Continuiamo la
pubblicazione dell’intervento di p. Timothy Radcliffe (4).
La castità non è innanzitutto la
soppressione del desiderio, almeno secondo la tradizione di san Tommaso
d’Aquino. Il desiderio e le passioni contengono verità profonde su chi siamo e
su cosa abbiamo bisogno. Il semplice sopprimerli farà di noi esseri morti
spiritualmente o persone che un giorno si autodistruggeranno. Dobbiamo educare
i nostri desideri, aprire gli occhi su quello che veramente chiedono, liberarli
dai piccoli piaceri.
Abbiamo bisogno di desiderare più
profondamente e con maggiore chiarezza.
San Tommaso ha scritto qualcosa
che viene facilmente fraintesa. Diceva che la castità è vivere secondo l’ordine
della ragione (II, II, 151. 1). Suona molto freddo e cerebrale, come se essere
casto fosse una questione di potere mentale. Ma per Tommaso “ratio” significa
vivere nel mondo reale, «in conformità con la verità delle cose reali» (Josef
Pieper, The Four Cardinal Virtues, Notre Dame 1966, p. 156). Cioè vivere
nella realtà di quello che sono io e di quello che sono le persone che amo
realmente.
La passione e il desiderio
possono portarci a vivere nella fantasia.
La castità ci fa scendere dalle
nuvole, facendoci vedere le cose come sono.
Per i religiosi, o a volte per gli
scapoli, ci può essere la tentazione di rifugiarsi nella fantasia perniciosa
che siamo eteree figure angeliche, che non hanno nulla a che vedere col sesso.
Questo può sembrare castità, ma è una perversione della stessa.
Ciò mi ricorda
uno dei miei fratelli che andò a dire messa in un convento. La sorella che gli
aprì la porta lo guardò e disse: «Ah, è lei padre, stavo aspettando un uomo».
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