S. Domenico scelse la povertà a
imitazione degli Apostoli come elemento non marginale della predicazione.
Voleva ridare ai cristiani una Chiesa libera, semplice e vicina. E si fece
povero, realmente, per predicare il Vangelo.
“Chi
incontra Cristo che predica la verità e converte i peccatori, sarà trascinato
nel suo stesso servizio, e vivrà la povertà innanzitutto come libertà di fronte
a tutto e di fronte a tutti.” (A.Pigna)
La povertà, come la
vede Domenico, è libertà nell’annunciare il Vangelo, nel difendere il povero e
denunciare la menzogna. Vivere la povertà, come domenicani, implica dunque lo
studio, cioè la ricerca umile della verità.
Il voto di povertà abbraccia,
come gli altri voti, tutto l’essere del religioso. E’ povertà teologale, ossia della nostra vita spirituale, che ha bisogno di Dio, che sarà
sempre fragile. E’ la povertà di un cuore che impara ad amare senza
possedere nulla e nessuno. E’ anche, e deve esserlo, povertà materiale.
Il voto di povertà non è non
possedere niente, ma neppure semplice distacco morale dalle tante ricchezze
possedute. Se non guardiamo all’umanità e
concretamente ai poveri, ai sofferenti, non possiamo vivere il voto di povertà.
La contemplazione ci preserva dalla fuga e dall’orgoglio: cioè ci spinge alla
solidarietà che rifiuta l’indifferenza e che accetta la condivisione. I poveri
ci aiutano a fare teologia nel mondo e non fuori, con la nostra vita e non con
i soli libri.
Dunque, due aspetti importanti.
Il primo, essere poveri con i poveri, accettare la sfida di una vita semplice,
di una sobrietà, e questa è una sfida ben attuale e concreta. Questa
accettazione è anche un riconoscere che non possiamo tutto e che senza
condividere la vita dei poveri, senza essere dalla loro parte, non possiamo
capirli, amarli, aiutarli come fratelli, riconoscere la loro dignità e la loro
forza.
“La povertà accetta di guardare l’uomo per se spesso, senza nulla di ciò di cui lo coprono tutti i modi di possedere.” (Sylvie Robert)
“La povertà accetta di guardare l’uomo per se spesso, senza nulla di ciò di cui lo coprono tutti i modi di possedere.” (Sylvie Robert)
L’altro aspetto della
condivisione, è quello di riconoscere che abbiamo delle ricchezze che altri non
hanno e dobbiamo metterle a servizio. Farlo in modo coraggioso, come S.
Domenico che vendette i suoi preziosi libri durante una carestia, perché non
voleva studiare su quelle pelli morte mentre altri morivano di fame. E’ un
aspetto che ci fa capire il valore positivo delle ricchezze: possibilità
offerte per condividere. La più grande ingiustizia fatta ai poveri, oggi, è
l’accumulazione di beni. Condividere è il segreto per non cadere in questo
peccato, per cui la condivisione non è più carità:
è l’altro nome della giustizia.
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