“Arriviamo all'Eucaristia con il cuore spezzato da molte
perdite, le nostre ed anche quelle del mondo. E così che comincia il
viaggio. Come i due discepoli di Emmaus che tornavano a casa al loro villaggio, diciamo: «Noi speravamo... ma abbiamo
perso la speranza».”
L’Eucaristia,
ci ricorda Nouwen nel libro “La forza della sua presenza”, inizia con questo
riconoscere il nostro cuore ferito e il risentimento che ci portiamo dentro.
“Quando
siamo colpiti da una perdita dietro
l'altra, è molto facile diventare disillusi, arrabbiati, amareggiati e
sempre più pieni di risentimento. E’ una
delle forze più distruttive della nostra vita. È la rabbia fredda che
si è sistemata al centro del nostro essere indurendo il nostro cuore. Spesso mi chiedo come potrei vivere se non ci fosse per niente del risentimento nel mio cuore. Sono così
abituato a parlare delle persone che non mi píacciono, a nutrire i ricordi degli eventi che mi hanno causato tanto dolore o ad agire con sospetto e paura,
che non so come sarebbe se non ci
fosse nulla di cui lamentarsi e
nessuno di cui brontolare!”
Ma l’Eucaristia ci offre la possibilità di non
scegliere il risentimento: “Piangere
le nostre perdite è il primo passo dal risentimento
verso la gratitudine. Le lacrime del nostro dolore possono ammorbidire il nostro cuore indurito e
aprirci alla possibilità di dire 'grazie'.”
Eucaristia significa letteralmente 'azione di rendimento di grazie', per cui celebrare
l'eucaristia e vivere una vita eucaristica hanno a che fare con la
gratitudine: vuol dire vivere la vita come un
dono, per il quale si è grati.
“Ma la
gratitudine non è la risposta più spontanea alla vita, certamente non quando
sperimentiamo la vita come una serie
di perdite! Eppure.. attraverso il pianto per le nostre perdite giungiamo a
conoscere la vita come un dono. La
bellezza e la preziosità della vita sono intimamente connesse alla sua
fragilità e mortalità.”
L’invocazione “Signore, pietà” è il grido di
misericordia del popolo di Dio con cui inizia ogni Eucaristia, ma è una
richiesta “possibile
soltanto quando siamo disposti a confessare che in qualche modo, da qualche
parte, noi stessi abbiamo qualcosa a che fare
con le nostre perdite. Chiedere pietà è riconoscere che prendersela con Dio,
con il mondo o con gli altri per le
nostre perdite non rende piena giustizia alla verità di chi noi siamo.
Al momento siamo disposti ad assumerci la
responsabilità anche del dolore che
non abbiamo causato direttamente; il biasimo viene allora convertito in
un riconoscimento del nostro ruolo nella rottura e nella prostrazione umane… frutto amaro della scelta umana di dire 'no' all'amore.”
Celebrare l'eucaristia è accettare
la nostra corresponsabilità per il male
che ci circonda e scegliere una vita di perdono, di
pace: non lasciarci paralizzare dalle nostre perdite e credere che nel profondo
di noi coltiviamo un desiderio di unità, di comunione, di amore.
“Ma nessun
peccato può essere affrontato senza una qualche conoscenza della grazia.
Nessuna perdita può essere rimpianta senza una qualche intuizione che troveremo nuova vita.
Quando i discepoli sulla via di Emmaus
raccontarono la loro storia riguardante la loro grande perdita, essi
raccontarono anche quella strana storia delle donne
che avevano trovato la tomba vuota e che avevano visto degli angeli. Ma essi erano scettici e dubbiosi. Questo è in genere il nostro approccio all'eucaristia.
Con uno strano miscuglio di disperazione e speranza.”
«Signore, pietà; Signore, pietà; Signore, pietà». E’ la preghiera che continua ad emergere dalla profondità
del nostro essere e a sfondare le pareti del nostro
cinismo.
Sì, a volte ci sembra che tutto sia perduto e non rimanga niente delle nostre speranze e dei nostri sogni. “Eppure c'è una voce: «Ti
basta la mia grazia» e noi chiediamo di nuovo la guarigione del nostro
cuore cinico e osiamo credere che
veramente, in mezzo al nostro pianto, possiamo trovare un dono di cui essere grati.”
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