mercoledì 6 novembre 2013

I VOTI – Un po’ di storia

La forma di vita desiderata per noi dal Fondatore ci impegna ad essere fedeli alle esigenze della vita comune e all’osservanza dei consigli evangelici, fervorose nella celebrazione comunitaria della liturgia eucaristica e delle ore, nell’orazione privata specialmente di adorazione, assidue nello studio, perseveranti nella regolare osservanza.
Costituzione fondamentale VI.
Ecco in poche parole riprese le articolazioni fondamentali della nostra vita domenicana, dove il vivere insieme e il pregare occupano un posto privilegiato, insieme all’osservanza dei “consigli evangelici”: l’obbedienza, la povertà, la castità.
Agli inizi della vita religiosa (fine del III sec. d.C.) e per molti secoli ancora, questa triade era completamente sconosciuta. Entrando in un monastero uno si impegnava semplicemente a obbedire a un abate che lo avrebbe guidato della vita spirituale e, nel caso dei cenobiti, a rispettare le regole della comunità. Ciò che si desiderava era seguire Gesù Cristo vivendo come Lui, con totale dedizione a Dio. Questo implicava concretamente lasciare il mondo e le sue ricchezze materiali e affettive. In questa concezione, la povertà e la castità rappresentavano più che altro dei valori evangelici nei quali crescere.
Intorno al VI sec., con l’espansione del cenobitismo, cioè della vita monastica in comunità, l’obbedienza diventa un impegno centrale, esplicitamente formulato nelle promesse monastiche. Per avere la formula completa dei 3 voti, si deve arrivare al XIII sec. quando papa Innocenzo IV aggiunse alla regola carmelitana il voto esplicito di castità e di povertà. Questa aggiunta, che corrispondeva al bisogno di dare una testimonianza più viva di fronte ai movimenti eretici radicali, non fu applicata dai Frati domenicani, che conservano ancora oggi il solo voto di obbedienza nella formula della professione religiosa.
Altri Ordini e Congregazioni ne hanno pure un quarto: la stabilità per i benedettini, l’umiltà per i caracciolini… La varietà di queste formule dice chiaramente che l’essenziale sta in qualcosa d’altro.

L’essenziale sta nel desiderio di una vita che già, su questa terra, trova totalmente radice e senso in Dio. Ed è unicamente questo desiderio di Dio, forte come il desiderio della terra per il pellegrino, che dà senso alla vita consacrata. “L’osservanza dei consigli evangelici” è per noi espressione di questa nostra nostalgia di Dio, del desiderio di intessere nella nostra vita quotidiana nuove relazioni, segnate da un Amore profondo e vitale, con noi stessi, con le persone, con le cose.

3 commenti:

Luisa ha detto...

Nella vita domenicana "..il vivere insieme e il pregare occupano un posto privilegiato": ho riflettuto su quest'espressione e non so se sia proprio così. Nella vita domenicana mi sembra che alcuni "pilastri" abbiano la stessa grande importanza e non ci sia un posto privilegiato rispetto ad un altro: certamente la vita comune, la preghiera sono per noi fondamentali, ma come lo sono anche la missione, ossia la predicazione, e lo studio. E questo perchè si intersecano l'un l'altro: predicare è una forma di preghiera, così come lo può essere lo studio e la vita comune.La missione si appoggia sullo studio e la vita comune è una predicazione .

sourirenad ha detto...

Lo dici bene: la vita è un intreccio; curandone un aspetto, si cura l'insieme! Penso al fatto che ogni membro della comunità ha una sensibilità particolare che, bene accolta e vissuta, aiuta tutta la comunità a tener insieme il tutto.

Sr Dominique ha detto...

Sì, la nostra vita è un intreccio. Forse non si dovrebbe parlare di "cose privilegiate", le parole hanno sempre un limite. Ma vorrei mettere dietro a quelle due parole, vivere insieme e pregare, due relazioni sulle quali la vita domenicana mette l'accento: la relazione con gli altri e con Dio. Queste due cose danno colore a tutta la vita domenicana. Così, semplicemente perché uno stile di vita è, in qualche modo, un modo di sentire. E ogni sensibilità ha un aspetto che cura particolarmente, senza perdere di vista l'insieme. Ma è profondamente giusto ciò che dici: nessun pilastro deve essere trattato come un assoluto, come se bastasse a se stesso. Per questo, appunto, sono pilastri.