La settimana scorsa, riflettendo sulla “predicazione” di
Domenico, dicevamo che per lui la stessa comunità era predicazione. Ma in
realtà, “in tutta la tradizione
domenicana, fin dalle origini (v. il Capitolo di Bologna), non si parla di
comunità. Il termine comunità indica l’Istituzione, il modo di vivere di chi ha
fatto una certa scelta. Si parla, invece, di vita comune: ci si preoccupa cioè
dello spirito, non della legge” (A. Potente).
E’ una sottolineatura che può sembrare banale o
superficiale, ma non mi sembra che sia così. Noi usiamo tranquillamente i due
termini come fossero intercambiabili, ma in questa lettura ci dicono invece due
cose diverse.
Parlare di comunità è parlare di una Istituzione che si è
data delle norme, un modo di stare insieme, che si presenta come una realtà ben
precisa al cui interno ci possono essere ruoli definiti: dalla comunità
religiosa (che vive in un convento, che ha una responsabile, che ha uno stile
piuttosto che un altro..) alla comunità parrocchiale (che vive attorno ad una
parrocchia, che ha un parroco o chi per lui, che prevede gruppi di persone con
mansioni diverse – i catechisti, i ministranti, ecc -), alla comunità sociale (al
cui interno possiamo trovare altre realtà “comunitarie” istituzionalizzate,
come le comunità per minori, le comunità di recupero, ecc.).
Ma parlare, invece, di vita in comune è parlare “dello
spirito”, cioè parlare del desiderio di vivere insieme. E’ parlare del sogno che
appartiene a tutta l’umanità di vivere in comunione e che si realizza in modi
molto diversi.
Domenico, che per non pochi anni è stato “spinto” dalla
realtà, dalla storia di quel momento, a vivere da solo, non ha mai smesso di
coltivare questa dimensione comunitaria della vita, fatta appunto non tanto di
regole, strutture, muri, ma di passioni,
desideri, ricerca, condivisione, confronti. E questo gli ha permesso poi di
saper “vivere in comunità” costituite di donne o di uomini, di giovani o di
anziani, di persone completamente diverse da lui o dalla sua cultura.
Davvero il desiderio di vivere in comunione, di sentirsi
parte di un tutto che vive, che respira, che ama, appartiene a tutta l’umanità,
e ciascuno cerca, anche se a volte non consapevolmente, come realizzarlo nella propria
vita. Al di là delle forme istituzionalizzate, dell’arrivare a scegliere una “struttura”
piuttosto che un’altra, una comunità piuttosto che un’altra, mi sembra sia
importante e bello scoprire in noi
questo desiderio, riconoscere i
segni del nostro cercare comunione con gli altri, con il cosmo, con Dio, coltivare in ogni momento della nostra
vita, con ogni mezzo, questa dimensione comunitaria.
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