Pubblichiamo
a partire da oggi e per i prossimi giovedì un intervento di p. Timothy Radcliffe, già Maestro Generale dei domenicani,
alle «Giornate nazionali di pastorale giovanile vocazionale» della Conferenza
dei religiosi spagnoli, a Madrid (2004).
E’ un testo interessante per gli spunti di
riflessione che offre, per lo sguardo estremamente concreto e reale sull’Eucaristia
e sull’amore che in essa viene offerto, sulla nostra stessa capacità di amare.
Sarebbe bello condividere i nostri pensieri, le nostre reazioni a quanto
leggeremo: apriamo volentieri un dialogo, un confronto.. Buona lettura e
condivisione!
Non sono sicuro del significato
esatto della parola «affettività» in spagnolo. In inglese affectivity implica
non solo la capacità di amare, ma anche il nostro modo di amare in quanto
dotati di sessualità, dotati di emozioni, corpo e passioni. Nel cristianesimo
parliamo molto di amore, ma dobbiamo amare come siamo, con la nostra
sessualità, i desideri, le forti emozioni, la necessità di toccare e stare
vicini all’altro.
È strano che non ci venga bene
parlare di questo, perché il cristianesimo è la più corporale delle religioni.
Crediamo che è stato Dio a creare questi corpi e a dire che erano cosa molto
buona.
Dio si è fatto corpo fra di noi,
essere umano come noi. Gesù ci ha dato il sacramento del suo corpo e ha
promesso la resurrezione dei nostri corpi. Sicché dovremmo sentirci a casa
nella nostra natura corporale, appassionata... e a nostro agio nel parlare di
affettività!
Eppure quando la Chiesa parla di
queste cose, la gente non rimane convinta. Non abbiamo abbastanza autorità
quando parliamo di sesso! Dio si è incarnato in Gesù Cristo, ma forse noi
stiamo ancora imparando ad incarnarci nei nostri stessi corpi. Dobbiamo
scendere dalle nuvole!
Una volta san Crisostomo, che
stava predicando sul sesso, notò che alcuni arrossivano e si indignò: “Perché
vi vergognate? L’argomento non è puro? Vi state comportando come eretici” (12ma
omelia sull’epistola ai Colossesi). Pensare che il sesso faccia repulsione
è un fallimento dell’autentica castità e, secondo nientemeno che san Tommaso
d’Aquino, un difetto morale! (II, II, 142. 1). Dobbiamo imparare ad amare per
quello che siamo, esseri dotati di sessualità e di passioni - a volte un po’
disordinati - o non avremo niente da dire su Dio, che è amore.
Voglio parlare di Ultima Cena e
sessualità. Può sembrare un po’ strano, ma pensateci un momento. Le parole
centrali dell’Ultima Cena sono state: «Questo è il mio corpo, offerto per voi».
L’eucarestia, come il sesso, è centrata sul dono del corpo. Vi rendete conto
che la prima lettera di san Paolo ai Corinzi si muove fra due temi, la sessualità
e l’eucarestia? Ed è così perché Paolo sa che abbiamo bisogno di capire l’una alla
luce dell’altra. Comprendiamo l’Eucarestia alla luce della sessualità e la
sessualità alla luce dell’Eucarestia.
Per la nostra società è molto
difficile capire questo perché tendiamo a vedere i nostri corpi semplicemente
come oggetti che ci appartengono. L’altro giorno vidi un libro sul corpo umano
che si intitolava: Uomo: tutti i modelli, forme, misure e colori. Manuale dell’utente
Haynes per proprietari (Haynes è la stampa di una serie di manuali di tutte
le marche di automobili). Era il tipo di manuale del proprietario che ti danno
con un’automobile o una lavatrice. Se pensi al tuo corpo in questo modo, come
la cosa più importante che possiedi insieme ad altre cose, allora gli atti
sessuali non sono particolarmente significativi. Posso fare quel che mi pare
con le mie cose se non faccio male a nessuno. Posso usare la mia lavatrice per
mescolare pitture o impastare. È mia. E dunque, perché non posso fare quello
che voglio con il mio corpo?
È un modo naturale di pensare perché, a partire
dal XVIII secolo, abbiamo assolutizzato quanto basta i diritti di proprietà.
Essere umani è possedere.
Ma l’Ultima Cena guarda ad una
tradizione più antica e più saggia. Il corpo non è solo una cosa che possiedo,
sono io, è il mio essere come dono ricevuto dai miei genitori e dai loro prima
di loro e, in ultima istanza, da Dio. Per questo quando Gesù dice «Questo è il
mio corpo, offerto per voi» non sta disponendo di qualcosa che gli appartiene,
sta passando agli altri il dono che lui è.
Il suo essere è un dono del Padre
che Egli sta trasmettendo.
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