giovedì 22 maggio 2014

Amare è pericoloso!



Continuiamo la pubblicazione dell’intervento di p. Timothy Radcliffe (3).


Aprirsi all’amore è molto pericoloso. Uno, probabilmente, si fa male.
L’Ultima Cena è la storia del rischio dell’amore. È per questo che Gesù è morto, perché ha amato. Uno che risveglia desideri e passioni profonde e sconcertanti può correre il pericolo di rovinare la propria vocazione e di vivere una doppia vita. Avrà bisogno della grazia per evitare il pericolo, ma non aprirsi all’amore è ancora più pericoloso, è mortale. Ascoltate C. S. Lewis:
«Amare è in ogni caso essere vulnerabili. Ama qualcosa e il tuo cuore certamente sarà diviso e rotto. Se vuoi essere sicuro di mantenerlo intatto, non darlo a nessuno, neppure ad un animale. Avvolgilo attentamente in hobbies e piccoli lussi; evita ogni coinvolgimento amoroso; chiudilo al sicuro nell’urna o nella bara del tuo egoismo. Ma nell’urna - sicura, oscura, immobile, senza aria - cambierà. Non si romperà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irrimediabile. L’alternativa alla tragedia, o almeno al rischio della tragedia, è la condanna. L’unico luogo, a parte il cielo, dove può essere perfettamente salvo da tutti i pericoli e perturbazioni dell’amore è l’inferno» (The Four Loves, London 1960, p 111).
Quando celebriamo l’Eucarestia, ricordiamo che il sangue di Cristo è versato «per te e per tutti». Il mistero dell’amore, nel più profondo, è insieme particolare e universale. Se il nostro amore è solo particolare, allora corre il rischio di diventare introverso e soffocante. Se è solamente un vago amore universale per tutta l’umanità, allora corre il rischio di diventare vuoto e senza senso. La tentazione per una coppia è di tenersi un amore intenso ma chiuso ed esclusivo. Si salva appena dall’essere distruttivo con l’arrivo di una terza persona, il bambino che espande il loro amore.
La tentazione dei celibi potrebbe essere tendere verso un amore che è solamente universale, un vago e caldo amore per tutta l’umanità. Dickens ci parla, in Black House, di Mrs. Jellyby che aveva una «filantropia telescopica», perché non poteva vedere niente che fosse più in qua dell’Africa.
Amava gli africani in generale, ma non si curava della vita dei propri figli.
Non possiamo rifugiarci in questa filantropia telescopica. Avvicinarci al mistero dell’amore significa anche amare, persone concrete, alcune con amicizia, altre con profondo affetto. Dobbiamo imparare ad integrare questi amori nella nostra identità come religiosi, come sposati o come single. Mi dicono che nel passato si soleva mettere in guardia i religiosi dalle «amicizie particolari». Il nostro venerabile Gervase Matthew diceva sempre che gli facevano più paura le «inimicizie particolari»!
Bede Jarret, domenicano, fu provinciale della provincia (dei domenicani) di Inghilterra negli anni ‘30. Una volta scrisse una bella lettera ad un giovane benedettino, di nome Hubert van Zeller, che dopo la guerra divenne un famoso scrittore di spiritualità. Questo giovane monaco si era innamorato di una persona che conosciamo solo come P. Fu un‘esperienza spaventosa. Temeva che fosse la fine della sua vocazione religiosa. Bede vide che era il principio. Permettetemi di farvene una lunga citazione. È impressionante pensare che sia stata scritta settanta anni fa. «Gioisco (del tuo innamoramento) perché credo che la tua tentazione sia sempre stata il puritanesimo, una costrizione, una certa mancanza di umanità. La tua tendenza era quasi la negazione della santificazione della materia. Eri innamorato del Signore, ma non autenticamente innamorato dell’incarnazione. Eri realmente spaventato. Pensavo (imputandoti ogni sorta di mali senza averne prova) che, se ti fossi rilassato un momento, saresti esploso. Eri pieno di inibizioni. Quasi ti uccidevano. Quasi uccidevano la tua umanità. Ti faceva paura la vita perché volevi essere santo e sapevi che eri un artista. L’artista che è in te vedeva bellezza da ogni parte; l’uomo che voleva essere santo in te diceva: ‘Caspita, ma questo è terribilmente pericoloso ‘; il novizio dentro di te diceva: ‘tieni gli occhi ben chiusi’; Claud (il suo nome di battesimo), quasi saltavi per aria. Se P. non fosse nella tua vita, saresti potuto scoppiare. Credo che P. salverà la tua vita. Dirò una messa di ringraziamento per quello che P. ha rappresentato, e ha fatto, per te. Da molto tempo avevi bisogno di P. I tuoi parenti non avrebbero potuto sostituire la sua presenza. Tantomeno i vecchi e corpulenti provinciali» (ed. by Bebe Bailey, Adam Belenger and Simon Tugwell, Letters of Bebe Jarret, Downside and Blackfriars, 1989, p. 180).
Non sto suggerendo che dovremmo tutti correre fuori di qui alla ricerca di qualcuno da amare! Dio ci invia gli amori e le amicizie che sono pane del nostro cammino verso di Lui, che è la pienezza dell’amore. Aspettiamo coloro che Dio ci invia e quando e come ce li invia. Ma quando arrivano, allora dobbiamo affrontare il momento, come fece Gesù nell’Ultima Cena.
Quando amiamo qualcuno profondamente, allora dobbiamo imparare ad essere casti. Ognuno, scapolo, sposato o religioso è chiamato alla castità. Non è una parola popolare di questi tempi, suona bacchettona, fredda, distante, mezzo morta, per niente attraente. Herbert McCabe, domenicano, ha scritto che «la castità che non è manifestazione d’amore è essenzialmente il cadavere della vera castità» (Law, love and language, p. 22).
 

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