Continuiamo la
pubblicazione dell’intervento di p. Timothy Radcliffe (11).
Il
terzo passo, forse il più difficile, è che il nostro amore deve liberare le
persone.
Ogni amore, che sia tra persone sposate o singole, deve essere liberante.
L’amore tra marito e moglie deve aprire grandi spazi di libertà. E questo è
tanto più vero per noi che siamo sacerdoti o religiosi.
Dobbiamo amare perché gli altri
siano liberi di amare gli altri più di noi stessi. Sant’Agostino chiama il
vescovo amico dello sposo, amicus sponsi. In inglese diciamo the best man nel matrimonio.
Il best man non cerca di far
innamorare di lui la sposa, e neppure le damigelle d’onore! Sta ad indicare
altro.
Come disse C. S Lewis, «È un
privilegio divino essere sempre non tanto l’amato quanto l’amante» (op. cit.
184). Dio è sempre quello che ama di più di quello che è amato. Può darsi
che sia proprio questa la nostra vocazione. Auden ha detto: «Se l’amore non può
essere paritario, che sia io quello che ama di più» (Collected Shorter Poems 1927 -1957
London 1966 p. 282).
Questo implica rifiutarsi di
lasciare che le persone diventino troppo dipendenti da qualcuno e non occupare
il posto centrale delle loro vite. Uno deve sempre cercare altre forme di
sostegno alla gente, altri pilastri, affinché noi possiamo smettere di essere
tanto impananti. Così la domanda che uno deve sempre farsi è: il mio amore sta rendendo
questa persona più forte, più indipendente, o la sta rendendo più debole e dipendente
da me?
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