E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo
calice
non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”..
Mt 26,42
Il Getsemani, o Monte degli
ulivi, è uno dei luoghi più venerabili della cristianità. Certo, gli alberi non
risalgono al tempo di Gesù; durante l’assedio di Gerusalemme, Tito fece
abbattere tutti gli alberi nei vasti dintorni della città. Il Monte degli
ulivi, tuttavia, è lo stesso di allora. Chi lì si trattiene, si trova davanti
ad un culmine drammatico del mistero del nostro Redentore: qui Gesù ha
sperimentato l’ultima solitudine, tutta la tribolazione dell’essere uomo. Qui
l’abisso del peccato e di tutto il male gli è penetrato nel più profondo
dell’anima. Qui è stato toccato dallo sconvolgimento della morte imminente. Qui
il traditore lo ha baciato. Qui tutti i discepoli lo hanno lasciato. Qui Egli
ha lottato anche per me.
Dopo la rituale recita in comune
dei Salmi, Gesù prega da solo come durante tante notti in precedenza. Lascia,
tuttavia, vicino a sé il gruppo dei tre – noto da altri contesti e in
particolare dal racconto della trasfigurazione – Pietro, Giacomo e Giovanni.
Così questi, anche se ripetutamente sopraffatti dal sonno, diventano testimoni
della sua lotta notturna. Marco ci racconta che Gesù cominciò a “sentire paura
e angoscia”. Il Signore dice ai discepoli: “La mia anima è triste fino alla
morte. Restate qui e vegliate!”.
L’appello alla vigilanza è già
stato un tema di fondo nell’annuncio a Gerusalemme e adesso appare con
un’urgenza molto immediata. Ma pur riferendosi proprio a quell’ora, tale
appello rimanda in anticipo alla storia futura della cristianità. La sonnolenza
dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole per il potere del
male. Questa sonnolenza è un intorpidimento dell’anima, che non si lascia
scuotere dal potere del male nel mondo, da tutta l’ingiustizia e da tutta la
sofferenza che devastano la terra.
E’ un’insensibilità che
preferisce non percepire tutto ciò; si tranquillizza col pensiero che tutto, in
fondo, non è poi tanto grave, per poter così continuare nell’autocompiacimento
della propria esistenza soddisfatta.
Ma questa insensibilità delle
anime, questa mancanza di vigilanza sia per la vicinanza di Dio che per la
potenza incombente del male, conferisce al maligno un potere nel mondo.
Di fronte ai discepoli
assonnati e non disposti ad allarmarsi, il Signore dice di se stesso: “La mia
anima è triste fino alla morte”. E’ questa una parola del Salmo 43,5.
Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 3
pag. 169-173
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Una grande solitudine circonda
Gesù nel Getsemani, spesso questa solitudine si ripete intorno al
Tabernacolo.
P. Giocondo Lorgna
Signore, insegnami ad
attraversare le mie angosce confidando il Te.
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Prego la “decina”
del Rosario:
Padre nostro…
Ave Maria…
Gloria al Padre…
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