Antonio
Ghislieri nacque a Bosco Marengo, in Piemonte, e a quattordici anni entrò
nell’Ordine a Voghera assumendo il nome di Michele. Negli anni di preparazione
al sacerdozio, insieme a solida formazione teologica – facilitata da
un0intelligenza vivida – maturò un’intensa vita di pietà e manifestò quella
austerità di vita che gli avrebbe meritato tanta stima negli anni successivi.
Fu professore a Bologna e a Pavia, Inquisitore della Fede in Lombardia,
Commissario generale dell’Inquisizione, vescovo di Nepi e Sutri, cardinale del
titolo di Santa Maria sopra Minerva, vescovo di Mondovì, papa col nome di Pio
V. Il suo breve pontificato (1566-1572) è tra i più gloriosi della Chiesa. Con
instancabile energia rese efficaci i decreti del Concilio di Trento, riformò il
messale e breviario romano, lavorò con fermezza al miglioramento dei costumi,
sostenne vigorosamente la lotta col protestantesimo; contro il pericolo
ottomano che minacciava la cristianità organizzò una campagna che si concluse
nella strepitosa vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571): a testimoniare la
gratitudine verso Maria – alla cui invocazione con la preghiera del Rosario, il
santo Pontefice attribuì la disfatta navale – istituì la festa della Madonna
della Vittoria.
Morì
il primo maggio 1572 e venne sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Fu
canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712.
Dalla
liturgia:
In ogni sua opera glorificò
il Santo altissimo con parole di lode; cantò inni a lui con tutto il cuore. (Sir 47, 9)
Dai “Commenti sul Vangelo di
Giovanni” di san Tommaso d’Aquino, sacerdote e dottore della Chiesa
Gesù
disse: “IO sono il buon pastore” (Gv 10,11). A Cristo compete chiaramente di
essere pastore. Infatti, come il gregge viene guidato e pascolato dal pastore,
così i fedeli sono nutriti da Cristo con un cibo spirituale, mediante il suo
corpo ed il suo sangue.
Ma
per differenziarsi da chi è pastore cattivo e ladro, egli aggiunge: “buono”.
Sì, “buono”, perché assolve il compito del pastore, come si dice buon soldato
chi assolve il compito del soldato. Ma siccome Cristo aveva detto prima che il
pastore entra per la porta e che egli è la porta, mentre qui dice di essere il
pastore, ne segue che egli entra attraverso se stesso. E veramente entra
attraverso se stesso, perché rivela se stesso e per se stesso conosce il Padre.
Noi invece entriamo per lui, perché da lui siamo resi beati. Osserva bene però
che nessun altro, all’infuori di lui, è la porta, perché nessun altro è la luce
vera, ma la possiede solo in quanto gli viene partecipata da lui. “Egli non era
la luce”, è detto di Giovanni Battista, “ma venne per rendere testimonianza
alla luce” (Gv 1,8). Invece di Cristo è detto “era la luce vera, quella che
illumina ogni uomo” (Gv 1,9). E perciò nessuno può dire di essere la porta.
Cristo riservò questo solo a se stesso.
Il
compito invece di essere pastori l’ha comunicato anche ad altri e l’ha
partecipato ai suoi. Infatti Pietro fu Pastore, lo furono gli altri apostoli,
lo sono tutti i buoni vescovi: “Vi darò pastori secondo il mio cuore” (Ger
3,15). Sebbene, infatti, i capi della Chiesa, che sono suoi figli, tutti siano
pastori, come dice sant’Agostino, tuttavia dice di esserlo lui in modo
singolare: “Io sono il buon pastore”, allo scopo di raccomandare la virtù della
carità. Nessuno infatti può essere buon pastore, se mediante la carità non
forma una sola cosa con Cristo e non diventa membro del vero pastore.
La
carità è il primo compito del buon pastore, perciò dice: “Il buon pastore dà la
vita per le sue pecore” (Gv 10,11). Infatti c’è questa differenza tra il buono
e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge,
mentre il cattivo ha di mira il proprio. E questa differenza è attestata dal
profeta quando dice: “Guai ai pastori che pascolano se stessi. Non sono forse i
greggi che devono essere pasciuti dai pastori?” (Ez. 34,2). Chi dunque si serve
del gregge per pascere se stesso, non è buon pastore. Il buon pastore invece si
fa carico di molte cose per il gregge di cui vuole il bene. Giacobbe disse:
“Giorno e notte ero consumato dal caldo e dal gelo” (Gn 31,40).
Ma
siccome la salvezza del gregge spirituale vale più che la vita corporale de
pastore, quando incombe il pericolo del gregge, ogni pastore di anime deve
sentirsi pronto ad affrontare il sacrificio della vita corporale per la
salvezza del gregge. E questo è ciò che dice il Signore: “Il buon pastore dà la
propria vita”, la sua vita fisica cioè “per le sue pecore” (Gv 10,11). Egli
consacra a loro la sua persona nell’esercizio dell’autorità e della carità.
Di
questo insegnamento Cristo ci ha dato l’esempio: “Se Cristo ha dato la sua vita
per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16).
Salmo 20
Signore,
il re gioisce della tua potenza!
Quanto
esulta per la tua vittoria!
Hai
esaudito il desiderio del suo cuore,
non
hai respinto la richiesta delle sue labbra.
Gli
vieni incontro con larghe benedizioni,
gli
poni sul capo una corona di oro puro.
Vita
ti ha chiesto, a lui l'hai concessa,
lunghi
giorni in eterno, per sempre.
Grande
è la sua gloria per la tua vittoria,
lo
ricopri di maestà e di onore,
poiché
gli accordi benedizioni per sempre,
lo
inondi di gioia dinanzi al tuo volto.
Perché
il re confida nel Signore:
per
la fedeltà dell'Altissimo non sarà mai scosso.
La
tua mano raggiungerà tutti i nemici,
la
tua destra raggiungerà quelli che ti odiano.
nel
giorno in cui ti mostrerai;
nella
sua ira li inghiottirà il Signore,
li
divorerà il fuoco.
Eliminerai
dalla terra il loro frutto,
la
loro stirpe di mezzo agli uomini.
Perché
hanno riversato su di te il male,
hanno
tramato insidie; ma non avranno successo.
Hai
fatto loro voltare la schiena,
quando
contro di loro puntavi il tuo arco.
Àlzati,
Signore, in tutta la tua forza:
canteremo
e inneggeremo alla tua potenza.
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