giovedì 7 marzo 2013

LA VERITA’ CERCATA

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EDITH STEIN
TERESA BENEDETTA DELLA CROCE

Un’ebrea testimone per la Verità.

LA VERITA’ CERCATA
Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no.
(Lettera del 23 marzo 1938)

Edith Stein, quando Hedwig Conrad-Martius, la sua madrina di battesimo, le poneva domande sulla sua condizione spirituale così rispondeva: secretum meum mihi est! Non è facile, confrontarsi con la pienezza di umanità di Edith Stein, una donna che, anche nello sviluppo del suo pensiero, si è mossa tra il problema dell’empatia, la fenomenologia, l’antropologia filosofica e religiosa, la metafisica, l’etica e, non ultimo, la mistica. È difficile leggere i suoi scritti, spesso travisati, non compresi o mal reinterpretati, come difficile è soffermarsi sulla sua storia personale. Ci sono, però, elementi del suo pensiero e del suo vissuto che ritornano costantemente, mostrandoci Edith Stein come donna del nostro tempo, maestra e uditrice attenta dei segni dei tempi.

Edith Stein nacque a Breslavia il 12 ottobre 1891 , festa dello Yom Kippur, giorno del perdono e della riconciliazione in quell'anno , da genitori ebrei tedeschi, è ultima di undici figli. Brillante bambina e studentessa, chiede alla mamma vedova di poter continuare gli studi interrotti studia filosofia e fenomenologia.
Sostenitrice dell’emancipazione femminile si dichiara atea fino al 1921, quando, una sera,  leggendo la vita di S. Teresa d’Avila, trova una risposta alla sua insaziabile sete di verità. A 42 anni lascia l’attività di docente e conferenziera, dal 1923 al 1931 abiterà presso le domenicane di Spira,  per entrare nel monastero di clausura carmelitano di Colonia. Confessa di sentirsi sempre più "una straniera nel mondo” e sempre più attratta dalla vita contemplativa: “Ho sempre percepito che il Signore mi riservava qualcosa che avrei potuto trovare soltanto nel Carmelo!” Lì l’aspettava il suo Sposo. Ecco perché è un passo che lei compie “in gran pace” e quando deve raccontare che cos’è il Carmelo e che cosa è successo nella sua vita non dà spiegazioni cervellotiche, ma si sofferma sulla piccola via dell’infanzia spirituale di S. Teresa di Gesù Bambino.
Il 31 dicembre 1938: sarà trasferita dal monastero di Colonia al Carmelo di Echt in Olanda.
L’odio razzista del regime hitleriano si avventa anche sugli ebrei convertiti e il 2 agosto nel 1942 la Ghestapo l’arresta.
All'alba del 7 agosto parte un carico di 987 ebrei in direzione Auschwitz. Fu il giorno 9 agosto nel quale Suor Teresa Benedetta della Croce, assieme a sua sorella Rosa ed a molti altri del suo popolo, morì nelle camere a gas di Auschwitz.
Beatificata nel Duomo di Colonia il 1° maggio del 1987: la Chiesa onorò, per esprimerlo con le parole del Pontefice Giovanni Paolo II, " una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea".


Opere di Teresa Benedetta della Croce
Bibliografia
Scritti filosofici e teologici
Traduzione delle Quaestiones disputatae de veritate di San Tommaso d'Aquino.
Traduzione del "De ente et essentia" di San Tommaso d'Aquino.
Traduzione delle Lettere e dei Diari di Newman.
Studio su "La fenomenologia di Husserl e la filosofia di San Tommaso".
Sull'essenza del movimento.
Contributi per la fondazione filosofica della psicologia e delle scienze dello spirito.
Una ricerca sullo stato.
Intelletto e intellettuali.
La fenomenologia come visione del mondo.
La donna e il suo compito secondo natura e grazia.
Il Mistero del Natale. Incarnazione e umanità.
La preghiera della Chiesa.
Le vie della conoscenza di Dio.
Risposta al prelato Schwind.
La vocazione della donna.
La struttura ontica della persona.
Natura e soprannatura nel Faust di Goethe.
Il castello dell'anima.
Che cos'è la fenomenologia.
Il significato della fenomenologia come visione del mondo.
La fenomenologia trascendentale di Husserl.
Edmund Husserl, la crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale.

Scritti concernenti il problema dell'educazione
Educazione eucaristica.
Una maestra dell'educazione e della formazione: la Santa Madre Teresa.
Formazione femminile e i lavori femminili.
Momento critico e formazione.
Sull'idea di formazione.
Verità e chiarezza nell'insegnamento e nell'educazione.
I tipi di psicologia e il loro significato per la pedagogia.
Fondamenti teorici di una educazione sociale costruttiva.
Lottare per la salvaguardia, nell'insegnamento, dell'elemento confessionale cattolico.
Il contributo reso dagli istituti per l'istruzione di tipo monastico alla formazione religiosa della gioventù.
Insegnanti di formazione universitaria e insegnanti di formazione magistrale.
Dell'arte materna di educare.
Formare la gioventù alla luce della fede cattolica.
Riprende Atto e Potenza che diviene: Essere finito ed Essere eterno.
La filosofia esistenziale di Martin Heidegger.
Scientia Crucis.

Scritti di carattere liturgico e spirituale
Il matrimonio dell'Agnello.
Triduo della Santa Eucaristia in collaborazione con padre Keller.
Appunti: Triduo di Pentecoste in collaborazione con padre Stocks.
Esercizi di padre Hirschmann.
Messa e Ufficio per la Beata Vergine Maria Regina della pace.
Ore minori dell'ufficio della Madonna, Regina della pace.
Inno in onore dell'Immacolata Concezione.
Canto festivo per il noviziato.
Discorso alla festa dell'esaltazione della Croce del 1939.
Discorso per la professione di suor Miryam.
Sancta discretio e direzione spirituale.

Scritti di carattere storico - biografico
L'autobiografia.
Una donna tedesca, una grande carmelitana: Madre Franziska dei Meriti di Gesù Cristo, OCD.
Giovanni di San Sansone.
Contributi per la cronaca dell'Ordine di Colonia.
Ritratto di suor Maria Erzberger.
Ritratto di suor Agnese Perciosa.
Ritratto di suor Maria Amata di Gesù: un'anfora eletta della Grazia divina.
Cronogramma del terzo centenario del Carmelo di Colonia.
Saluto pasquale per madre A. Hessler.
La Beata Maria Acarie e il Carmelo teresiano.
Elisabetta di Turingia.
Teresa d'Avila.

Scritti poetici
Rappresentazione per il sessantesimo anniversario dell'ordine.
Rappresentazione per le orsoline.
Te Deum: rappresentazione per l'onomastico della priora.
Rappresentazione: Dialogo Notturno.
Rappresentazione: San Michele.
Canto per San Giuseppe.
Santa Notte: poesia per il battesimo di Rosa Stein.
Iuxta Crucem: poesia sul Venerdì Santo.
Rimango con voi (probabile commiato dal Carmelo di Colonia).
San Giuseppe aiutaci.
Poesia per l'onomastico di madre Ottilia.
Poesia per la Prima Comunione.
A Dio Padre.
Sentenze giugno 1940.
Poesia per la Trasverberazione della Santa Madre Teresa di Gesù.
Pax Vobis.
Poesia per la professione di Rosa Stein, terzo


ordine del Carmelo.
Al timone.
Poesia per la professione del Vescovo Lemmens von Roeimond, terzo ordine.
Sette raggi, novena di Pentecoste.
O Grande Madre.
Poesia olandese.
Sul prato del bosco.
Notte di Natale.

Traduzioni
Il cosiddetto problema ebreo traduzione dell'opera di padre Closen.
Traduzione di "Le cinque feste della giovinezza di Gesù" di San Bonaventura.
Traduzione del Cerimoniale della solennità per il giubileo d'oro.
Traduzione dell'inno della vigilia della Festa dell'Immacolata Concezione.
Traduzione dell'inno natalizio di Prudentius.
Traduzione dell'inno Jesu dulcis memoria.
Traduzione dell'inno per la Festa dell'Annunciazione.
Traduzione dell'inno in onore a Santa Agnese.
Traduzione dell'inno del Mattutino di Quaresima.
Traduzione dell'inno dei Vespri della Settimana Santa.
Traduzione dell'inno del Mattutino di Pentecoste.
Traduzione dell'inno Veni Creator Spiritus.
Traduzione dell'inno delle Lodi di Pentecoste.
Traduzione della sequenza pentecostale Veni Sancte Spiritus.
Traduzione della sequenza Lauda Sion.
Traduzione dell'inno Sacri Solemnis.
Traduzione dell'inno Verbum supernum prodiens.
Traduzione dell'inno Pange Lingua.
Traduzione dell'inno Adoro Te Devote.
Traduzione dell'ufficio festivo della Trasverberazione della Santa Madre Teresa di Gesù.
Traduzione dell'inno per la festa della corona di Spine.
Traduzione dell'inno delle Lodi di Avvento.
Traduzione dell'inno della Festa della Madre di Dio: Odierna lux diei.
Libera composizione poetica del Salmo 44.
Libera composizione poetica del Salmo 60.
Libera composizione poetica del Salmo 45.
Libera composizione poetica del Salmo 46.
La carmelitana (trad. dal francese).
Grandmaison: Sub tutela matris (traduzione).



 

Ricerche filosofiche, cenni

Fenomenologia
Non proponendosi come una dottrina ma come un metodo generale di conoscenza, la fenomenologia sviluppata da Edmund Husserl costituisce una delle filosofie più feconde del Novecento, tanto da aver dato origine a una vera e propria scuola. La fenomenologia, infatti, si sforza di arrivare alla essenza stessa delle cose, cioè alle leggi che regolano e determinano ogni fenomeno, distinguendolo così dagli altri. Egli proponeva, infatti, di “tornare alle cose stesse”, un appello che può apparire ingenuo o troppo semplice, ma che praticato con il necessario rigore produce effetti inaspettati. Tornare alle cose per vederle come “veramente” sono implica una serie di cautele: evitare i preconcetti, non fidarsi neppure della propria esperienza, non dare nulla per “naturale” o scontato, nemmeno le più solide teorie scientifiche. In una parola, dubitare di tutto, persino della realtà del mondo, mettendo almeno temporaneamente tra parentesi quella massa di esperienza, convinzioni, ricordi e fantasie che formano ogni soggetto umano. Come metodo generale, infatti, esso può essere applicato a ogni
oggetto di conoscenza, anche, come nel caso di Edith Stein, al problema della natura del misticismo o dell’empatia.

Empatia
Husserl nel 1913 tiene una conferenza sulla natura e lo spirito. In questo incontro si interroga sul problema della conoscenza oggettiva del mondo esterno. Essa è conseguibile in maniera intersoggettiva da individui che si trovano tra loro in reciproco scambio di conscenze.
L’empatia è l’intuizione che ha per oggetto gli altri individui, è dialogo con l’altro.

Edith su questa conferenza affronta uno studio sul quale poi stenderà la sua tesi di laurea. In breve per Edith l’empatia è l’atto attraverso il quale si coglie il vissuto estraneo in modo non originario.  Che cos’è questo “rendersi conto del dolore dell’altro” , si chiedeva. È cogliere il dolore dell’amico come non originario rispetto al proprio vissuto.

Ci sono tre gradi dell’empatia:

  1. EMERSIONE DEL VISSUTO: è la lettura di un’espressione emotiva sul volto di qualcuno
  2. ESPLICAZIONE RIEMPIENTE: è il dirigersi intenzionale dell’attenzione verso lo stato d’animo di qualcuno. L’oggetto non è più l’espressione quanto lo stato d’animo dell’altro nel quale ci si immedesima. È l’essere press oil vissuto altrui.
  3. OGGETTIVIZZAZIONE COMPRENSIVA DEL VISSUTO ESPLICATO: è l’attenzione sul dolore dell’altro colto come oggetto, come vissuto altrui. Dall’essere presso si riguadagna distanza, la quale è ora arricchita dalla consapevolezza di quello che si è acquisita nello stadio precedente.

Il contenuto del vissuto empatico non sgorga dall’io, ma si genera in un altro. L’io non si unisce in un altro ma rimane sempre sè stesso.
Attraverso un profondo atto di empatia è possibile compredere qualcosa che prima, magari perchè proiettiamo sull’altro inconsapevolmente attese o preconcetti, ci è sfuggito.

Empatia non è contagion emotive. Chi empatizza può non rispondere  al messaggio emotive che riceve ma ciò non toglie che comprend pienamente lo stato emotive comunicativo.

L’empatia non prescinde la comunicazione verbale, anzi questa è necessaria perchè il soggetto esplichi l’emozione che lo ha diretto.

L’empatia è dialogo con l’altro
Lo sguardo di questa donna sul mondo e sull’altro. Empatia infatti, chiarisce Edith, significa riconoscimento della presenza e della vita del prossimo; non un semplice co-sentire, immedesimarsi e assimilarsi all’altro, ma un atto in cui lo si coglie come un tu, nella sua complessità e unicità, nel suo dirsi ed esprimersi, nel suo stare nel mondo con le proprie personali dinamiche. Empatia è l’inizio del dialogo e dello scambio reciproco con il mondo e con le persone. È l’incontro con l’alterità; non è dominare l’altro, assorbirlo, tenerlo nelle proprie mani come possesso, ma è riconoscerlo come simile e, al tempo stesso, totalmente diverso da sé, quindi, proteggerlo, custodirlo e tutelarlo in un atteggiamento di libertà e corresponsabilità. L’altro è singolare e domanda di essere colto nella sua unicità: “Se, mentre empatizziamo, ci basiamo sulla nostra costituzione individuale... giungiamo a falsi risultati. Così succede se assegniamo ad un daltonico le nostre impressioni cromatiche, al bambino la nostra capacità di giudizio, al selvaggio la nostra capacità estetica”.
È un esempio semplice, ma incisivo e significativo: mostra l’obiettivo di non inglobare, imbrigliare e incasellare l’altro nel proprio vissuto, ma di coglierlo a partire dalla sua modalità d’espressione, tenendo presente che, in ogni soggetto spirituale, ciascuna parola, movimento o reazione assume un significato unico e singolare. Si potrebbe addirittura affermare che Edith Stein può anche essere presa in considerazione come maestra di inculturazione: il suo scritto sull’empatia, infatti, può insegnare un approccio autentico e sano a chi si pone di fronte all’altro, a partire dal suo riconoscimento come persona, con una specificità e complessità spirituale che non va assolutamente ridimensionata, incasellata e semplificata, ma colta in tutta la sua ricchezza.

 La domanda sull’uomo
Un approccio sistematico alle opera di Edith Stein evidenzia una domanda costantemente presente: chi è l’uomo? Se non ci si sofferma sul suo bisogno di trovare risposte a questo interrogativo, il suo percorso spirituale e le drammatiche scelte della sua vita diventano difficili da capire. Il suo itinerario, infatti, comincia proprio dalla domanda sull’uomo, su questo essere finito e complesso al tempo stesso, in cui corporeità, psichicità e spiritualità si incontrano, dialogano e interagiscono. Per Edith, infatti, l’analisi della persona umana rimanda a una armonia tripartita in corpo, anima e spirito. In questo tempo in cui domina la parola “frammentizzazione”, è importante ricordare come Edith Stein si sia impegnata a volgere il suo sguardo sull’interezza della persona, in una dimensione in cui corpo, anima e spirito muovono l’essere personale, avendo ogni parte una forza condizionante e coordinatrice dell’altra. Il corpo, senza essere idolatrato, è espressione della presenza concreta della persona, primo elemento dell’incontro con l’altro. L’anima è il centro della vita, il luogo della sensibilità e delle percezioni. Lo spirito, infine, è il luogo del senso, della comprensione e della scelta. Ed è condizione della persona sanamente costituita che queste tre dimensioni agiscano insieme e in modo coordinato. Nel suo percorso di crescita spiritual il concetto di persona si sviluppa a partire dal versetto del Genesi: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a imagine di Dio lo creò”. Infatti, l’idea che la persona umana sia stata creata a immagine e somiglianza di Dio comporta per lei una serie di conseguenze fondamentali, prima tra tutte la maturazione di una antropologia religiosa che dà all’uomo la sua massima dignità, ma al tempo stesso domanda responsabilità per quanto gli è stato donato. “Anche l’azione dell’uomo dovrebbe servire a mettere sempre più in luce la somiglianza della natura con Dio. Ogni opera dovrebbe essere non solo utile (servire cioè ai fini dell’uomo), ma anche bella (cioè specchio dell’Eterno)”. Dignità e responsabilità sintetizzano in modo efficace l’idea antropologica steiniana, insieme alla definizione di essere umano come indifeso e protettore. Per Edith Stein la vita chiede di essere orientata, resa significativa e compresa al di là della religiosità della singola persona. Solo a partire da un’idea di responsabilità che impregna ogni atto della vita si può comprendere la dinamica della sua esistenza, i suoi intrecci di relazioni niente affatto superficiali, le ragioni per cui decise di abbandonare lo studio per prestare servizio come crocerossina durante la Prima Guerra mondiale, la sua incessante ricerca della verità e le scelte che la portarono alla morte.
Il richiamo alla responsabilità e alla cura, come atteggiamenti di fondo che devono investire ogni ambito della vita, sono una costante nelle opere di Edith Stein. La cura, infatti, è il primo atteggiamento a cui rimanda l’osservare fenomenologico, in quanto a esso corrisponde quell’atto di rivolgersi alle cose stesse, proprio del metodo di Husserl. Quella di Edith Stein potrebbe essere definita come una fenomenologia della cura, proprio per la sua attenzione ai problemi della formazione della persona, il suo sviluppo, la dimensione spirituale e il vivere sociale. La persona è corresponsabile del proprio esistere e dell’esistere altrui, come riecheggia il suo riferimento a san Paolo: “Il turbato sospirare della creatura attende la rivelazione dei figli di Dio”.
L’uomo è chiamato a farsi carico del creato e, quindi, degli altri suoi simili. In questo consiste la cura. Allora, a partire dalla propria condizione finita, ciascuno deve riconoscersi a un tempo come indifeso e protettore, in una realtà sociale in cui ognuno deve assumere la propria responsabilità individuale all’interno di quella comune.
Ancora più appropriato, forse, è parlare di corresponsabilità, dato che per Edith Stein l’atteggiamento responsabile e che si prende cura dell’altro è richiesto a tutti, nessuno escluso. L’uomo non è consegnato a un vivere passivo, gettato nell’esistenza come diceva Husserl, ma, anzi, è chiamato a un atteggiamento di attenzione, cura e custodia del vivere che gli è stato affidato.

Investigatrice della vita spirituale
Responsabilità è stare nel mondo con gli occhi aperti, prendersi cura, interrogarsi, cercare e stare in ascolto. Così facendo “nel suo mondo interiore, come in quello esteriore, l’essere umano trova rimandi a qualcosa che è al di sopra di lui e di tutto ciò che esiste, da cui egli e tutto ciò che esiste dipendono. La domanda circa questo essere, la ricerca di Dio appartiene all’essere dell’uomo”. Anche l’atto fondamentale dell’empatia, si è visto, sta in un atteggiamento di ascolto e comprensione. Persino la fede ha origine da un atto del sentire e del comprendere, dal desiderio di incontro, da un lasciarsi afferrare. Per Edith Stein la persona, una volta scopertasi creata gratuitamente da Dio e a lui legata, è chiamata a mettersi in cammino, ad aprirsi alla scoperta del suo volto, di quel Dio che ha scelto di riconoscere e accogliere in sé. Questo è il cammino spirituale: un continuo cercare l’incontro con un Dio personalee al tempo stesso inafferrabile. Un  cammino lungo, perché la “rielaborazione interiore di ciò che penetra nel profondo dell’anima dell’uomo non avviene in un attimo, ma occupa un tempo più o meno lungo, in alcuni casi può richiedere un periodo molto lungo. Ciò che penetra nell’intimo è sempre un appellarsi alla persona”. Oltre ogni umana ricerca della verità, la fede diventa così una chiamata, un appello che Dio rivolge al singolo, perché nel cammino spirituale l’anima “si apra liberamente a lui, e si abbandoni a quell’unione possibile solo tra esseri spirituali”.
Solo nella vita eterna si raggiungerà la perfezione, ma un’esistenza a immagine di Dio può iniziare già su questa terra. Cristo è il modello di questa perfezione e ognuno è chiamato a imitare la sua vita, con l’aiuto delle  Scritture e della Chiesa. “Fine dell’uomo è che la sua voce entri a far parte del coro celeste”. Questo è l’impegno di chi ha scoperto in Cristo il paradigma del suo vivere.

A colloquio con il Dio crocifisso
La vita non è un blocco monolitico, ma si presenta con mille possibilità di direzione e implica un continuo mettersi in gioco. Non a caso in molti suoi scritti la fenomenologa Edith Stein descrive l’atto della scelta. Una posizione che va analizzata alla luce della sua personale scelta di morire con il suo popolo.
Ma come si può comprendere questa decisione, volta non tanto al martirio quanto a riconfermare l’appartenenza a una stirpe che oggigiorno la considera esclusivamente una santa cristiana, quasi non comprendendo questo suo strano percorso? Penso che anche qui si possa rimanere fermi a quel “Secretum meum mihi est” che ha caratterizzato tutto l’itinerario della sua vita. Al tempo stesso, però, si deve far riferimento a quel suo colloquio intimo e personale con il Dio crocifisso, che al momento della professione solenne le farà assumere il nome di Teresa Benedetta della Croce, non casualmente, come si capisce dal suo scritto su Giovanni della Croce. Per la mistica Edith Stein la fede religiosa non si riduce in un atto teoretico, sterile e distaccato dal vivere. La contemplazione deve diventare fede viva, colloquio e ascolto con il Dio datore di vita, secondo un’espressione da lei utilizzata, incontro da persona a persona. Edith Stein è entrata in questo colloquiare attraverso la contemplazione della croce.

La scienza della croce
Il metodo fenomenologico servì a Edith Stein per analizzare le opera di san Giovanni della Croce. E per chiarire i fondamenti del proprio percorso mistico.  Mistica e fenomenologia hanno trovato in Edith Stein un punto di feconda convergenza. Se il fatto non costituisce di per sé una curiosa eccezione all’interno della famiglia dei fenomenologi, non può, comunque, passare inosservato perché, per quanto vasto fosse il campo d’indagine degli allievi di Husserl, l’attività di ricerca tendeva a riferirsi preferenzialmente alla sfera del razionale e dell’empiricamente verificabile. “Se quel metodo”, scrive Angela Ales Bello, una delle maggiori studiose di Edith Stein, “poteva risultare valido per l’analisi dei problemi metafisici, come è dimostrato dalla ricerca sull’essere, e poteva trovare una feconda applicazione nell’approfondimento del significato della realtà, tanto più doveva dare i suoi frutti nel campo dell’esperienza mistica, proprio per il carattere descrittivo che lo connotava secondo l’intenzione di Husserl, il quale lo aveva proposto in funzione dell’analisi dell’esperienza, ricondotta nella sua indagine ai vissuti della coscienza”. Da Gerda Walther, autrice di una Fenomenologia della mistica, allieva e collaboratrice di Husserl proprio come Edith Stein, sappiamo che il padre della fenomenologia scoraggiava le analisi sui fenomeni mistici, sostenendo che dell’esperienza mistica dovevano essere prese in esame le modalità e non propriamente i contenuti, il modus operandi del mistico e non i dati acquisiti, più il modo di fare esperienza che le esperienze maturate. Le riserve del maestro equivalevano ad una parziale, seppur piccola, apertura, ma a nulla di più. Husserl, precisò a scanso di equivoci Gerda Walther, “riteneva che l’unica cosa reale fosse il fare esperienza dei mistici, il loro amore ardente, ma non l’oggetto di questo amore”.
Di ben altro avviso era Edith Stein, che cercò di favorire un incontro pieno tra fenomenologia e mistica, soprattutto attraverso la lettura di san Giovanni della Croce. Fu, questa, una lettura appassionata, condotta con gli strumenti critici acquisiti durante il lungo apprendistato fenomenologico degli anni di Friburgo, finalizzata anche alla redazione di un’opera, la Scientia Crucis, sulla figura e sull’opera del santo carmelitano da pubblicare in occasione del quarto centenario della nascita.
Ma come si accordarono in lei mistica e fenomenologia? Quale grado di compatibilità può essere assegnato a questo singolare binomio? La risposta di Edith Stein, nelle prime pagine della Scientia Crucis, è chiara: il metodo fenomenologico è utile per comprendere la complessa personalità del mistico spagnolo.

La pienezza della croce
Edith Stein, mistica lei stessa, credeva pienamente nella possibilità e nel valore di un’esperienza trascendente. E basta leggere la Scientia Crucis per comprendere che per la filosofa la più autentica tensione mistica sta nell’approssimazione alla croce, nell’imitazione integrale della vita di Cristo. Per I mistici, infatti, Gesù è il prototipo di tutti i modelli. “Nessun cuore umano è mai piombato in una notte così oscura come quella che avvolse l’Uomo-Dio nel Getsemani e sul Golgota. Nessuno spirito umano, pur avido di ricerca che sia, potrà mai penetrare nell’immenso mistero dell’abbandono divino da cui fu afflitto l’Uomo-Dio alle soglie della morte. Ma Gesù può dar modo a certe anime elette di provare almeno parzialmente questa estrema amarezza. Sono i suoi amici più fedeli, ai quali chiede l’ultima prova del loro amore. Se essi non indietreggiano, ma si lasciano trascinare volentieri nella notte oscura, quest’amore diventa la loro guida”.

La notte oscura della fede
L’esperienza mistica è diretta, personale, intima, esclusiva e integrale, perché quando si abbraccia la croce, non si può non accoglierne la pienezza, come direbbe Simone Weil, filosofa che rivela più di un’affinità con Edith Stein. Chi la vuole sperimentare può servirsi di modelli di vita vicini a quel prototipo impossibile da imitare che è stato Gesù Cristo, e quanto più quel modello si avvicinerà all’originale, tanto più sarà efficace. Quelle dei mistici, infatti, sono esistenze straordinarie, modelli difficilmente imitabili, che Edith Stein vede incarnati nella figura di san Giovanni della Croce, “genio trascinatore”, mediatore, come tutti i mistici, tra l’uomo che aspira a uno stile di vita superiore e Cristo, l’Uomo-Dio che ha elevato la croce a strumento di redenzione. L’opera del carmelitano spagnolo poneva però dei problemi di non facile soluzione, non avendo egli mai elaborato una trattazione sistematica del percorso mistico. Ci sono i commenti alle poesie (La notte oscura, Salita al monte Carmelo, Cantico spirituale), ma questi fungono più da apparati integrative che da veri e propri commentari, rendendo così necessario un ulteriore intervento chiarificatore.
È qui che la fenomenologia viene in soccorso a Edith Stein, che si serve di questo metodo d’indagine per giungere al cuore delle questioni poste dal santo, cercando di penetrare il senso ultimo del suo pensiero. In questo modo, sotto l’apparenza di questioni puramente terminologiche, si svolge il lavoro fenomenologico di Edith Stein che scava in profondità per assegnare alle parole il loro più appropriato valore concettuale. Del lessico di san Giovanni, la filosofa approfondisce soprattutto il significato di due termini: note e croce.
Nella santità di san Giovanni della Croce la dimensione mistica è indistinguibile da quella poetica. Secondo Edith Stein, infatti, il realismo dei santi è simile a quello degli artisti e dei bambini, gli unici capaci di provare per le cose del mondo, che sono sempre cose di Dio, un inesauribile stupore, ulteriormente vivificato, nel caso del carmelitano spagnolo, da un’irresistibile attrazione verso il trascendente. Nell’esperienza mistica di questo modern dottore della Chiesa, il realismo del santo si fonde con quello del bambino e dell’artista, “preparando così il terreno più favorevole al messaggio della croce che si sarebbe poi sviluppato fino a diventare la scienza della croce”. Questa scienza consiste propriamente in una forma d’attrazione. “Non esiste forse alcun artista credente, che non abbia sentito l’impulso a raffigurare un Cristo in croce o un Cristo in atto di portare la croce”, scrive Edith Stein, inducendo a pensare al volto di Gesù di Mantegna o alla crocifissione bianca di Chagall.
La filosofa sembra sostenere indirettamente che l’artista concentrato sul volto di Gesù in croce e desideroso di rappresentarne la sofferenza in tutta la sua dolente intensità, non può operare impersonalmente sulla tela o sulla materia, perché “il crocifisso esige dall’artista qualcosa di più di un semplice ritratto”. Solo l’immagine di Cristo ha la forza di imporre la piena imitazione di sé a chi la evoca. E una volta evocate quest’immagine, sarà impossibile fare come se niente fosse accaduto. Si può volgere lo sguardo da un’altra parte, fingere di non averla vista, ma sarebbe una finzione. Il volto di Cristo crocifisso o ancora più semplicemente il simbolo della croce chiedono all’uomo che “si conformi e si lasci plasmare a immagine di colui che porta la croce e ci viene confitto sopra”. Tutto il resto è omissione, mancanza.
La croce è quindi il simbolo dell’iniziazione e della rinascita mistica. Non è un accessorio per il culto; è un ricordo vivo, che continuamente parla e indica una strada, operando “come simbolo di tutto ciò che è difficile, gravoso e così fortemente contrario alla natura da risulta re per chi se lo addossa quasi una Marcia verso la morte”. Ecco perché la croce può essere, secondo Edith Stein, la fonte che rischiara il percorso dell’uomo.
Nella Salita del monte Carmelo, san Giovanni della Croce spiega perché la notte consista nella mortificazione dei sensi: “Chiamo notte quello stato in cui gli appetiti vengono privati del gusto in tutte le cose. Come quella naturale si ha quando viene a mancare la luce e con questa la visibilità di tutti gli oggetti, mancanza per cui la potenza visiva resta al buio e priva d’immagini, così la mortificazione degli appetiti si può dire note dell’anima, poiché questa, rinunciando al gusto sensibile in tutte le cose, resta vuota e avvolta nelle tenebre”. L’accordo di Edith Stein è pieno: anche per lei la mortificazione dei sensi può evocare l’avvolgente oscurità della notte, che annulla i vecchi legami e predispone al contatto con il trascendente.

Il viaggio nella notte mistica
Di questo contatto Il canto della notte oscura racconta i passaggi iniziali. Durante il viaggio che viene portato a termine attraverso la notte, Dio ha soccorso l’anima che gli si era totalmente abbandonata. La notte non è però solo un punto di partenza e nemmeno un traguardo, essendo anche la via lungo la quale si deve transitare. Si capisce che la notte è in questo caso oscura come la fede. Edith Stein equipara la notte alla fede e definisce la seconda una via notturna perché “la fede è una conoscenza oscura: ci porta sì a conoscenza di qualche cosa, ma questo qualcosa non arriviamo a vederlo. Ecco perché si deve dire che anche il fine che noi raggiungiamo battendo la via della fede è anch’esso una notte: Dio, sulla terra, anche nell’unione estatica, ci resta nascosto”.
È la fede che trasforma la croce in un “giogo soave” e in un “peso leggero”. Nasce dalla rinuncia e si alimenta delle sue privazioni. “Come Gesù, nel suo abbandono di morte, si consegnò nelle mani dell’invisibile e incomprensibile Iddio, così dovrà fare lei, gettandosi a capofitto nel buio pesto della fede, che è l’unica via battibile verso l’incomprensibile Iddio”. Solo così, secondo un’espressione di Dionigi Areopagita, filosofo tra i più cari a Edith Stein, l’anima verrà illuminata e confortata dal “raggio di tenebra”, che coincide con la contemplazione mistica con la quale si conclude il viaggio notturno dell’anima.
Qui Edith Stein avverte la suggestion del termine aniquilación che il santo spagnolo impiegava per descrivere la rinuncia totale. La Stein, con una non minore energia semantica, parla di Zerstörung, ossia distruzione, annientamento, liquidazione. Zerstörung, infatti, designa l’ineffabilità dell’esperienza mistica che nessun procedimento discorsivo potrà mai illustrare compiutamente e che rende necessario il ricorso ai simboli. Come Platone usava il mito per ovviare alle carenze esplicative del linguaggio razionale, così Giovanni della Croce e Edith Stein si servono del linguaggio.

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