giovedì 20 febbraio 2014

..UN SOLO CORPO..



“Non sono più io a vivere, ma Cristo vive in me!”
“Questo è ciò che viviamo nella celebrazione euca­ristica. Questo è ciò che viviamo anche quando vi­viamo una vita eucaristica. È una comunione così in­tima, così santa, così sacra e così spirituale che i nostri organi di senso non riescono più a percepirla. Non riusciamo più a vederlo con i nostri occhi mor­tali, a sentirlo con i nostri orecchi mortali o a toc­carlo con i nostri corpi mortali.”
Come i due discepoli non lo vedono più nel momento in cui lo riconoscono, così nel momento in cui ci nutriamo del Corpo e del Sangue di Gesù perdiamo il “contatto” con l’umanità di Gesù, sembra quasi di restare “soli”, per entrare, invece, in una intimità più profonda.
“Quando mangiamo del suo cor­po e beviamo del suo sangue, accettiamo la solitudi­ne che viene dal non averlo più alla nostra tavola co­me un compagno che ci consola nella conversazione, che ci aiuta ad affrontare le perdite della nostra vita quotidiana. È la solitudine della vita spirituale, la so­litudine del sapere che egli ci è più vicino di quanto noi possiamo mai esserlo a noi stessi.”
La comunione con Gesù ci porta a diventare come Lui, ad essere con Lui inchiodati sulla croce e con Lui risorti, ci introduce nel Regno dove i criteri del separare, del valutare, del giudicare non sono più gli stessi.
“Là apparteniamo a Cri­sto e Cristo a noi, e con Cristo apparteniamo a Dio. All'improvviso i due discepoli, che hanno mangiato il pane e lo hanno riconosciuto, sono di nuovo soli. Ma non con l'isolamento con cui avevano cominciato il viaggio. Sono soli, insieme, e sanno che è stato crea­to un nuovo legame tra loro. Non guardano più in basso con il volto triste. Si guardano in faccia e di­cono: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spie­gava le Scritture?».”
La comunione con Gesù crea comunità: è Cristo che ci unisce in un modo nuovo e il suo Spirito ci permette di riconoscere non solo il Risorto, ma anche gli altri come fratelli e sorelle nel cammino di fede.
“La co­munione ci fa guardare l'un l'altro e parlare l'uno al­l'altro non delle notizie più recenti, ma di colui che camminava con noi. Ci scopriamo tutti come perso­ne che si appartengono, perché ognuno di noi appartiene a lui. Siamo soli, perché egli è scomparso dal­la nostra vista, ma siamo insieme perché ognuno di noi è in comunione con lui diventando così un unico corpo attraverso di lui.”
Partecipare alla vi­ta intima di Dio ci porta a partecipare alla vita l'uno dell'altro in modo nuovo: tutti noi che ci nutriamo dello stesso pane e dello stesso calice siamo diventati un solo corpo, un corpo spirituale, che si manifesta però in modi molto concreti: nel perdono, nella riconciliazione, nel mu­tuo sostegno, nell'aiuto alle persone nel bisogno, nella solidarietà con tutti quelli che soffrono e in una preoccupazione sempre maggiore per la giustizia e la pace. In questo modo la comunione non crea soltan­to comunità, ma la comunità conduce sempre alla missione.”

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