giovedì 3 ottobre 2013

ABBANDONARSI OFFRENDO LA PROPRIA VITA: LA POVERTÀ



“Il momento dell'offertorio è quello in cui facciamo il pas­so fuori di noi stessi, passo che ci associa al dono che Cri­sto fa della sua vita. È il momento di aprire le mani: in al­tri termini, ora bisogna passare dalla confessione della fe­de all'atto di fede. Quando si è scoperta la potenza della fi­ducia e dell'amore non si può più vivere ripiegati e rin­chiusi in sé: è il momento della povertà.”
L’Eucaristia, dicevamo all’inizio, ci fa entrare nel Regno di Dio, ma la porta attraverso cui passare è stretta e dobbiamo via via “abbando­nare l'eccedenza di bagaglio”. Anche l’eccedenza di sicurezze, di onori, di relazioni, di preoccupazioni.
“La paura di fallire fa insorgere in noi calcoli e preoccupazioni che poco a poco invadono il cuore e lo spi­rito e cancellano progressivamente ogni disponibilità a prestare attenzione all'altro, nel preciso momento dell'incontro.”
Se è vero che ogni uomo ha bisogno di pianificare e organizzare la propria vita, è vero anche come ci suggerisce il Vangelo che  non bisogna che questo pensiero ci preoccupi al punto da non lasciare più spazio alla gratuità e alla fiducia, perché più si calco­la, più si imbastiscono piani e progetti, più si accumulano sicurezze e beni, più ci si rinchiude mettendosi sulla difen­siva. Si hanno cose da proteggere – ci si vuole proteggere –e l'altro diventa presto un intruso,  un pos­sibile aggressore...”.
Un po’ come il giovane ricco incontrato da Gesù, che cerca di possedere la vita eterna come possiede già i suoi beni, e alla fine se ne va triste. E’ Dio che si fa carico del nostro futuro: possiamo scommettere su questa fiducia e vivere, invece, felici e liberi.
“Ma, ben inteso, puntare la propria vita sull'avvenire di Dio non è affatto incrociare le braccia attendendo che Dio provveda al necessario. È essenzialmente cercare il regno di Dio e la sua giustizia. L'atto di fede è atto d'abbandono e impegno incondizionato a seguire Cristo. L'offertorio è un impegno di tutto il nostro essere al servizio della buona novella evangelica: noi ci offriamo per essere il pane con cui Dio vuole nutrire gli affamati d'amore in tutto il mon­do.”
E’ un gesto che implica la nostra consapevolezza, perché apre una breccia nella nostra vita e nel nostro mondo, attraverso la quale la potenza e la vita di Dio possono entrare e trasformare tutto ciò che incontrano. Come il gesto di Maria che permette a Dio di entrare nell'umanità.
“Ci mettiamo a disposizione di Dio, con le mani aperte, pronti a dare ciò che le ingombra, ma pronti anche a darci senza reticenze perché egli compia la sua opera con noi, in noi e attraverso noi. L'offertorio è il momento della di­sponibilità, che è la forma essenziale della povertà fondata sulla fiducia.. L'impegno che l'offertorio reclama è quello di uomini e donne dalle mani nude, come il loro Maestro, dal cuore aperto e sgombro, che testimoniano così la loro fiducia in Colui che li chiama e li invia.

Ogni nostro “sì” è una porta aperta a Dio, che attende e bussa e cerca risposte “libere”, di persone che non hanno nulla da difendere o da accumulare, ma che hanno bisogno di condividere, hanno bisogno degli altri per vivere.
L'offerta ci rammenta anche questo: bisogna saper aprire la propria porta e donarsi… Guardiamoci dal non offrire mai nulla, dal non darci che con misura e sperando sempre di essere ripagati…È il momento di renderci conto che la nostra vita non ha valore se non nella misura in cui essa si dona: non soltanto nella messa, ma nel quotidiano degli in­contri e degli avvenimenti della vita. Donarsi a Dio, ma do­narsi anche agli altri, è il movimento dell'offertorio che sfocia nella Pasqua e nella comunione dei figli di Dio. Ciò im­plica una lotta in noi stessi contro l'istinto di proprietà e, nella nostra società, una breccia da aprire, attraverso la povertà, nella corsa alla ricchezza e al benessere. Che lo spirito faccia di noi un'eterna offerta alla gloria di Dio.

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