martedì 22 luglio 2014

Tutti i dubbi su Facebook ma anche qualche sana domanda

Abbiamo deciso di condividere questo articolo di Lea Melandri, perché ci sembra riflettere adeguatamente su Facebook e sull'uso che ne facciamo. Le sue domande ne aprono altre che ci aiutano a prendere consapevolezza e coscienza di chi siamo quando utilizziamo questi strumenti senza darli per scontati e senza sminuirli. 
Come utilizziamo Facebook? Lo usiamo per guardare le vite degli altri (e cosa guardiamo delle loro vite?)? Lo usiamo per farci guardare (e cosa mettiamo in mostra di noi?)? Lo usiamo per fare pubblicità? Ma il contenuto di questa pubblicità non siamo noi? E`un luogo dove cercare approvazione e conferme? E`il luogo adatto a rinsaldare legami e mantenere contatti? 
Buona riflessione!
Non c’è dubbio, Facebook fa discutere, ma sembra che sia difficile farne un’analisi capace di mostrarne gli aspetti contraddittori. C’è chi lo respinge a priori e, una volta entrato, non riesce più a farne a meno e chi se ne allontana come se avesse visto una macchina infernale. Sono usciti, a distanza di pochi giorni, due giudizi molto critici: un’intervista a Zigmund Bauman sulManifesto (6.6.14) e un articolo di Elena Stancanelli su Repubblica(8.6.14). Scrive Bauman: «Un tempo erano i walkman, ora Facebook. Entrambi hanno trasformato le relazioni, abolendo l’impegno e la profondità del dialogo (…) il mondo perduto dei follower distrugge le relazioni sociali e aumenta le solitudini». E Stancanelli: «Le emozioni on­line sono più virtuali delle emozioni reali perché vivono nell’acquario della rete, in cattività, senza nessun contatto col mondo fuori (…) non interessano il corpo, tranne come dicevamo la punta dei polpastrelli, e solo di striscio il cervello (…) Si disinibiscono, dicono cose che nella vita vera non direbbero mai. Dragano la rete alla ricerca di immagini spiritose, felici di essere manipolati, usati come topi per esperimenti, partecipi di un gigantesco reality che ha per scopo di vendere creme depilatorie».

Per Stancanelli si salvano solo quei pochi che «non sventolano emozioni on­line», che usano Facebook per avere rassegne stampa mirate, o per difendere idee destinate a cambiare il mondo. Ma aggiunge che lei non ne conosce.
Da neofita curiosa, partecipe e infantilmente divertita dei social network,non posso negare di avere dubbi, ma soprattutto domande.
Innanzi tutto: è così vero che le emozioni on­line sono così diverse da quelle reali?
Le fantasie, i desideri, i ragionamenti, le immagini di noi stessi, delle persone e dei luoghi che amiamo, sono così “astratte” dal corpo da cancellarlo?
Quando entriamo nella rete, è vero che siamo soli davanti a un computer o a uno smartphone, ma è una solitudine che subito va a cercare nomi, volti, parole, storie personali e sociali. Il dialogo ovviamente è limitato, spesso ridotto a un «mi piace», un punto esclamativo, ma sai che quelle persone ci sono, che volendo le puoi incontrare, alzare un telefono e sentirne la voce, condividere con loro iniziative pubbliche.
Quante relazioni personali, culturali e politiche si sono sorrette finora su lettere, articoli, libri, fotografie?
Sono testimone di grandi manifestazioni nate imprevedibilmente dalla circolazione di una mail, di un post, di una rete nata su facebook. Perché dare per scontato che l’impegno, gli interessi coltivati da singoli, gruppi, associazioni non possano trovare risonanza maggiore dal momento che si dà loro la possibilità di incontrare una moltitudine di sconosciuti? Ma anche lasciando stare le occasioni sociali e culturali che crea, e che probabilmente interessano a una minoranza di utenti, penso che meriti attenzione proprio l’aspetto che più viene criticato: l’esposizione di sè in ciò che ognuno ha di più “privato”e “intimo”.
Il fatto di veicolarli on­line, sentimenti, emozioni, sogni, fantasie, attese, non sono per questo meno reali. Forse è per questa via, solitaria e popolatissima, che cercano di uscire dal lungo esilio a cui li ha costretti l’astratta, deformante separazione tra privato e pubblico, corpo e pensiero, casa. Il fatto che su questa materia viva di esperienze cali l’ombra dei poteri forti, economici e politici, merita certamente di essere discusso, ma almeno quanto il peso che hanno esercitato per secoli il pudore, la repressione sessuale, l’imperativo morale e religioso.

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