giovedì 31 ottobre 2013

PRESENZA REALE E ADORAZIONE



Nel capitolo precedente P. Pierre Claverie aveva approfondito il momento dell'istituzione dell'Eucaristia, il memoriale della Pasqua di Gesù: il pane e il vino diventano il segno della sua presenza reale, con la potenza della risurrezione. Ma è presente anche nell'Assemblea che sta celebrando e che, grazie allo Spirito, è “corpo stesso di Cristo nella storia” ed è dall’incontro tra Assemblea e i segni del pane e del vino che si realizza concretamente la Presenza reale.
“È importante sottolineare innanzitutto che il corpo eu­caristico non diviene Presenza reale del Cristo risuscitato se non in e mediante il corpo ecclesiale, questo corpo dei di­scepoli, abitato dallo Spirito di Dio per essere la prefigura­zione del suo Regno d'amore. Bisogna dunque entrare nel mondo sacramentale perché la trasformazione avvenga: non si tratta soltanto del pane e del vino che divengono Presenza reale di Gesù risuscitato, corpo e sangue di Cri­sto, bensì dell’assemblea tutt’intera che riceve lo Spirito e fa corpo di Cristo.”
Fuori dal contesto di un’Eucaristia celebrata insieme, non succede nulla se si ripetono le stesse parole su del pane e del vino. All’origine della Chiesa, il termine “corpo di Cristo” indicava l’insieme dei credenti e non il pane consacrato: il popolo di Dio era “il vero corpo di Cristo”, l’ostia “il corpo mistico o sacramentale”.
“Nello stesso senso, per i primi cristiani il termine comunione evocava la Chiesa che lo Spirito man­teneva nell'unità dell'amore: avveniva che, per significarlo, «per manifestare che si era in comunione con le altre co­munità cristiane, s'inviava un legato, generalmente un ve­scovo che, come pegno dell'affetto per questa Chiesa lonta­na, portava con sé un pane consacrato che sarebbe stato aggiunto all'eucaristia locale del paese in cui era stato in­viato». La comunione era dunque la «comune unione» del­la Chiesa in crescita.”
Pane e vino sono “segni..e non la realtà a cui conducono e che realizzano”: sono segni di una Presenza che riempie tutto l’universo (Dio non può essere racchiuso in un luogo definito). Come per ogni presenza umana: “non è legata a luoghi, a descrizioni esteriori, a definizioni. Essa è riconoscibile nella relazione personale e mediante «segni che interpel­lano» e ci rendono presenti gli uni agli altri. Non si è pre­senti in un posto come una sedia: ci si rende presenti mediante un segno, che è un invito a entrare in relazione.”
Si diventa segno per gli altri: così Gesù con noi. Attraverso il pane e il vino si rende segno, ossia ci invita ad entrare in relazione con Lui così come siamo. “Facciamo corpo con lui ed egli prende corpo in noi.”
L’adorazione dell’Eucaristia è un modo di entrare in relazione con il Signore, ma appunto “la Chiesa ha sempre sostenuto fer­mamente che il pane, anche esposto all'adorazione, è de­stinato alla condivisione e che là risiede il suo significato; per mezzo di questo pane Gesù c’invita a essere tutt’uno con lui, a entrare con lui nella sua intenzione espressa al­la vigilia della sua passione e a comunicare fra noi mediante la nostra partecipazione a quest’intenzione di dona­re la sua vita.”
Cristo ci chiede di donare la nostra vita per amore, di uscire da noi stessi per andare a Lui, “per adorarlo e servirlo non solamente in una processione di comunione, ma anche nell'incontro quoti­diano che egli ci propone. Perché, ancora una volta, l'eucaristia è una chiamata per tutta la vita e se essa ci spinge ad assumere certi com­portamenti, è perché noi vi restiamo fedeli una volta ter­minata la celebrazione. Sacramento e vita non sono da se­parare, perché il sacramento ha il compito di plasmare la vita, di realizzare il Regno nella vita. Per mezzo dell'euca­ristia siamo chiamati, da una parte, a divenire nel mondo presenza, corpo di Cristo – con il suo Spirito d'amore – e, d'altra parte, a spezzare il pane dell'amore per tutti, a con­dividerlo con tutti e particolarmente con gli affamati. Per­ché l'ultima cena di Gesù ci ricorda anche gli altri suoi pa­sti nel corso dei quali ha spezzato il pane: a casa dei pub­blicani e dei peccatori, per la folla affamata e senza pasto­re che lo seguiva nel deserto. Il corpo risuscitato di Gesù ci interpella, ci fa segno nel pane e in tutti quelli che hanno fame del pane dell'amore.”

1 commento:

Anonimo ha detto...

«Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Infatti, colui che ha detto "questo è il mio corpo" è il medesimo che ha detto "voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito". A che serve che la tavola di Cristo sia sovraccarica di calici d'oro, quando egli muore di fame? Comincia a saziare lui affamato e poi potrai anche ornare la sua tavola.
Tu fabbrichi un calice d'oro e non dai un bicchier d'acqua. Addobbando la sua casa, bada di non disprezzare tuo fratello che soffre, perché questo tempio è più prezioso di quell'altro...
Chi pratica l'elemosina esercita una funzione sacerdotale. Vuoi vedere il tuo altare? Quest'altare è costituito dalle membra che appartengono al corpo di Cristo. E il corpo del Signore diviene per te il tuo altare. Vèneralo. È più augusto che l'altare di pietra dove celebri il santo sacrificio. E tu onori l'altare che riceve il corpo di Cristo e disprezzi quello che è il corpo di Cristo. Quell'altare, ovunque ti è possibile contemplarlo: nelle strade, sulle piazze, e ad ogni ora tu puoi celebrarvi la liturgia» (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO).