giovedì 17 luglio 2014

Terzo passo!



Continuiamo la pubblicazione dell’intervento di p. Timothy Radcliffe (11).

Il terzo passo, forse il più difficile, è che il nostro amore deve liberare le persone. Ogni amore, che sia tra persone sposate o singole, deve essere liberante. L’amore tra marito e moglie deve aprire grandi spazi di libertà. E questo è tanto più vero per noi che siamo sacerdoti o religiosi.
Dobbiamo amare perché gli altri siano liberi di amare gli altri più di noi stessi. Sant’Agostino chiama il vescovo amico dello sposo, amicus sponsi. In inglese diciamo the best man nel matrimonio. Il best man non cerca di far innamorare di lui la sposa, e neppure le damigelle d’onore! Sta ad indicare altro.
In un’occasione un domenicano francese paragonò Dio a un cavaliere inglese che è tanto immensamente discreto da non imporsi in nessun modo su coloro che egli ama. Aprirà la porta e si affaccerà per assicurarsi che stanno bene col loro presente innamorato e dopo, per quanto desidererebbe rimanere, sparirà per non disturbarli.
Come disse C. S Lewis, «È un privilegio divino essere sempre non tanto l’amato quanto l’amante» (op. cit. 184). Dio è sempre quello che ama di più di quello che è amato. Può darsi che sia proprio questa la nostra vocazione. Auden ha detto: «Se l’amore non può essere paritario, che sia io quello che ama di più» (Collected Shorter Poems 1927 -1957 London 1966 p. 282).
Questo implica rifiutarsi di lasciare che le persone diventino troppo dipendenti da qualcuno e non occupare il posto centrale delle loro vite. Uno deve sempre cercare altre forme di sostegno alla gente, altri pilastri, affinché noi possiamo smettere di essere tanto impananti. Così la domanda che uno deve sempre farsi è: il mio amore sta rendendo questa persona più forte, più indipendente, o la sta rendendo più debole e dipendente da me?

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