domenica 9 giugno 2013

«Non piangere!... Risorgi!»

Il titolo di questa riflessione di Alberto Vianello sulla Parola di oggi mi ha molto colpita.
A volte mi sembra facciamo a gara a chi fa più fatica e ha più bisogno della comprensione e della compassione altrui, dimenticandoci che il Signore ci ha affidato la cura del creato e di ogni nostro fratello\sorella.

Il Signore  incontra ognuno di noi in persona, o attraverso suoi inviati (chiunque ci accompagni nella quotidianità) per camminare con noi sempre con amore. Certo ogni giorno sembra più impegnativo di quello che lo ha preceduto e la giornata trascorre sempre più in fretta, occupata e affaccendata, stressata e collerica.  Credo dovremmo ricordarci più spesso e con più convinzione che, sì, è importante QUANTA strada si fa, ma è certamente più importante COME la si percorre.

Ogni giorno sembra ci dimentichiamo delle altre persone, di quelle che camminano accanto a noi, dalle quali pretendiamo risolvano ogni questione ci riguardi, che non sbaglino mai, che siano sempre e solo attente alle nostre fatiche, senza considerare che dopotutto tutti arrancano e hanno le loro preoccupazioni.

Se smettessimo di pesare sugli altri, ci assumessimo ognuno le proprie responsabilità con pazienza e un po' di disposizione, certo le difficoltà non scomparirebbero, ma credo sarebbero meno amare e impegnative. Gesù, uomo di speranza prima che di miracoli che non ci lascia mai soli « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Riflessione di Alberto Vianello

(Letture: 1Re 17,17-24; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17)
«Non piangere!... Risorgi!»



Il miracolo più grande (far risorgere un morto) come beneficio verso la persona più povera e fragile (una vedova a cui muore l’unico figlio): è quello che Gesù opera nel brano del Vangelo di questa domenica.
Ma è la prima Lettura quella che ci illumina sul significato più profondo da dare al gesto del Signore Gesù.

Infatti, anche nella prima Lettura c’è una vedova (che aveva accolto il profeta Elia) a cui muore l’unico figlio. La donna fa risalire alla presenza del profeta la ragione di tale sua sventura. Essa crede che la presenza di un uomo di Dio come il profeta riveli le colpe della sua vita e provochi il castigo per esse, fino alla morte del figlio. «Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?». Sono le parole angosciate e disperate della donna, che vede il profeta come colui che svela i peccati dell’uomo, che mette a nudo la debolezza umana, e che quindi si mostra ministro di un Dio che giudica e punisce. Il profeta sembra portare la Parola di un Dio che colpevolizza, umilia e fa morire.

Elia prega allora Dio di ridare vita al ragazzo. Non tanto per impressionare con il miracolo. Egli vuole mostrare che lui non è il portatore di un Dio severo e castigatore, ma è colui che intercede e dà la vita, libera dal male e fa il bene.
Così Gesù, nel brano evangelico, narra, con la resurrezione del figlio della vedova, la salvezza di Dio agli uomini facendo il bene e dando vita. Lui non è venuto per mettere a nudo le nostre povertà e i nostri peccati: non è il volto di Dio dinanzi al quale l’uomo si sente ancora più fragile e limitato di quello che sperimenta nelle cose di tutti i giorni.
Anche una certa pastorale sembra soprattutto sul versante dell’accusa, del rimprovero, delle minacce, forse anche della condanna. Ma, in un certo senso, dovremo rendere conto più di peccati che non abbiamo saputo perdonare che di quelli che abbiamo commesso.
In tutta la Scrittura prevale nettamente il volto misericordioso di Dio, su quello del giudice imparziale. E tutta la Parola di Dio è una lunga narrazione di come Dio creda sempre, nonostante tutto, nella possibilità di recuperare l’uomo, sempre e dovunque; e in questo senso Dio operi nella storia.
Il Dio minaccioso e severo talvolta predicato è conseguenza di una profonda negligenza nei confronti della Parola di Dio e della sua conseguente ignoranza.

Un Dio che si manifesta e si rende presente per far sentire all’uomo tutto il suo peccato e tutta la condanna di Dio può attirare a sé solo per convenienza o per paura. Non potrà mai affascinare e innamorare. E un paradiso che diventa solo il luogo dello scampato pericolo non potrà mai essere il desiderio di tutta la vita e la prospettiva della vita tutta.
Di fronte alle manifestazioni del male, della sofferenza e della morte, Gesù non rinvia mai alle cause del peccato umano, ma si fa operatore di bene e di vita incondizionati, come per la povera vedova e il suo unico figlio deceduto. «Non piangere!... Risorgi!» Sono le parole più autorevoli, più “da Dio”, che Gesù dice.
La sua, è una presenza che libera l’uomo, non che lo opprime a causa del peccato.
Anche noi dobbiamo sentirci rivolgere, nella fede, queste stesse parole. Perché possiamo essere condotti alla fiducia in Dio, vero frutto della fede in Lui. Se abbiamo paura di Dio o sfiducia a causa del nostro peccato (o di quello del mondo) vuol dire che non crediamo davvero nel Dio rivelato da Gesù Cristo. Lui ci ha mostrato un Signore più forte della morte e del peccato. Se crediamo più a questi (che siano invincibili) non crediamo veramente in Dio.
Poveri uomini, certamente, ma liberi in Dio e per Dio.


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