Ed ecco,
un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per
avere la vita eterna?». Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono?
Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli
chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non
ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora
il padre e la madre e amerai il
prossimo tuo come te stesso». Il
giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?».
Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo
ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». (Mt. 19,16-21)
Secoli fa, passi simili del Nuovo
Testamento hanno portato, uomini e donne a ritirarsi nel deserto d’Egitto, per
vivere come il Signore Gesù: per loro, il Vangelo era la regola di vita.
L’esperienza di quei primi monaci, si è ripetuta più volte lungo i secoli, e
continua ancora oggi in molte forme diverse.
La chiamata alla vita religiosa fa
realmente parte del Vangelo, ma non è mai stata un comando, un’esigenza
universale. E’ per affermare questa verità che si parla dei voti anche come consigli evangelici, perché un
consiglio, di per sé, è sempre buono, ma non obbliga: sono una strada per arrivare
al vero fine, che è Dio e il suo Amore, ma non sono il fine della vita
religiosa, né tanto meno un possesso esclusivo dei religiosi.
L’obbedienza, la castità e la
povertà sono, infatti, delle virtù che ogni cristiano è chiamato a vivere
secondo la propria vocazione: obbedienza è cercare la volontà di Dio; castità è
amare Dio sopra ogni cosa e gli altri, come Cristo ha amato noi; povertà è vivere
senza essere “imprigionati”, legati dai propri beni, e generosi verso tutti.
Queste esortazioni che ritroviamo in tutta la Scrittura, ma soprattutto nei
vangeli, sono esigenze di vita cristiana valide ancora oggi per tutti gli
uomini e le donne di buona volontà.
Nel caso della vita religiosa queste
virtù rivestono un carattere più determinante, perché attraverso esse i
religiosi attuano la loro donazione totale a Dio e, in questo senso, si parlerà
di voti e non più di virtù. I voti esprimono una promessa fatta a Dio, un
impegnarsi con Lui e per Lui, nonostante la nostra debolezza e fidandosi del
suo Amore fedele. E’ solo nel medioevo che si comincia a chiamare “professione” questa promessa di vita
obbediente, povera e casta, fatta dai religiosi: una professione è pubblica,
stabile e riguarda direttamente chi la esercita, ne coinvolge l’intera vita.
Così per i frati e le suore: facendo la “professione dei consigli evangelici”
non promettono semplicemente a Dio di essere poveri, casti e obbedienti, ma si
impegnano ad assumere questi atteggiamenti come forma di vita stabile e
pubblica, così da manifestare apertamente il loro desiderio di consacrazione a
Dio e ai fratelli secondo lo stile del Vangelo.
Le origini bibliche della vita
religiosa ci dicono che essa non è semplicemente una forma di ascetismo, ma è un
dono di Cristo fatto alla Chiesa e una iniziativa divina nella vita di chi è
chiamato a dire con semplicità ed umiltà il proprio “sì, vengo!”.
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