venerdì 22 novembre 2013

Vivere per il Regno

I voti sembrano essere proprio l’opposto dei valori e degli ideali ai quali l’uomo aspira. Difatti, benché essi abbiano un profondo ancoraggio antropologico, non possiamo negare la nostra difficoltà a comprenderli, senza la quale non sarebbero cammini di fede. Eppure, vivere i voti è accettare di assumere nella propria vita Cristo stesso, il vero progetto di Dio per l’uomo, un progetto che va oltre le realtà di questa terra; oltre ma non contro, perché i voti non negano la nostra umanità. Bisogna entrare nella loro dinamica per capire quale strada essi aprano per tutta l’umanità, e non solo per chi li vive.
“Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.” 1 Cor 1, 21-25.
L’obbedienza
Cominciamo a parlare del voto di obbedienza per 3 ragioni. La prima è di ordine cronologico: il voto di obbedienza è stato il primo ad entrare nelle formule di professioni monastiche. Con questo voto, ci si impegnava a osservare tutte le esigenze della vita monastica, tra le quali il celibato. La seconda ragione è dovuta al fatto che, nell'Ordine domenicano, i Frati continuano a professare il solo voto di obbedienza. Ma, come abbiamo appena detto, in esso sono inclusi tutti gli altri voti e le altre esigenze della vita domenicana, come la vita comune, la predicazione.
La terza ragione è la più importante di tutte e permette subito di distinguere l’obbedienza per il Regno da tutte le altre forme di obbedienza. La troviamo nella lettera ai Filippesi:
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce. (Fil 2, 6-8)

L’obbedienza non è un atteggiamento passivo. Fare voto di obbedienza è assumere gli stessi sentimenti di Cristo, che durante la vita si fece “obbediente fino alla morte”. Obbedire deriva dal latino “ob-audire” ed indica un ascolto attento, intenso: siamo chiamate ad ascoltare la vita, ascoltare intensamente, con attenzione, che cosa il Signore ci dice nella nostra vita di ogni giorno, per poi rispondere.
L’obbedienza ci chiama ad essere responsabili nella storia: impariamo giorno dopo giorno a rispondere a quanto ascoltato prendendo l’iniziativa, offrendo, cioè, con libertà ed umiltà la nostra parola, il nostro pensiero, la nostra volontà perché il Signore realizzi attraverso noi il suo Regno di amore e di giustizia.

Attraverso il voto di obbedienza siamo chiamati ad essere profeti di un Dio che entra in dialogo con l’uomo e vuole liberamente farsi amare da Lui. Un Dio per il quale siamo tutti interlocutori ricercati, per il quale la parola di ogni uomo è fondamentale nella sua stessa storia e nella storia di tutta la creazione. Per noi domenicani, questo aspetto dell’obbedienza è importantissimo: per questo S. Domenico ha voluto che la parola di tutti, espressa nel Capitolo generale, fosse la parola più decisiva all’interno della vita dell’Ordine.

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