giovedì 29 maggio 2014

Castità è accogliere il principio di realtà



Continuiamo la pubblicazione dell’intervento di p. Timothy Radcliffe (4).

La castità non è innanzitutto la soppressione del desiderio, almeno secondo la tradizione di san Tommaso d’Aquino. Il desiderio e le passioni contengono verità profonde su chi siamo e su cosa abbiamo bisogno. Il semplice sopprimerli farà di noi esseri morti spiritualmente o persone che un giorno si autodistruggeranno. Dobbiamo educare i nostri desideri, aprire gli occhi su quello che veramente chiedono, liberarli dai piccoli piaceri.
Abbiamo bisogno di desiderare più profondamente e con maggiore chiarezza.
San Tommaso ha scritto qualcosa che viene facilmente fraintesa. Diceva che la castità è vivere secondo l’ordine della ragione (II, II, 151. 1). Suona molto freddo e cerebrale, come se essere casto fosse una questione di potere mentale. Ma per Tommaso “ratio” significa vivere nel mondo reale, «in conformità con la verità delle cose reali» (Josef Pieper, The Four Cardinal Virtues, Notre Dame 1966, p. 156). Cioè vivere nella realtà di quello che sono io e di quello che sono le persone che amo realmente.
La passione e il desiderio possono portarci a vivere nella fantasia.
La castità ci fa scendere dalle nuvole, facendoci vedere le cose come sono.
Per i religiosi, o a volte per gli scapoli, ci può essere la tentazione di rifugiarsi nella fantasia perniciosa che siamo eteree figure angeliche, che non hanno nulla a che vedere col sesso. Questo può sembrare castità, ma è una perversione della stessa. 
Ciò mi ricorda uno dei miei fratelli che andò a dire messa in un convento. La sorella che gli aprì la porta lo guardò e disse: «Ah, è lei padre, stavo aspettando un uomo».

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