sabato 9 marzo 2013

Buona Domenica

Vi suggeriamo questo commento alla Parola di questa domenica. Che possa essere per tutti una giornata piena della misericordia del Signore trovata e cercata nelle relazioni.



Un Padre scandalosamente padre



Volevo rileggere la parabola guardando al suo vero protagonista: il padre.
Il figlio minore gli chiede la parte di eredità: lui non si rifiuta (teniamo conto che anche in antico solo con la morte dei genitori si subentrava nei loro beni), né mette in guardia il giovane sui rischi della sua decisione. Con disponibilità e in silenzio guarda alla ricerca del figlio fragile ed egoista.

Il racconto descrive poi il progressivo allontanamento del figlio dalla sua dignità di uomo e di figlio. La sua sorte non era ignorata, in quanto l'altro figlio mostra che in casa si avevano notizie del fratello («Questo tuo figlio che ha divorato le tue sostanze con le prostitute...»). Quindi il padre deve essere stato preso non soltanto dall'attesa del figlio, ma anche dall'angoscia della sua condizione. E il padre non si nasconde la ferita, perché dirà: «Questo mio figlio che era morto... era perduto...».

Quando ormai ha toccato il fondo di non essere trattato nemmeno come un maiale, la parola «padre» torna sulle labbra del figlio minore. Ma, come all'inizio lo aveva evocato solo per i beni («Padre, dammi la parte di patrimonio...»), ora lo evoca pensando solo al pane che «i salariati di mio padre» hanno in casa. Perciò torna indietro per convenienza e non per pentimento: il padre, come all'inizio, è per lui solo un elargitore di beni per soddisfare il suo io.
Sono perciò profondamente sconvolgenti i verbi che descrivono l'azione del padre al suo ritorno. Pur sapendo che non si era ancora convertito, lo vede «quando era ancora lontano»: lo scorse per primo, non ha mai smesso di amarlo come figlio, anche se lui non ha vissuto da figlio. È sconvolto fino alle viscere: è l'amore più tenero e incondizionato verso ciò che è più fragile e povero. Gli corre incontro: gesto sconveniente per un padre che rappresentava l'istituzione dell'autorità e dell'autorevolezza. Gli si getta al collo, incurante della sua impurità. Lo bacia, in segno di perdono. Non verifica prima se il figlio ha capito di aver sbagliato, se chiede perdono, se ha intenzione di riparare, di cambiare vita... Lo accoglie incondizionatamente e spassionatamente. Dobbiamo aver chiaro lo scandalo di una tale figura di padre!
Il vestito, l'anello e i sandali sono i segni della dignità filiale con tutta l'autorità e poteri: il figlio l’ha disprezzata e sperperata, il padre l’ha custodita per tutto questo tempo e ora gliela ridà, pur sapendo che quel figlio sta cercando il pane e non il padre.
È la prevenienza e la gratuità del perdono di Dio di fronte al nostro peccato. Il figlio minore, come ciascuno di noi, potrà convertirsi solo dall'esperienza di quell'abbraccio e di quel bacio da vero padre, che accoglie e salva dalla perdizione.

Il rapporto del padre con l'altro figlio ci descrive una paternità altrettanto sconvolgente.
È costretto a interrompere la festa per la gioia del ritorno del minore per uscire a incontrare la rabbia e lo sdegno del maggiore. Non lo rimprovera né si sdegna per il rifiuto: egli rimane invece nell'amore anche per questo figlio e gli rivolge la sua supplica, come un'inferiore rispetto a un superiore. Tutto ciò porta il figlio a esprimere l'amaro che c'è nel suo cuore. Confessa così di non aver mai vissuto da figlio nel suo rapporto con il padre («Io ti servo da tanti anni...»), pur essendo sempre stato con il padre. Così cade la sua maschera: un perbenismo solo esteriore, una correttezza di rapporto («Non ho mai disobbedito un tuo comando») che nasconde una lontananza infinita, un conseguente disprezzo che solo apparentemente è rivolto al fratello, ma che in verità è il rifiuto di un padre che non pretende nulla e dona tutto gratuitamente, per cui è buono verso il figlio che si è allontanato e ha sperperato tutto, come verso il figlio che è rimasto fedele in casa.
Teniamo conto che nel figlio maggiore Gesù identifica i farisei e gli scribi che si scandalizzavano per la sua accoglienza dei peccatori: questo è il vertice del racconto.

Anche di fronte a questo figlio, il padre si rifiuta qualsiasi durezza, giudizio e rimprovero. Semplicemente gli ricorda con amore, guardando al futuro dei rapporti, che quello che è tornato e «tuo fratello», e che non deve vivere da servo e da umiliato dal padre («Tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici»), perché tutto ciò che è del padre e anche del figlio.
Si deve far festa più per un fratello che torna da così lontano della vita e per l'accoglienza che ne fa il padre, che per un capretto elargito da un padrone a un servo.
I due figli hanno vissuto, al di là della forma diversa, lo stesso rapporto sbagliato con il padre: di pretesa («dammi...») e di risentimento per non aver ricevuto («non mi hai mai dato... »). Entrambe (ribelle e servo) non hanno capito che il dono grande è la relazione filiale.

Il padre apparentemente sembra ferito proprio nella sua figura paterna: nessuno dei due figli ha vissuto un rapporto autentico con lui. Ma l'amore veramente paterno che lui sa vivere di fronte a questi due che non hanno capito nulla di lui come padre, si può credere che vinca su tutto. La sua misericordia, la sua mansuetudine, il suo rivestire la debolezza ci mostra un padre scandalosamente padre, come è pienamente solo il Padre celeste, che Gesù ha narrato, perché lui stesso lo ha vissuto come tale, da Figlio. E solo da questo rapporto autentico del Figlio con il Padre poteva esserci presentato tale volto del Padre attraverso la parabola.

Alberto Vianello

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