Continuiamo la
pubblicazione dell’intervento di p. Timothy Radcliffe (6).
Cosa cerchiamo in tutto questo?
Cosa ci spinge ad incapricciarci? Posso parlare solo per me. Direi che quello
che c’è sempre stato dietro le mie turbolenze emozionali è stato il desiderio
di intimità. È l’anelito ad essere totalmente uno, di dissolvere i limiti fra
se stessi e l’altra persona per perdersi nell’altro, per cercare la comunione pura
e totale. Più che passione sessuale, credo che sia l’intimità che la
maggioranza degli esseri umani cerca. Se viviamo attraversando crisi di
affettività, credo che allora dobbiamo accettare il nostro bisogno di intimità.
La nostra società è costruita intorno al mito dell’unione sessuale come culmine
dell’intimità. Questo momento di tenerezza e di unione fisica totale è quello
che ci porta all’intimità totale e alla comunione assoluta. Molta gente non ha
questa intimità perché non vive una situazione matrimoniale, o perché si tratta
di coppie non felici, o perché sono religiosi o sacerdoti. E possiamo sentirci
esclusi ingiustamente da quella che è la nostra necessità più profonda.
Ci sembra ingiusto! Come può
escluderci Dio da questo desiderio profondo? Credo che ogni essere umano,
sposato o single, religioso o laico, deve accettare le limitazioni all’intimità
che può conoscere al momento. Il sogno di comunione piena è un mito che porta
alcuni religiosi a desiderare di essere sposati e molti sposati a desiderare di
stare con una persona diversa. L’intimità vera e felice è possibile solo se ne
accettiamo i limiti. Possiamo proiettare nelle coppie di sposati un’intimità
totale e meravigliosa, che è impossibile, ma che è la proiezione di nostri
sogni. Il poeta Rilke capì che non si può avere vera intimità all’interno di
una coppia fino a quando non ci si rende conto che in qualche modo si rimane
soli. Ogni essere umano conserva solitudine, uno spazio intorno che non può
essere eliminato: “Un buon matrimonio è quello in cui ognuno dei due nomina
l’altro guardiano della propria solitudine, e gli mostra fiducia, la più grande
possibile... Una volta che si accetta che anche fra gli esseri umani più vicini
continui ad esistere una distanza infinita, può crescere una forma meravigliosa
di vivere uno a fianco all’altro, se si riesce ad amare quella distanza che permette
ad ognuno di vedere nella totalità il profilo dell’altro stagliato contro un ampio
cielo” (John Mood, Rilke on Love Other Difficulties. Translations and
considerations of Rainer Maria Rilke, New York 1933 27ff., citato da
Hederman, op. cit. p. 81).
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