venerdì 1 novembre 2013

ZUCCHE, LIBRI E CRISANTEMI



Articolo tratto dal Blog di Chiara Bertoglio
Buona Festa e buona lettura a tutti

Oggi, al supermercato, mi ha fatta riflettere il contrasto fra la vecchietta che tornava a casa con un mazzo di crisantemi gialli accanto al suo carrettino della spesa, e la giovane mamma carica di zucche finte per la festa di Halloween. 
Si parla fin troppo di Halloween: chi la giudica una festa satanica, chi la tollera a malapena, chi la festeggia con allegria, chi effettivamente ne approfitta per compiere atti malvagi o violenti. Di per sé, come chiunque mi conosce sa bene, io sono sempre contenta di ogni occasione di festeggiare; non mi attira per niente l'armamentario horror che si accompagna ad Halloween (c'è poco da fare: il brutto e l'orrido non fanno per me), ma non mi sembra nemmeno opportuno imbarcarsi in crociate degne di miglior causa. 
L'occasione del post, tuttavia, è il collegarsi mentale della scenetta di stamattina con una lettura che ho appena concluso. Si tratta di un libretto ormai dimenticato: credo che in pochi abbiano mai sentito parlare né del titolo ("Die Heiligsprechung des Johann Sebastian Bach": non è tradotto in italiano, ma lo si trova in inglese come "Bach and the heavenly choir") né dell'autore, Johannes Rüber. 
È la storia di un monaco benedettino che è anche musicista di alto livello (violinista ed organista), e che viene eletto Papa in modo inatteso, al termine di un conclave particolarmente complesso. Papa Gregorio, come sceglie di farsi chiamare in onore di colui dal quale il gregoriano prende nome, ha un solo obiettivo nel suo pontificato: riuscire a far proclamare santo Johann Sebastian Bach.
So che la maggioranza dei miei colleghi musicologi griderebbe allo scandalo alla sola idea: la musicologia, oltre ad aver perso la capacità di incantarsi davanti alla musica, ha anche perso ogni illusione sulla bontà di molti musicisti. Non temano, costoro: i noti episodi "piccanti" della giovinezza di Bach sono dovutamente riportati, ma - sorprendentemente - non scandalizzano né sono determinanti per la commissione che deve analizzare la vita di Bach nel processo di canonizzazione. 
Nemmeno il fatto che sia un luterano sembra un ostacolo insormontabile, anche se Papa Gregorio deve affrontare una notevole opposizione sia interna alla Chiesa cattolica, sia da parte di molti luterani. Verso la fine del romanzo, prima di ammalarsi gravemente, Papa Gregorio interviene all'udienza del processo di canonizzazione con il "miracolo" richiesto per attestare la santità di un candidato agli onori degli altari: prende il suo violino, e suona una delle Sonata per violino solo di "Saint Jean-Sébastien".

Ovviamente, è un lavoro di "fiction", anche se - a mio avviso - molto ben scritto, assai godibile e con diverse riflessioni tutt'altro che banali sulla musica, sulla fede e sulla vita. Quello che mi interessa, tuttavia, è il pensiero sulla santità che ne nasce. Troppo spesso, secondo me, siamo abituati a pensare alla santità come perfezione; alla vita oltre alla morte come sopravvivenza; all'essere santi in termini di agiografia. Bach sicuramente non era un "santino": era un essere umano molto concreto, con tutti i desideri delle persone normali; con l'amore per mogli e figli; con una certa ambizione professionale ed un concetto di sé non "mortificato" (e anche qui, troppo spesso prendiamo l'umiltà per mortificazione).
Ma se la santità è il risplendere nel quotidiano della bellezza e della grazia dell'Onnipotente, allora sì, Bach è santo; come sono sante milioni e miliardi di persone che incontriamo quotidianamente.
A volte si dice che se Dio ci fosse non ci dovrebbe essere il male. Io penso che il fatto che ci sia del bene è il segno che Dio c'è.
Credo allora che i giorni che ci apprestiamo a vivere possano essere un'occasione per meditare sulla vita e sulla santità.
Il rapporto della società attuale con la morte è spesso quello della rimozione, oppure della credenza in una sorta di vaga sopravvivenza (basti pensare alle quantità di peluches ed oggetti quotidiani con cui si commemorano i defunti, in modo così simile alle vivande che gli Etruschi sistemavano all'interno delle necropoli); ci manca l'idea che la morte possa essere una rivoluzione, un incontro con la verità di noi stessi, un ingresso in una vita tanto vera che quella attuale è solo una "Shadowland", come leggevo oggi in un bellissimo blog.
E il rapporto del nostro mondo con l'aldilà oscilla tra l'idolizzazione di alcuni defunti - così diversa dal culto dei santi - e la fuga da una realtà che terrorizza.
Forse potremmo provare ad entrare in modo diverso in questo mistero: utilizzando la porta dell'amore e della bellezza. Ciò che abbiamo amato e ciò che di bello abbiamo fatto, vissuto, donato, è qualcosa che non smette di vivere; e la "vita-in-Dio", come preferisco chiamare l'aldilà, è la realtà vera dell'essere umano, nella quale ogni cosa bella trova il proprio senso e la propria verità. "Going home, going home, I'm just going home", recita il testo dello spiritual che Dvorak ha inserito nella Sinfonia "Dal nuovo mondo": oltre ai crisantemi, oltre alle lacrime di chi resta, c'è un incanto che ci attende, in cui saremo "concittadini dei santi" (come Bach, NdR!) "e familiari di Dio". Buona festa dei santi a tutti!

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