Raimondo da
Capua, o delle Vigne (Capua,
1330 circa – Norimberga, 5 ottobre 1399), è stato un religioso italiano
dell'Ordine dei Frati Predicatori. Ha studiato teologia dai Domenicani e poi giurisprudenza a
Bologna. Sui trent’anni è direttore spirituale o insegnante in varie comunità:
da Montepulciano a Roma, e più tardi a Siena, dove si fa anche infermiere e
confortatore nella pestilenza del 1374.
Nello stesso anno,
eccolo direttore spirituale e confessore di Caterina da Siena, già nota a
pontefici, a sovrani di tutta Europa e alla gente qualsiasi, per il suo modo
tutto nuovo di affrontare problemi come la crociata in Terrasanta, il ritorno
dei papi a Roma e la riforma della Chiesa.
Entusiasma e
preoccupa, Caterina. Qualcuno giunge a sospettare l’eresia in questa ragazza
“monaca in casa” – una terziaria domenicana, si direbbe oggi – che fa tutto da
sola, battitrice libera, e con le lettere e i colloqui scrolla i troni e le
cattedre, discute con governanti, entusiasma la gioventù senese.
La sua piena
ortodossia è riconosciuta dal Capitolo generale domenicano riunito a Firenze
nel maggio 1374, che poi le mette al fianco appunto fra Raimondo. Per quattro
anni lui l’accompagna anche nei suoi viaggi, e ad Avignone fa da interprete fra
lei e Gregorio XI. Questo è il Pontefice che torna infine a Roma nel 1377. Ma
muore nel 1378 e, dopo l’elezione del successore Urbano VI, scoppia il grande
scisma che durerà 39 anni, con un Papa a Roma e uno ad Avignone, dividendo
l’Europa, i vescovi, gli Ordini religiosi. Raimondo, come Caterina, è per il
Papa romano, e ne difende la causa nelle missioni in varie parti d’Europa.
Morendo nel 1380,
Caterina gli ha predetto l’elezione a Maestro generale dei Domenicani, cosa che
avviene nello stesso anno, risiedendo poi alternativamente in Italia e in
Germania. Nello spirito cateriniano di riforma, imprime nuovo vigore spirituale
all’Ordine, favorendo lo sviluppo del movimento di “osservanza”, sorto
sull’esempio francescano. Tra le sue opere scritte, la più nota è la vita di
Caterina.
Sepolto dapprima a Norimberga, dove è morto, il suo corpo è
stato poi portato a Napoli, nella chiesa di San Domenico Maggiore. Nel 1899
Leone XIII ne ha confermato il culto come beato.
Dalle “Lettere” del Beato Raimondo da
Capua
Fratelli carissimi e prediletti nel
Signore Gesù, ricevete innanzi tutto in Cristo benedizioni e saluti cordiali.
Ringrazio Dio che vi ha fatto dono del suo Santo Spirito, il quale vi ha
guidati all’osservanza regolare e all’imitazione dei santi padri nostri
predecessori, che sull’esempio di San Domenico camminarono per una via
rettissima.
Per questo, se sarete perseveranti
nella stessa divina grazia, sarete il buon seme, stirpe eletta e popolo
prediletto del beato Domenico, e diventerete luce e sale per gli altri. Ora,
fratelli, io vi esorto, per le viscere della carità del Signore nostro Gesù
Cristo, a non lasciarvi intimorire né da avversità , né a minacce di qualsiasi
genere, e a non lasciarvi scuotere da nessun cattivo consiglio, che miri a distogliervi
dalla santa impresa, e alla santa vita che avete iniziato.
Voi sapete però, fratelli miei, che
qualsiasi opera santa incontra ostacoli per poter diventare più pura e perfetta
dinanzi a Dio… Ma chi può nuocerci, se voi sarete amanti del bene? Perciò agite
virilmente, senza nulla temere, perché Dio è con voi. Da parte mia io, vostro
servo nel Signore Gesù, sarò dovunque il vostro difensore; e, se il Signore me
lo concederà, vi circonderò sempre con una muraglia, che i vostri avversari non
oseranno né potranno infrangere.
Per il resto, fratelli miei, non
voglio che per questo voi montiate in superbia, o che disprezziate gli altri
che vivono diversamente. Dio infatti ha il suo potere di concedere anche a loro
il suo Santo Spirito. Anzi, forse essi hanno maggiore grazia di voi. Sappiamo
infatti che l’esercizio del corpo è utile a poco, la pietà invece può supplire
tutto. Se essi quindi, pur facendo utilizzo delle carni e del vino, vi superano
nella pietà, presso Dio sono meglio di voi; perché il regno di Dio non consiste
nel cibo e nella bevanda, bensì nell’amore di Dio e del prossimo. Perciò voglio
che non vi stimiate migliori degli altri, ma inferiori a tutti; chè, essendo
deboli e infermi, avete bisogno di quei sostegni di cui gli altri possono fare
a meno. Poiché se io che uso carni e vino amo con rettitudine e con tutto il
cuore Dio e il prossimo, mentre tu astenendoti da codesti alimenti disprezzi il
tuo prossimo, dinanzi all’Altissimo la tu astinenza non regge i confronto con
il mio mangiare.
Ricordate
l’insegnamento dell’Apostolo: “Se uno si reputa qualcosa, mentre non è che un
nulla, inganna sé stesso”. Guardatevi, fratelli miei, dalla belva dell’orgoglio
e della propria reputazione, la quale distrugge e perverte ogni opera buona.
Per aprirvi il mio cuore, vi dico che niente più temo per voi di quella peste,
ossia di quella belva. Niente bramo di più che allontanarla da voi. E voi
stessi dovete temere, e pregare dio di darvi lo spirito di umiltà. Ma io vi
supplico anche di pregare spesso per me, vostro servo, che mi ritrovo in un
grande campo di battaglia infermo e disarmato, chiedendo al signore che mi
conceda il suo Santo spirito, per il quale soltanto sarò in grado di vivere e
di trionfare nel suo nome.
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