezione, oltre il nostro orizzonte.
“ Qualcuno deve
far ardere i nostri cuori! Gesù si unisce a noi mentre camminiamo nella tristezza
e ci spiega le Scritture. Ma non sappiamo che è Gesù. Pensiamo che sia uno
sconosciuto che conosce meno di noi ciò che sta avvenendo nella nostra vita.
Eppure, discerniamo qualcosa, percepiamo qualcosa, intuiamo qualcosa: il nostro
cuore comincia ad ardere.”
Nessun commento:
Posta un commento