domenica 25 agosto 2013

La porta stretta!



Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

 
Non riesco ad immaginarmi che un Dio che si lascia commuovere dalle preghiere di Abramo, che si preoccupa di “raccogliere tutti i fratelli tra tutte le genti”, che non si stanca delle continue infedeltà del suo popolo, che nel Figlio in croce apre le braccia per accogliere ancora una volta tutti gli uomini e le donne in un abbraccio d’amore, ecco.. non riesco ad immaginarmi che questo Dio abbia poi preparato una porta stretta stretta per farci arrivare a Lui. Cos’è che la rende stretta?
Non è una questione di “quantità”, come noi di solito siamo abituate a pensare: “sono pochi quelli che si salveranno?”, “quanti hanno partecipato all’incontro?”, “quante persone c’erano a Messa?”, “quanti fanno catechismo?”. Noi ragioniamo in termini di molti o pochi, come se l’essere in tante/tanti fosse segno di sicura bontà di ciò che facciamo, di benedizione, o come se l’essere in poche/i fosse segno di predilezione, eccellenza (pochi, ma buoni).
Non è una questione neanche di “presenza”: “noi abbiamo mangiato e bevuto con te e tu hai insegnato nelle nostre piazze”, “Io c’ero a quella Messa”, “noi siamo sempre state presenti a tutti gli incontri, alle preghiere, alle adorazioni”. Noi c’eravamo. Sì, magari però solo fisicamente, magari abbiamo sentito le tue parole, ma non ci hanno scaldato il cuore, non hanno toccato le nostre vite, non è cambiato nulla per noi.
Non è una questione di “provenienza”: “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno”, “Noi, che siamo sempre stati cristiani..”, “Noi europei che abbiamo evangelizzato mezzo mondo..”, “Noi che per primi abbiamo creduto, che abbiamo conosciuto la tua Parola, che abbiamo donato alla Chiesa schiere di Congregazioni religiose, di sacerdoti, di santi…”. Noi.. adesso, rischiamo di essere gli “ultimi” nel tuo Regno, gli ultimi ad aprire il cuore agli altri, gli ultimi ad accogliere fratelli e sorelle, gli ultimi ad amare.
Ecco, forse è questo che rende stretta la porta e ci allontana da Dio, noi  “operatori di ingiustizia”. E’ una questione di “ingiustizia”: tutte le volte che mettiamo “io, noi” davanti all’altro e alla sua vita, tutte le volte che ci sentiamo sicure/i di meritare la salvezza per quello che facciamo, per quello che abbiamo, tutte la volte che non abbiamo il coraggio di amare davvero fino a dare la vita.
Aiutaci Signore a divenire “operatori di giustizia”, in modo da scoprire che in realtà la porta… non è poi così stretta!

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